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Prova D’Autore ha pubblicato un originalissimo saggio di Giuseppina Radice, che ho avuto modo di incontrare e intervistare nel mese presso la sede della casa editrice stessa. Il titolo dell’opera, La storia dell’arte e il tiro con l’arco, è già indicativo del suo mondo interiore e del suo modo d’essere e di intendere la contemporaneità e la vita. L’autrice è docente di storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Catania e ha fatto della sua professione una missione che sente di dover portare avanti nei confronti della società ma soprattutto dei giovani con profonda onestà e sincerità, ponendosi proprio come obbiettivo quello di vivere intensamente il rapporto con i suoi studenti e la quotidianità, senza smettere di porsi in gioco nelle sfide anche più difficili in ambienti talvolta ostili al suo modo di concepire l’arte e la cultura. A un primo sguardo superficiale si potrebbe apparentemente evincere dal suo testo una certa insoddisfazione nei confronti dei nostri giorni, eppure ella stessa tiene a sottolineare come ogni contemporaneità presenti elementi positivi e altri negativi; esempio calzante per comprendere meglio potrebbe essere la considerazione del ‘500  visto generalmente come un momento storico fervido e positivo ma al tempo stesso caratterizzato anche da congiure, tirannia, nepotismi di ogni genere. Ecco che alla luce dei chiaro-scuri di ogni epoca è necessario essere in grado di non farsi dominare da nessuno, o più precisamente di non farsi sopraffare.  Il segreto per crescere? Un processo per mezzo del quale l’individuo, dopo essersi formato sulla scia del padre e del maestro, inizi a intraprendere un proprio percorso di emancipazione, costruendo una propria personalità forte considerando “la moda”, intesa anche nel senso più ampio di tradizioni, usi e costumi del tempo, come un elemento presente e caratterizzante un epoca, ma anche come un insieme di idee che si fanno strada sulla base di luoghi comuni, che la professoressa Radice tiene a inimmaginabile distanza e non sente di condividere.  Invece di  indignarsi sterilmente del momento storico attuale, sentendosi profondamente legata ad esso, si impegna ad individuare piccoli spiragli di intervento. Ella infatti non ama i luoghi comuni che a suo parere rappresentano lo “svuotamento di un concetto” e non  considera affatto  la generazione dei  giovani – cui alcuni  docenti meno motivati, snobbando le capacità e la voglia di apprendere degli studenti, che mortificati, perdono fiducia in se stessi, guardano spesso dall’alto in basso  – “poco colta e senza valori”. Proprio in tal senso ella sente come suo dovere morale indirizzare le nuove generazioni e stimolarle all’apprendimento non coattivo, astratto e tanto complicato da far credere il sapere irraggiungibile, ma facendo capire, costruendo perciò una cultura che lei stessa definisce “una cultura dell’onestà” . In questo senso Radice non segue la moda del disimpegno anche se, convinta che un docente non deve mostrarsi  irraggiungibile, ma ha il dovere di intraprendere – con pazienza e assiduità – un percorso di confronto con lo studente, trasmettendo il proprio sapere con semplicità e mediante l’utilizzo di concetti utili, giusti, e non fuorvianti, si meraviglia di trovarsi spesso controcorrente.  Scrive del suo viaggiatore: “Le sue domande rimanevano senza risposte: sguardi troppo alti che non riuscivano ad abbassarsi per una comunicazione; parole alate, senza peso o piccole, banali e incapaci di fare volare”.
Si chiarisce poco a poco il suo intento di “riformazione” necessario dopo aver cancellato tutti i concetti inutili, sbagliati e privi di contenuti che al viaggiatore erano stati inculcati nel suo percorso di crescita.
Ella considera la storia dell’arte una disciplina  importante per una maturazione interiore che però, se non amata, può prestarsi a giri di parole, a nascondimenti dietro silenzi diplomatici che non aiutano a crescere. Ma è proprio la crescita che innesterebbe un circolo non vizioso ma creativo, perché porterebbe alla scelta e la scelta automaticamente comporterebbe la ricerca e l’adozione degli strumenti più idonei alla maturazione: così le difficoltà si superano passo dopo passo e contribuiscono alla formazione di  personalità forti e capaci di sfruttare la propria intelligenza.
Il viaggiatore si trova innanzi una porta sbarrata che lo fa sentire escluso dal mondo: conoscenze sterili, mnemoniche, incomprensibili e inutili hanno interrotto il fluire libero del suo pensiero intorpidendone l’anima. se ne rende conto e decide di cercare  un talismano.

Le ho rivolto alcune domande.

 

Intervista a Giuseppina Radice

 

1.     Professoressa lei considera la cultura come un’elaborazione faticosa  e non equiparabile a una semplice doccia, rilassante e rigeneratrice. Vorrei sapere come un buon docente, a suo avviso, sia in grado di trasmettere il proprio sapere agli studenti, e quale sia il suo “talismano” per aprire le porte della vera cultura alle nuove generazioni.

R.  La ringrazio, gentile dottoressa,  per questa intervista e per la sua premessa. Ero certa che   una giovane avrebbe compreso il concept del mio viaggio-saggio. Proprio per questo ho voluto affidarne la prefazione ad una studentessa che ha il bene di scrivere e che ha ascoltato alcune delle mie storie. “Il viaggiatore vive bene il suo  tempo e non vuole  sentirsi inattuale, déraciné (proprio lui sradicato?) quando sceglie, forse in maniera un po’obsoleta, la strada dell’educazione estetica per armonizzare il suo personale iato tra  sensibilità ed intelligenza. Non si riconosce  sentimentalmente contemplativo né razionalmente trasgressivo per imitazione dell’ethos del suo tempo”. Questo è il mio viaggiatore. Da parte mia credo molto nei giovani e credo che essi entano ancora – anzi! – la necessità di riferimenti alti, di quelli che una volta si chiamavano modelli. La domanda da porre a mio parere è: dove sono finiti i modelli? Le dico questo con molta semplicità. Io stessa ho sperimentato che già nel mio ruolo di Docente divento, anche senza volerlo, modello di riferimento. Non è questione di sentirsi presuntuosamente modello ma accorgersi che sei modello indipendentemente dalla tua volontà. Su questa convinzione poggia il mio senso di responsabilità morale. È una sorta di tacito impegno che ti lega per tutta la vita. È indubbio che crescere nella cultura non sia cosa semplice. Non è sicuramente impossibile, però. “Avevano ragione i monaci amanuensi che si davano una regola: ora, lege, lege, lege, relege, labora et invenies.”  Il talismano potrebbe essere far comprendere agli studenti che tutti i grandi del passato e del presente (pensatori, poeti, artisti, musicisti) creano la cultura che è là: Pronta. Per noi. Avvicinarsi ad essa è in fondo una lunga serie di  superamenti successivi di difficoltà. “Tessere di senso che il viaggiatore afferra e che vanno a incastonarsi – gemme preziose – nel  suo personale mosaico…” Sta ad ognuno di noi decidere di fermarsi o di continuare sapendo che la sapienza è abissale almeno quanto l’ignoranza.  “Piccoli passi,dunque. Senza fretta – si dice il viaggiatore  – I maestri ci sono e anche le storie. Il suo tempo: riconoscerlo e concederselo nella fiducia. Ogni albero produce i suoi fiori soltanto quando è pronto.”

2.     Oltre a quello da me riportato lei ritiene vi siano altri due luoghi comuni nella società di oggi: l’idea che l’arte sia per tutti e che l’arte non sia da considerare come qualcosa di certo, bello, predefinito, come in genere si insegna in modo accademico agli studenti. Qual è il suo concetto di arte e chi è il vero artista? Lei, nonostante abbia dichiarato di non avere come obbiettivo quello di diventare artista, si sente un po’ tale?

R.  Il topos che l’arte, la veeeera arte, sia comprensibile a tutti è una delle affermazioni più nocive all’arte. Crea subito l’equivoco del quale è impossibile liberarsi : Gli artisti del passato … loro si che erano bravi. Erano comprensibili a tutti perché davano il messaggio!!!!!  È una convinzione difficile da estirpare tranne a parlare di arte senza mascherarsi dietro concetti astrusi e incomprensibili perché non spiegati. Per questo sono sempre molto disponibile alle richieste di “corsi di alfabetizzazione all’arte” che considero molto formativi nel senso più ampio del termine. Da parte mia infatti ho una visione molto laica dell’arte. Consiglio sempre la de-piedistallizzazione degli artisti non per mancar loro di rispetto ma per guardarli negli occhi. Un fidanzato/a troppo alto/a che non si pone all’altezza dello sguardo dell’altro/a non riuscirà mai a comunicare. Resterà alto. Soltanto. Ma irraggiungibile. “Chagall ha nascosto nei suoi quadri costruendo come ogni artista una sua realtà nuova nello spazio circoscritto della sua opera all’interno del quale egli può tutto sostituire  con regole (o non regole) precise o arbitrarie ma  personali. Irrevocabili.” Gli artisti non sono miti. “Sono uomini come tanti, – pensa il viaggiatore –che cercano la forma più giusta (quella forma ) per comunicare ciò che pensano. Se pensano. Un nuovo tassello: elaborare uno stile (anch’egli cerca il suo) non è un fatto esteriore/estetico ma una ricerca che impegna tutta una vita. È scegliere di crescere.” L’artista per me è un concetto che travalica i confini dell’arte: è colui che mette tutte le proprie energie in ciò che fa. In questo senso, certo,  anche io cerco di diventare artista! A me piace molto parlare di arte come di una cosa viva; non solo con l’arte contemporanea ma anche con l’arte del passato ci si può confrontare senza accademismi di alcun tipo: “Non ingesserò in formule la mia voglia di mondo e di ALTRO…L’arte è mondo, l’arte è ALTRO. Tecnicamente è oggettivazione di  pensiero ma è anche (il viaggiatore  ne è certo) una forma di conoscenza di sé: in essa l’artista mette ben più di quanto egli stesso pensi.”

3.     Come interpretare la metafora del tiro con l’arco, secondo cui l’arciere per    primo potrebbe diventare bersaglio dell’arco medesimo?

R. Tutto il mio saggio-racconto è un devoto omaggio ai veri maestri (ci sono, ci sono!).Il titolo è un grazie alla cultura Zen. L’arciere si esercita a lungo per colpire ad occhi chiusi il bersaglio. Cercando a lungo di comprendere il pensiero degli altri (ora, lege, lege, lege, relege, labora et invenies…) il viaggiatore scopre e comprende se stesso. Trova il suo stile.

4.      Può dirmi qualcosa relativamente al saggio Erranti ai tempi dell’usabilità?

R.  Alla “Storia dell’arte e il tiro con l’arco” segue un secondo saggio che ho voluto  intitolare “Erranti ai tempi dell’usabilità” dedicandolo agli erranti di tutti i tempi. Il mio obiettiv è non perdere io stessa la fiducia nella vita  e nella cultura per cercare di darla ai più giovani erranti del nostro tempo che non vogliono né possono sottrarsi a fare i conti con la stretta attualità . Mi chiedo se anche in una contemporaneità difficile (ma non più difficile di altre: solo contemporaneità) come la nostra abbiamo perduto  definitivamente la possibilità di vivere nell’ universo civile delle relazioni belle e se siamo fuori tempo massimo per ipotizzare una contemporanea e vera libertà. Penso infatti che ognuno di noi – che narri la sua storia o la sua attesa di eventi – sia al tempo stesso fruitore del mondo e interprete dei suoi segnali. Partendo dal concetto di ricerca  nel significato più ampio di sete di andare incontro a tutto  ho individuato alcuni spunti che mi hanno portato ad  errare per desiderio e/o per paura attraverso concatenazioni in una sorta di attraversamento dei maestri che mi insegnano a pensare.

5.     Vuole chiarirmi il suo rapporto con la contemporaneità?

R.  Come già le dicevo amo far parte di questa contemporaneità (piace/non piace. Non è  questo il problema: è la mia. Prendere o lasciare.) e cerco di comprenderla individuandone qualche meccanismo che produce risultati discutibili e perfezionabili. Ho l’impressione che sia già tutto successo e che il nostro nuovo sia in realtà più antico di quanto si possa immaginare. Ma  non mi meraviglio di trovare, nella irrequietezza spirituale, mentale e artistica che caratterizza il nostro tempo,una giovane e nuova consistenza etica – niente affatto anacronistica  che  sembra affiorare inaspettatamente e nonostante una sorta di sistematico ostruzionismo – intellettualisticamente  ben congegnato – da parte di chi ha dimenticato il significato di avere vent’anni nel 1968  e/o nel 2010.

6.     E l’arte che ruolo può svolgere, secondo lei?

 R. L’artista è un esploratore di temi, di concetti e di linguaggi; è un nomade dall’interno all’esterno di sé; un viaggiatore che, nel suo transitare da una cultura all’altra così come da una tecnica all’altra si relaziona  con esperienze più o meno trascendenti che confluiranno e costituiranno la sua poetica. L’arte come viaggio, l’errare per svuotarsi e sintonizzarsi nuovamente con il nostro  mondo che a volte sembra quasi dimenticato.

E non nego che la possibilità di scoprire l’esistenza di un Dio vagabondo/ errante con noi mi attrae parecchio.

Stefania Calabrò

E' nata a Milano nel 1985 ma da alcuni anni risiede a Lentini (SR). Laureata in giurisprudenza nell’Università di Catania, collabora alla pagina culturale di un noto quotidiano. È tra i componenti del Comitato interno di redazione di Lunarionuovo.