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LA PIU’ AMATA di Teresa Ciabatti – ed. Mondadori, 2017

Autore reale→ Autore implicito→ (narratore)→ (narratario)→ lettore implicito→ Lettore reale[1]

Questa sono io adolescente: un agitarsi di forze scomposte e disperate. (pg. 194)

L’adolescente in questione, e voce narrante, si chiama Teresa Ciabatti, stesso nome che compare in copertina a indicare l’autrice, sebbene pare non si tratti della stessa persona – come tiene a sottolineare lei stessa nelle sue interviste.

Per un lettore ingenuo è difficile mantenere questa distanza autrice-protagonista durante la lettura, poiché anche l’età anagrafica della protagonista, età che nel testo viene più volte ripetuta in una sorta di rituale ipnotico di autoconvincimento – “Mi chiamo Teresa Ciabatti e ho quarantaquattro anni” –, coincide con l’età dell’autrice.

Un lettore accorto e critico capirà che il dato autobiografico risiede solo nella scelta onomastica, nei ragguagli extra testuali – digressioni di carattere storico-politico – e nelle coordinate spazio-temporali in cui agiscono i personaggi.

Lo stesso lettore accorto saprà che le identità di autore, narratore e personaggio, anche in un testo che si spaccia essere autobiografico, non coincidono mai perfettamente, poiché la storia narrata porta con sé sempre una divergenza temporale tra il momento in cui gli eventi sono avvenuti – tempo dell’avventura – e il momento in cui gli stessi eventi vengono scelti per essere narrati – tempo della scrittura.

Inoltre, quella Teresa Ciabatti di cui il lettore si è fatto un’idea al termine della lettura è un’immagine ben lontana dalla Teresa Ciabatti autrice reale. E’ quello che la Ciabatti scrittrice ha voluto pubblicare di sé, non è necessariamente il sé.

Quindi, esiste una doppia manipolazione: da parte della memoria, che consegna al presente della scrittura il solo ricordo degli eventi passati, e da parte dell’autrice reale, che sceglie che cosa, di sé, rendere pubblico, distribuendolo tra le figure dell’io narrante e della protagonista, beffardamente omonime.

Il romanzo è suddiviso in un prologo e in quattro parti. Ogni parte definisce la figura di uno dei personaggi principali: IL PRESCELTO Lorenzo Ciabatti – marito e padre –, LA PIU’ AMATA Teresa Ciabatti – figlia –, LA REIETTA Francesca Fabiani – moglie e madre –, I SOPRAVVISSUTI – Teresa e suo fratello.

Gli eventi narrati non sono straordinari: è la storia di una famiglia, di un alto tenore di vita, misterioso e insondabile, in una Orbetello tra gli anni Settanta e il Duemila.

Lorenzo Ciabatti è un influente medico e padre di una figlia amata e viziata sino alla distorsione del sé fanciullo e alla mitomania – LA PIU’ AMATA del titolo è lei.

Il rapporto tra i due è vissuto esclusivamente dal punto di vista della figlia, figura femminile che nel romanzo è bambina, adolescente, ragazza e adulta, senza seguire necessariamente quest’ordine.

La figura adulta rivede con gli occhi della memoria il suo rapporto col padre, sino a rivelare un genitore diverso da quello conosciuto nella dimensione domestica. Una volta cresciuta, le domande da porgli sarebbero molte, ma restano senza risposta perché, nel momento in cui queste si fanno impellenti, la figura paterna non c’è più.

Nel romanzo la presenza di una madre sembra marginale, rispetto al peso specifico operato dal padre. In realtà è importante proprio nella misura in cui viene relegata ai margini della storia, ad opera di un marito che esercita il suo potere decisionale anche nella gestione familiare.

E’ per questo marito che Francesca Fabiani, a sua volta medico, rinuncia alla professione; è per lui che si rintana nel solo ruolo materno e che dormirà un sonno farmacologicamente indotto e lungo un anno. Terapia contro la depressione, sentenzierà il dott. Ciabatti.

Rapporto padre-figlia, marito-moglie, uomo-professione: il tutto è incastonato nella Storia di un’Italia massone, quella della P2, di un’Italia dai nomi illustri che hanno nutrito le cronache di quei tempi e che fanno pericolosamente scivolare la vicenda familiare verso la melensa autobiografia.

Interessante è invece la manipolazione del tempo: la narrazione vorrebbe svilupparsi linearmente, a guisa di un corridoio che avvolge ogni cosa del passato per condurla sino al presente narrativo della protagonista. Invece essa manifesta punti deboli, crepe, attraverso le quali, subitaneamente, figure, eventi, voci del passato o del futuro irrompono in quel corridoio narrativo dalle atmosfere metafisiche, sottraendo equilibrio emotivo alla protagonista.

E’ così che Teresa Ciabatti/narratrice, colei che vorrebbe raccontare la sua storia in modo lineare, entra in rotta di collisione con Teresa Ciabatti/personaggio, perché la narratrice permette al suo personaggio di forzare il tempo, di anticipare eventi e pensieri, nella fretta di un recupero memoriale – o per incapacità di controllare le emozioni.

Le fratture del tempo si presentano come capsule temporali impazzite, sotto forma di discorso indiretto libero:

Lei tace, trattiene il respiro, un’altra curva e un’altra ancora, strapiombo, (…) poi sbotta: sì, ha paura, tantissima paura, vaffanculo Renzo, perché deve spaventarla così. Pg. 56;

di incisi anacronistici, in cui la voce della protagonista irrompe repentinamente facendosi bambina:

I primi giorni di vacanza ha piovuto, e ora un vento dal nord (tramontana, papi?) raggela laguna e mare Pg. 198;

o di certe affermazioni rese subito precarie da scherzi della memoria:

Perché in camera mia ho il telefono. Un telefono a forma di Garfield (può essere che sbagli anche qui, che il telefono Garfield arrivi negli anni Novanta) Pg.97.

Il ricorso a incipit ripetitivi crea un singolare effetto di allitterazione in prosa:

Voglio sapere chi è mio marito, dice mamma all’uomo in giacca e cravatta al di là della scrivania Pg. 125;

Mi chiamo Francesca Fabiani, e voglio sapere chi è mio marito  Pg. 133;

Io devo sapere chi è mio marito, chiede Francesca Fabiani, non è quello che dice  Pg. 167.

Mia madre è di nuovo davanti a Tom Ponzi: voglio sapere se la storia dei debiti è vera Pg. 185.

Teresa Ciabatti – la protagonista? la narratrice? l’autrice? – sperava di mettere ordine nel groviglio di eventi, sospetti, zone scure e illusioni in cui è cresciuta, invece questo groviglio non viene dipanato: in LA PIU’ AMATA la scrittura si rivela incapace di riparare il danno provocato dalla vita, essa resta gotica, soprannaturale, permeata di voci fantasma, talvolta in capriccioso falsetto se bambine, altre volte imperiose e risolute se adulte.

Le alterazioni della linea del tempo pare avvengano indipendentemente dalla volontà di chi scrive, che invece le subisce, sino a sfiorare la psicopatia.

Ne risulta un narrare inquieto, allucinato in certi punti, lirico in molti altri – la ripetizione ossessiva dell’affermazione “Mi chiamo Teresa Ciabatti e ho quarantaquattro anni” diventa una forma di autoconvincimento d’una identità ferrea che, in realtà, è pericolante.

Al termine della lettura compare l’immagine di una gallina albina già incontrata in altre pagine del romanzo. E’ una gallina bianca inafferrabile:

Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni, quarantanove, cinquantasei. Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho sessantun anni, gli anni di mio padre quando è morto, e inseguo la gallina bianca. Questa gallina bianca che zampetta sull’erba, col mago che tenta di riprenderla, chiedendo aiuto anche a noi (…). Prendi la gallina bianca, albina, che corre veloce, svolazza, e noi dietro con le mani protese, pronti ad afferrarla, io, mia figlia, i miei amici, i figli, tutti insieme, il pensiero di te, fratello, il ricordo di te, mamma, la paura di te, papà, ora la prendiamo (…). S’infila in un cespuglio, ed esce per sempre dalla nostra storia  Pgg. 217- 218.

Non è chiaro il significato di questa figura: il bianco serve a rendere nitido lo staglio della notte, a tracciare nettamente la linea di demarcazione tra il buio e la luce, può essere il colore della salvezza. Ma la gallina albina non si lascia afferrare: la salvezza è negata?

Con LA PIU’ AMATA – Mondadori, 2017 – Teresa Ciabatti pare ammettere che la scrittura non salva sempre, alle volte è sufficiente che ci ponga davanti uno specchio e che ci aiuti ad accettare una realtà distopica, senza l’urgenza di ottenere delle risposte appaganti.

Maria Bucolo

[1] Hermann Grosser, Narrativa. Manuale/Antologia. Ed. Principato 1985. Pg. 42.