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A bocce ferme il dubbio si rinnova sulla volontà bene espressa di Bob Dylan di non ritirare il premio di Stoccolma. Chissà? Domanda che vale per un implorante. “Chi lo sa perché!” in forma d’interiezione, non d’interrogazione. Tanti sono convinti che i tempi dei cialtroni illustri siano finiti quella volta del dopo Hiroshima e Nagasaki, infatti è stato inventato anche il placebo pecoreccio del Secolo breve. Prendiamoci questa per buona adesso che le prove non ci sono. Fluttuante come una bottiglia in mare col suo messaggio inceralaccato, la fortuna s’è tolta benda e reggiseno e va a lume di naso verso l’incognita. Ma una civiltà che premia il cantante con un Nobel di letteratura non era stata messa nel conto dei semplici, né in quello degli eruditi abituati a scetticare, un po’ per esibizionismo congenito e puro, un po’ per far salire la temperatura nel più vasto ambiente. Ma ecco che il Bob raddrizza la miccia della bomba già calata dentro la bocca dell’obice e con toni di avvicinamento spiazza e convoca la piazza per la coincidenza datata del suo prossimo concerto a Stoccolma, come a dire il far pratico di un viaggio e due servizi. Detto tutto questo, purtuttavia (come solenni dicevano i nonni) il mio dubbio resta sul vecchio denominatore del denaro. Cioè quel piccolo assegno dotale che il Nobel versa a fondo perduto nel conto del premiato, che fine ha fatto o farà in tanto spreco di letteratura da Nobel tra musica e parole?

 

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