Il pomeriggio colorato d’autunno era trascorso velocemente, quando abbiamo deciso di prendere una tazza di Tè. Avevamo camminato scegliendo gli scorci migliori della città, e parlato di ciò che avremmo potuto fare, ragionando sulle cose che ‘sembrano’ senza ‘essere’, sulle fiabe e le crudeli filastrocche per bambini, sul vigore che il fascino delle illusioni dà alle imprese.
Era un po’ tardi e il locale era deserto. Una giovane donna, lenta, sottile, elegante e silenziosa, preparava l’infuso e lo serviva con grazia orientale.
Il vapore profumato aiutava i pensieri a dissolversi e i sentimenti a scorrere galleggiando. Incrociammo lo sguardo, per rassicurarci che gli anni non avessero crepato di rimpianti quel patto, l’intesa giovanile. Ma la luce dei suoi occhi annichilì ogni mio pensiero, tutto tacque d’ipnosi. Cercai un alibi, per negare l’incertezza degli affetti dell’insensata gioventù, avrei voluto che quel tempo non fosse passato e non fosse questa l’età della mia vita. Invece, invece, mi sono dovuto rendere conto che ad ogni istante comincia un racconto che tutte le parole dette non hanno mai narrato.
Il suo volto, lentamente, si rilassò, ai miei occhi sembrò aprirsi in un sorriso.
La guardai senza parlare, tenendole le mani, provando una profonda emozione.
La luce della sera arrivava dalla finestra accanto.
“Sei stata Tu il sogno della mia vita. Il ricordo lieto pervenuto da lontano. Hai acceso distese d’immaginario e scortato lo smarrimento verso la ragione. Ti ho creduto aurora di un’alba d’estate e fuoco d’infinito di un crepuscolo. Con te svaniva il tempo e le parole da dire e ascoltare non bastavano mai. Questo avevo urgenza di dirti, perché è ciò che di tuo è rimasto intimamente mio”.