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UNA NUOVA STELLA NEL FIRMAMENTO DEGLI SCRITTORI SICILIANI

È sufficiente sfogliare le pagine della prima opera di narrativa di Fabiola Marsana intitolata “Il gelsomino notturno” (ed. Prova d’Autore, 2020, 76 pagg.) e osservarne la copertina (raffigurante l’opera di Maristella Marsana, realizzata in olio su tela 30x 50), per poter rivivere immagini, tradizioni e un’umanità tutta siciliana.

Scorrendo pagina dopo pagina si evince un calore armonioso e accogliente,  la nostalgia del passato, la distanza tra due luoghi (nord e sud) e due epoche (o due fasi della vita, il passato – la fanciullezza-  e il presente – il tempo della “ragione”-).  Fabiola scrive: “Cortili e vicoli solitari e silenziosi, testimoni di un passato che rivive nella memoria di chi ne è stato protagonista. Mi accingo a visitare, come se fossero dei musei, quei purticati (cortili) e quelle vanedde (vie), dove un tempo giocavo libera e spensierata […]” (pag. 53).

È come se i profumi della campagna, della vegetazione e dei banchetti cerimoniosi di oggi e di ieri vadano a combinarsi intrecciandosi in una unicità inconfondibile di colori e odori, in grado di attrarre magicamente il viaggiatore. Quest’ultimo, in effetti, può distinguere nitidamente l’atmosfera respirata in pianura padana dal cielo avvolgente presente già in qualsivoglia aeroporto siciliano (pur essendo lo stesso particolarmente inquinato a causa del traffico aereo).  Così la scrittura dell’autrice cattura magneticamente il lettore, lo stile semplice e chiaro, a tratti timido, catapulta tra meraviglie esclusivamente siciliane e nei posti della memoria.

Volti e pagine sono scanditi dai passi di una fanciulla felice, la si potrebbe immaginare saltellare qua e là, giocosa, tra l’erba fresca, i campi e le casette della sua terra, profumatissima, odorosa come nessun altro posto: “Mi rivedo bambina, insieme ad altri bambini, a mia sorella e mio fratello in quei cortili e vicoli chiassosi e vivaci.”. I tempi dei grattacieli e dello smog nordico sono ancora lontani, e lei a piedi nudi, felice e spensierata, stringe lieve la mano alla mamma o alla zia, o gioca a carte.

Pomodori, mandorle e gelsi si animano, sono simbolo della perfezione di Madre Natura, di armonia e divengono metafora;  così anche il gelsomino notturno, da cui è tratto il titolo dell’opera, contiene un messaggio propositivo, poiché come precisa l’autrice al lettore a conclusione del romanzo, simboleggia la forza della vita e della rinascita personale anche nei momenti più cupi.

Col passare delle lune, giunge il momento dell’età matura e della consapevolezza; il coraggio e la rabbia, unitamente a una grande determinazione, conducono in terra “straniera”, a seguito delle stragi di mafia e di un sogno premonitore. La figura di un’aquila si fa a sua volta simbolo del viaggio e della vincita della vita (oltre che della resurrezione): “Decisivo fu inoltre il sogno dell’aquila avvolta in un’aurea luminosa. Lo raccontai a mia nonna, lei era molto brava a interpretare i sogni […]”. E ancora: […] Ecco perché dopo tutte queste descrizioni nonna mi disse:«Avanti, ti ni po’ iri unna vo’ tu, pirchì cu nesci, rrinesci» (guarda avanti, te ne puoi andare dove vuoi tu, perché chi esce, riesce, oppure esce di nuovo)” (pag. 62-63).

La Lombardia, sullo sfondo, scorre fredda e frettolosa, non vi è tempo per fermarsi a pensare, per arrestare il cammino, che cede via via alla tecnologia e al progresso inarrestabile di una città caotica come Milano, affacciata sul mondo. La “strada del progresso” è piena di uomini e donne, di storie anonime in cammino, all’avanguardia, il tran tran quotidiano funge da metronomo vitale: è centro d’Europa, ma chissà nei grattacieli affollati quanta solitudine e ricerca di umanità.

La malinconia pervade il cuore dall’animo sensibile e giocoso, lasciando spazio alla dolcezza del passato, a ciò che vi è alle spalle. Ieri è fortemente contrapposto a oggi: “tutto è reale, non virtuale come oggi, quindi anche noi possiamo essere protagonisti di quella realtà”, scrive l’autrice  rievocando i “mini market ambulanti” (pag. 55). In fondo i tempi migliori sembrano essere quelli dell’attesa, intesi secondo l’accezione leopardiana de “Il sabato del villaggio”, ovvero i giorni della gioventù e dell’ingenuità. Le attese accompagnano il giovane fino all’età adulta e a nuova vita da un lato, a una sensazione di “esilio” dall’altro, tanto che l’autrice parla di “forestieri” per indicare “i paesani emigrati […]”(pag.50).

La testimonianza del quotidiano, l’uso frequente di terminologia dialettale e di espressioni proverbiali locali pongono l’accento su sensibilità ed empatia ma, soprattutto, imprimono nella mente del lettore il ricordo delle tradizioni e usanze isolane, in particolar modo di Butera, terra di origine della scrittrice, impreziosendo l’opera letteraria dal carattere autobiografico, coadiuvando la sopravvivenza di un mondo che oggi non esiste più o che lentamente va esaurendosi. Al riguardo nel corso della prefazione Mario Grasso, dopo aver definito l’autrice “una nuova stella nel firmamento degli scrittori siciliani”, rivolge un cenno all’importanza della memoria, realizzata da Fabiola e da altri eminenti scrittori siciliani, tra cui lo stesso Fortunato Pasqualino (parente tra l’altro dell’autrice), precisando: [… ]Un mondo che però continuerà a vivere per descrivere  come era quella volta la vita di ogni giorno tra Butera, Gela e Caltagirone […]” e rilevando : […] La Sicilia dove il dialetto non ha koinè e rispecchia immagini e suoni e tonalità dello stesso paesaggio che cambia continuamente per colori, vegetazioni, pietre e argille […]”.

“Il gelsomino notturno” è dunque memoria, tradizione e metafora della vita umana e della vita di un’isola incantevole governata da contraddizioni, il testo è connotato da riferimenti autobiografici espressi con delicatezza e raffinatezza proprie dell’autrice, la quale rivive anche ricordi e colori che credeva di aver dimenticato, successivamente riemersi per essere definitivamente fissati tra le pagine. Per concludere con le parole del maestro Mario Grasso: “la sensibilità umana non ha bisogno di passaporti per i momenti delle proprie passioni come per quelli dei più semplici sentimenti. C’è un Gelsomino notturno per ogni anima”.

Stefania Calabrò

Stefania Calabrò

E' nata a Milano nel 1985 ma da alcuni anni risiede a Lentini (SR). Laureata in giurisprudenza nell’Università di Catania, collabora alla pagina culturale di un noto quotidiano. È tra i componenti del Comitato interno di redazione di Lunarionuovo.