Chambéry, le centre de la ville, è come lo haiku, una emozione concentrata, l’ “annotazione sincera di un istante d’eccezione” e soprattutto di “silenzio”[1. Cfr. Roland Barthes, L’impero dei segni, trad. it. Einaudi, Torino 1984, pag.82.], essendo poi il Grand Carillon la manifestazione di tutte le emozioni concentrate o di una sola che esplode al grado più elevato del Bonheur.
Come per lo haiku, Chambéry, i piaceri particolari, les détails du Bonheur, di Chambéry, l’interpretazione è sempre impossibile.
I tre tempi in cui si vuole comporre le terzine dello haiku possono solo esserci utili per contestualizzare il piacere dell’angolo H:
- la posizione, che sarà sia quella attinente ai due interagenti per i luoghi, i punti, le strade della città, sia quella attinente ai due interagenti nella fantasia dell’atto erotico;
- la sospensione, allo stesso modo, avrà questa duplice temporalità, nel tessuto urbano dove avviene l’incontro o l’heurt, e nel quadro dell’atto fantasmato o nella sequenza del desiderio, se vogliamo;
- la conclusione, va da sé, chiude il concerto del Grand Carillon e sia il con che il batacchio si affideranno al silenzio.
Parlare, perciò, dello haiku,come ne scrive Barthes, o dei détails du Bonheur chambérien sarebbe semplicemente ed esattamente ripeterlo: le vie dell’interpretazione non possono dunque che sciupare lo haiku e il bonheur chambérien: “perché il lavoro di lettura che vi è connesso è quello di sospendere il linguaggio, non di provocarlo”[2. Ivi.]: impresa di cui per l’appunto il maestro del bonheur chambérien sembra conoscere la difficoltà e la necessità tanto che innocentemente non fa che semplicemente ed esattamente ripeterlo:
Sono già le dieci e mezzo
Mi sono alzato nove volte
Per ammirare Silvie Crozet.
Ciò che si chiama satori, nello zen, e che gli occidentali non possono tradurre che con termini vagamente cristiani(illuminazione,rivelazione,intuizione) non è che una sospensione panica di linguaggio, che non vuol dire annientare il linguaggio sotto il silenzio mistico dell’ineffabile, ma misurarlo[3. Cfr. Ibidem, pag.87.], questo è il bonheur chambérien, una parsimonia di linguaggio che agisce sulle radici stesse del senso affinché questo senso non si diffonda, né si interiorizzi, né si faccia implicito, e non vaghi nell’infinito della metafora.
La brevità du bonheur chambérien è questo evento breve che trova tutt’a un tratto la sua forma esatta, senza bordi, senza sbavature o interstizi che frastaglino il rapporto semantico; questa esattezza che “ha evidentemente qualcosa di musicale(musica di significati, non necessariamente di suoni): lo haiku ha la purezza, la sfericità e il vuoto stesso di una nota musicale”[4. Ibidem, pag.88.]; il bonheur chambérien ha l’ottusità di una nota musicale da ripetere non una,due volte ma settanta volte, un’eco che non simula la profondità ma svela il piacere, l’heure du bonheur è questa, la sorpresa, lo spunto, la repentinità della perfezione, quando suona il Grand Carillon tutto è accaduto, le Bonheur è stato suonato.
A Chambéry, lo scompiglio del désir è annunciato, Angelus du samedi che si fa concerto, settanta campane che ogni sette giorni svelano, annunciano, con l’Angelus meridiano e crepuscolare, con l’indiscrezione di Chambert, i piaceri, il bonheur dello Chambrer: c’est-à-dire, in questi 7 giorni, queste 70 campane nei due Angelus du famedi dichiarano che, avec le chambrement[in una camera chiusa c’è il poeta, l’ospite, a cui viene sottratto denaro o averi ma a cui viene donato da dames aguichantes le bonheur], si è carilloné le con et le cas, si è fatto chambarder le con et le cas, l’immaginario e i sensi sono stati messi a soqquadro, e questo chambarder du Carillon chambertement, indiscretamente, carillonne, strilla.
D’altronde solo a Chambéry, leggendo i suoi Piaceri Singolari, Harry Mathews ebbe la sorpresa che chi aveva ascoltato svelasse il suo particulier, un suo modo di darsi bonheur, e solo a Chambéry avvenne che la joyeuse combriccola andasse a festeggiare, a fare chambard e a carilloner, se non a chambrer, a chambarder le bonheur in un ristorante.
Ricorda Harry Mathews che la stessa joliesse avuta in quella città tanto austera non fu più possibile trovarla nemmeno in California.
Che sul bonheur chambérien ci sia l’ombra del Marquis de Sade, che fu imprigionato nel 1772 nel castello medioevale di Miolans a pochi chilometri da Chambéry, nella zona in cui si producono gran parte dei vini di Savoia tra cui la celebre Mondeuse[5. Il marchese de Sade non denominò uno dei soldati del forte di Miolans “L’Allégresse”?]?
O piuttosto non è che ci sia l’ombra di questo piacere singolare raccontato nel 1981 da una donna di Chambéry in una libreria alla base dell’installazione del Grand Carillon avenuta nel 1993?
Alla “femme-carillon” risponde l’anima non solo amministrativa di Chambéry avec le Grand Carillon:
70 femmes che annunciano, ad ogni Angelus du samedi, che hanno avuto il Bonheur!
·[da: V.S.Gaudio, Chambonheur, © 2006]·