Al momento stai visualizzando La Triste domenica del poeta. L’oggetto “a” sabaudo-marchigiano bagnato in via Giambattista Vico

Un poeta scrive una poesia e la manda a due poeti, uno dei quali scrive poesie perché ama la verità, come lo scrittore di Cento della Centuria di Manganelli[i][i], e l’altro scrive poesie perché della verità se ne frega. E questi due poeti, da soli, hanno pubblicato  47 libri con editori a pagamento, e partecipato a non si sa quanti premi, il conto, aggiornato all’anno scorso, è pari a 722, hanno viaggiato per almeno 350 ore all’anno, per ritirare anche un’oscura medaglietta della più sperduta Pro Loco della penisola, versando una media di 6500 euro all’anno, nell’ultimo decennio, alle società di trasporto su gomma e a quelle su rotaie; non hanno mai preso l’aereo non perché non amino volare, essendo dalla parte dell’asino e dentro l’archetipologia dell’asino che vola, ma perché non hanno l’aeroporto  nel raggio di 200 chilometri nel luogo dove abitano. La poesia che il primo poeta ha scritto dice che a Torino, negli anni di piombo, in via Giambattista Vico, riaccompagnando a casa una giovane  mesoendomorfa sabaudo-marchigiana, dopo un pomeriggio passato ai Murazzi a fare petting, lei con la pelliccia e i jeans, con erezioni che, in confronto, il 4° grado di Eric Berne, quello dell’orgoglio peyronico[ii][ii], sarebbe stato riclassificato come 2° grado, la mette di spalle nell’angolo formato da un muro più esteso di un palazzo e dal muro di un palazzo  più lontano dalla strada, le tira giù i jeans e senza abbassarle le mutande glielo pianta senza rispetto per la targa della via intitolata al filosofo dei corsi e dei ricorsi, e la possiede fino  a quando l’inquilino del 2° piano, disturbato dalle grida di godimento della ragazza, tira giù un secchio d’acqua gelida urlando che andassero a scopare ai Murazzi e poi fatevi un bagno, terroni chiavatori di merda…e alla ragazza preciso:”Raspanta, rata vòloira, zoccola dell’uccello di Minerva!…Picia, Robatabastiôn…(e ancora giù, dopo una breve pausa)Zoccola dell’uccello di Minerva, a Palermo saresti una Marca Tasci, lo sai no?Marca Taxi!” Si dice anche che la ragazza non potendone più dal ridere e non riuscendo a staccarsi dal fallo del poeta dovette rincasare più tardi, e allora il padre, che faceva davvero il tassista, le tirò giù i jeans e la prese a cinghiate, ma era talmente assonnato il pover’uomo che non s’avvide in che condizioni di gaudio era quel portento di figlia, che, questo lo constatò, ormai era cresciuta un bel po’ e di carne, con quel benedetto tergo, Dio se ne aveva! Il poeta che amava la verità mandò la poesia del poeta amico a una rivista, che usciva, sempre ogni sei mesi, come supplemento a un “Corriere della Montagna”, al solito numero, il 66, del  21 luglio 1963, con quel direttore responsabile che, ormai, era morto da tempo, però era ancora nell’elenco dei pubblicisti dell’Ordine regionale dei giornalisti, con la preghiera, fatta a chi la rivista, o quel che era, la faceva davvero e che era un altro poeta, fondamentalmente urbanizzato ancorché non fosse per niente postmoderno e nemmeno postnaturalista, di pubblicarla nel numero in programma; il poeta che della verità se ne fregava scrisse una cartolina al poeta che gli aveva mandato quella poesia da una città portuale del sud, dov’era andato a ritirare un premio: “Per venire a prendermi il premio sono sotto di 700 euro, e per la fine del mese non riesco a stare dietro alle bollette che stampa quel Bisignani per conto delle società dei pubblici servizi della popolazione italica: non avresti almeno 1000 euro da venirmi a portare qui a Taranto, così vediamo se possiamo collocare la tua poesia, ma Dio santo che le hai fatto a quella mesoendomorfa sabaudo-marchigiana, chissà se una così sia mai entrata nei romanzi di Volponi? Ma, poi, questo me la racconti, il papà almeno ti faceva fare le corse gratis o sempre a scarpinare sotto i portici, dromo-poeta del cazzo peggio di quell’altro dromomaniaco di cui parla Sebald?!”

La poesia uscì diciannove anni dopo, in un volume in cui un altro poeta teorizzava e antologizzava un determinato modo di combinare il reale, il correale e la libido, fosse anche quella più mitologica legata alle argomentazioni junghiane[iii][iii]; quei due poeti sono stati schedati dall’Anonimo del Gaud ne L’Assassinio dei Poeti come una delle Belle Arti; il poeta aveva più volte riservato uno spazio di godimento, nell’esercizio dei suoi piaceri singolari, all’oggetto “a” che, nel frattempo, scomparendo, quella ragazza mesoendormofa sabaudo-marchigiana col padre tassinaro e dall’indice del pondus altissimo, tra 11 e 10, di sicuro, aveva irredentemente formalizzato[iv][iv].▬ by Gaudio Malaguzzi

 

[i][i] Giorgio Manganelli, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Rizzoli editore, Milano 1979.

[ii][ii] “Siamo allo stadio estremo, quando l’uomo spinge in avanti quasi ad ogni costo, alla vertigine carnale che è il coronamento di tutti i grandi corteggiamenti degli amori letterari. In generale, questa condizione può essere definita ‘impazienza del pene’. Il caso particolare in cui il cappello si volge all’insù possiamo chiamarlo ‘orgoglio peyronico’, in onore del medico che per primo fece uno studio vero e proprio del fenomeno”:Eric Berne, La potenza virile, in: Idem, Fare l’amore, tit.orig. Sex in Human Loving, © 1970, trad. it. Bompiani, Milano 1971.

[iii][iii]Cfr. “14.2//A questo punto si può rispondere da via Gian Battista Vico/ in cui anche a Torino the unknown want/ sotto la luna gialla che si chinava e che non/ indugiava né s’affrettava/ sussurrò attraverso la notte.”:V.S.Gaudio, in: Ettore Bonessio di Terzet, Preannunci annunci ombreggiature, in: Idem, L’utilità dell’Artepoesia, Aracne, Roma 2013.

[iv]

(…) quella domenica ai Murazzi, seduti in riva al Po, e
con quella pelliccia, e le mutande tra pelo del podice(…)

[iv][iv][iv] Sempre con quei jeans di quella domenica ai Murazzi, seduti in riva al Po, e con quella pelliccia, e le mutande tra pelo del podice e pelo del pube, tra mani e esplosione verticale del (-φ), con tutta quell’acqua e gli umori dell’Anima del poeta e dell’Animus della ragazza sabaudo-marchigiana, e poi, ritornando dentro la città, con la potenza quasi sentimentale che sembrava incunearsi nell’Animus più stretto della ragazza e la carne del suo tergo che anima il sentimento fallico del poeta: acqua del Po, liquida anima del (-φ), pondus macina per l’Animus così strettamente rinserrato  o maneggiato. Ad un passo dalla Triste Domenica di Paul Watzlawick, che non è detto che è proprio per queste sedute ai Murazzi che ha, poi, sgonfiato il rombo tra angoscia e desiderio, così larga e universale diffusione. A volte, nel piacere singolare, la prende sul taxi del padre o pensa che a prendere quel taxi sia quell’inquilino del 2° piano in via Vico in quella triste domenica torinese; certe domeniche pensa di farsela in quel modo torinese come se fosse a Palermo, anche se è sabato. Marca tasci e il rombo del (-φ) del poeta…Poi, esce dalla stazione ferroviaria e prende il taxi, e si accorge di essere a Bari, ed è un Triste venerdì.

Gaudio Malaguzzi