Al momento stai visualizzando Onori di Rachel Cusk

Durante i nostri spostamenti quotidiani, che siano essi a piedi, in auto, coi mezzi pubblici, capita spesso che i nostri pensieri vengano distratti da voci di sottofondo, provenienti dal vicino che parla al telefono, dalla coppia che discute, dall’individuo solitario che, per semplice desiderio di chiacchiera, si rivolge direttamente a noi: sono sequenze di vite non nostre e che, come subitaneamente le conosciamo, così improvvisamente le abbandoniamo, interrotte sul più bello.

Di queste voci ci è capitato di sorridere, indignarci, scandalizzarci come se a noi certe cose non possano accadere, o forse è proprio perché accadono anche a noi, che, turbati, ne prendiamo, mendacemente, le distanze scaramantiche.

La scrittrice Rachel Cusk le ha scelte, le ha distribuite lungo una sequenza narrativa affidandole a un io narrante che le introduce, e ne ha fatto un libro: ONORI, Edizioni Einaudi Stile Libero, 2020.

Di un romanzo vero e proprio non si tratta, poiché manca un plot, una trama che svisceri cause e conseguenze delle azioni dei personaggi.

Immaginiamo un filo teso che ha una partenza e una fine: su questo filo scorre l’io che narra, Faye, una scrittrice in viaggio nel continente europeo per partecipare a una serie di interviste e convegni letterari. Durante il suo viaggio e la sua permanenza, il filo su cui scorre la sua vita si apre a degli incontri fortuiti.

Le confidenze raccolte toccano temi che sono un mix di fascino e banalità: il rapporto tra padre e figlia, la conflittualità di genere, l’abuso di potere maschile sul femminile, la gestione dei figli in coppie separate, il rapporto natura umana-ambiente. Tali confessioni sono repentine, senza premeditazione da parte né dell’io che ascolta, né del personaggio di turno che parla, alla maniera di uno sfogo per troppo tempo tenuto sotto pressione e finalmente liberato.

Anche i luoghi sono inconsueti: un aereo in volo, la reception di un albergo, il tavolo di un ristorante, uno studio televisivo in attesa della messa in onda – che magari non avverrà mai. Sono tutti non-luoghi, zone libere da freni inibitori e al contempo precarie, in balìa di un tempo molto breve che troncherà tali confessioni a metà, facendone atti mancati.

Anche la descrizione di certi spazi sembra partecipare, per traslato, alla natura inattesa e non intenzionale di questi incontri. Ad esempio l’albergo:

Ha voluto sapere se l’albergo mi piaceva e io gli ho detto che la sua forma circolare mi disorientava terribilmente. Già diverse volte avevo cercato di andare da qualche parte ritrovandomi esattamente al punto di partenza. Non mi ero resa conto, ho detto, di quanto in un percorso pesino la convinzione di avanzare e il presupposto che ciò che ti sei lasciata alle spalle stia fermo. Io avevo coperto l’intera circonferenza dell’edificio cercando cose che fin dall’inizio erano a un passo da me, un errore virtualmente dovuto al fatto che tutte le fonti di luce naturale dell’edificio erano occultate da tramezzi ad angolo, così che ogni percorso era quasi completamente buio. In altre parole, non trovavi la luce seguendola, ma ti c’imbattevi per caso, e a distanze variabili; o, per dirla diversamente, sapevi dove ti trovavi solo quando ci eri arrivato.  Pg. 31

L’io narrante Faye si muove lungo questi spazi transitori e questa catena di voci umane, portatrici di un retorico linguaggio pubblico – tempi televisivi, discorso capitalistico, internet – che penetra nel privato immiserendolo, privandolo di ogni possibilità di redenzione dallo sproloquio.

Tra gli ascolti di queste vite in transito ovvie e convenzionali, emergono delle riflessioni considerevoli: sul potere della scrittura, sul rapporto editoria-mercato.

La riflessione sulla scrittura è affidata a vari personaggi, tra cui Linda, sostenitrice della reificazione dei sentimenti:

Aveva già provato in precedenza a scrivere delle loro dinamiche famigliari, ma chissà perché per quanto freddo uscisse dal frigorifero del suo cuore, finivano sempre per trasformarsi in pappa. Il problema, ora lo capiva, era che aveva cercato di descrivere il marito e la figlia usando un materiale – i sentimenti – che nessun altro poteva vedere. La solida presenza del criceto faceva la differenza. Pg. 47

Le osservazioni sul rapporto tra editoria e mercato sono riservate all’incontro con Ryan, uno pseudo scrittore forte di un successo editoriale in realtà “contraffatto”. Il pungente ammonimento affiora sotto le vesti di metafora:

Una cosa assurda, – ha detto. – Avrò fatto centinaia di chilometri nell’ultimo anno, e poi mi sono rotto una caviglia scendendo da un taxi. Pg. 98.

L’imparzialità e la generosità con cui sono raccolte anche le confidenze più discutibili rende Faye una ascoltatrice prismatica, custode di un umanità amplificata in diverse sue varianti: di miseria, ovvietà, virtù. Inesorabili lenti multifocali dell’esistenza quotidiana nella sua mediocrità, quella che tutti noi pensiamo, vanamente, di scansare.

Maria Bucolo