“Fa un po’ freschetto stasera” – “Già, però c’è una bella luna. Guarda che luce che emana” – “Quando arrivano gli altri?” – “Non vedo l’ora che inizi la cerimonia”. Commentavano così i primi arrivati, tra la brezza della sera e il calore delle lanterne. Qualcuno iniziava ad entrare per ambientarsi, Ahamd era appena uscita dall’acqua e si riscaldava abbracciando il suo Alì, il piccolo Aylan invece cercava ancora di stare a galla. Erano tutti in fermento.
Alberi rigogliosi e fiori profumati davano un tocco di colore in mezzo a quel cemento grigio. “Chissà chi ha avuto la felice idea di progettare un parco con così tanti edifici?” osservava Abdel, l’acuto ingegnere col rolex contraffatto che era arrivato lì per trovare lavoro. “Sai, in Sicilia hanno un diverso concetto di architettura” rispondeva Kellye che aveva studiato storia dell’arte e amava in particolare il neoclassicismo. “Greci, arabi, romani, bizantini, normanni, fenici, tutti sono stati in questa terra meravigliosa. La Sicilia ha ricevuto così tanto dai popoli stranieri, arricchendosi di cultura e arte, che adesso non può che restituire bellezza al mondo” – continuava Kellye, desiderosa di studiare in Italia.
E poi c’era lei, Muyasar, ancora bellissima nonostante avesse superato i cinquanta, accompagnata dal figlio adolescente che aveva appena finito la scuola e non vedeva l’ora di rivedere il padre, che li aveva lasciati qualche anno prima per andare a lavorare in Francia. Akin stringeva la pagella con fierezza, perché era stato promosso con ottimi voti e voleva dire al padre che ce l’aveva fatta per renderlo orgoglioso. Sperava che così non lo avrebbe più lasciato.
Ahamd e Alì, la coppia di sposini, si erano rivestiti dopo la nuotata e si avvicinavano cercando l’ingresso. Aylan non ne voleva sapere di uscire dall’acqua, non sapeva neanche dove fossero i suoi genitori, ma in quel momento non pensava che a giocare.
Abdel l’ingegnere continuava a fare progetti nella sua mente, e li esternava di tanto in tanto per colpire l’attenzione di Kellye. Si erano conosciuti durante il viaggio e da allora non si erano più separati. Parlavano, ridevano, scherzavano, litigavano pure quando avevano diverse vedute sulla concezione del tempo, dello spazio, dell’umanità, dell’amore. Ma su una cosa andavano sempre d’accordo: il loro futuro sarebbe stato migliore.
I preparativi intanto seguivano mentre continuavano ad arrivare decine e decine di persone dal nome difficile, il volto più o meno conosciuto, tutti pronti per l’inaugurazione. Anche le autorità stavano per entrare nel parco, seguiti dai loro segretari e da qualche telecamera locale. Tutti vestiti di nero, il colore dell’eleganza, pronti a togliere il velo bianco al nuovo monumento.
Anche Baba era arrivato. Non era riuscito ad arrivare prima per via di un ritardo aereo. Akin era triste, ma continuava a tenere la pagella in mano che per via del sudore della mano ansiosa si era ormai sgualcita. Ma Baba era orgoglioso, non era mai stato più orgoglioso di suo figlio come in quel momento. Anche Muyasar, sua madre, lo era e continuava a stringerlo forte.
Era ormai sera, il sindaco e il vescovo avevano poi altri impegni e non si poteva più aspettare che arrivassero i mancanti all’appello. Si decise cosi di procedere con l’inaugurazione. Tutti in attesa, da un anno ormai, di vedere quel monumento. Il sindaco si avvicinò, cercando di non inciampare sui rialzi del cemento, e con occhi emozionati tirò giù quel telo. Ciò che apparve fu una statua di pietra nera, bellissima, alta tre metri, raffigurante un uomo che camminava sulle onde. Non era Gesù, o forse era il dio di tutti, di tutti quegli uomini e donne e bambini che adesso erano finalmente in pace, una quieta serenità li teneva uniti e vicini l’uno all’altro, in quel parco fatto di grandi edifici, alberi rigogliosi e fiori profumati. Stavano li, tutti ai piedi di quel Monumento ai Migranti che aveva ridato nome ai loro volti, storie ai loro corpi, risposte alle loro domande. Potevano riposare adesso, uscire dall’acqua, asciugarsi, tenersi per mano. Erano finalmente approdati alla baia dei sogni.
Daniela Saitta
In onore di:
Abdel Malik, Muyasar Bashtawi, Ali Furqan, Ahamd Ishitiaq, Kellye Osmann, Qayyum Nabeel, e le altre 235 vittime del mare che sono sepolte al Cimitero di Catania e ricordate dal Monumento ai Migranti “La speranza naufragata”, lì inaugurato il 10 Maggio 2015. Diciassette tombe per 17 migranti senza nome che riportano i 17 versi della poesia “Migrazioni” del poeta nigeriano Wole Soyinka, Premio Nobel per la letteratura.