Allorquando iniziai la professione di “consegnacorrispondenza”, difatti non ero un postino, né un corriere, ebbi la poca accortezza di voler portare rinnovamento ed equilibrio in un luogo che però non necessitava né dell’uno né dell’altro. Mi spiego meglio. Premesso fossi l’unico in quel ruolo in quel borgo di poche buche da lettera, nell’euforia dell’incarico e con tutti i buoni propositi, pensai sarebbe stata cosa interessante invertire gli ordini di consegna corrispondendo al mattino chi fino ad allora corrisposto al pomeriggio, e viceversa.
Non avevo previsto imprevisti negativi, in realtà neanche positivi, ma avevo sì escluso del tutto una cattiva accoglienza verso la mia politica lavorativa. Ebbene, mi accorsi ben presto di quanto la mia ottica di rinnovellamento fosse la cosa più sbagliata che avessi potuto razionalmente concepire.
Uscii di buonora per iniziare il mio percorso invertito, ma i primi destinatari ai quali tentai di consegnare la corrispondenza non aspettavano corrispondenza alcuna in quel lasso di tempo: chi non rispondeva perché fuori di casa, chi perché temeva fosse un mascalzone imbroglione, chi perché non era intenzionato a ritirare quanto destinato in un orario diverso dal solito. In molti di quella zona, in quella fascia oraria, erano dediti a pigrare e tanti altri mi invitavano non a prender un caffè, bensì a recarmi dal demonio per direttissima, ritenendo indecoroso il mio operato che prevedeva suonassi il campanello ancor prima di lasciare lettere, cartoline, pacchi e pacchetti, ma non al mattino, bensì al pomeriggio.
Fu così che il giro mattutino si rivelò disastroso, con varie intimazioni di denuncia, secchiate d’acqua, qualche pianta grassa diretta in testa e scansata in parte per merito di discreti riflessi e in parte per la mira scadente di chi lanciava.
Con il carico pressochè intero, intrapresi la strada per tornare al mio ufficio, depositare quanto non corrisposto e farmi carico di quanto avrei dovuto iniziare a consegnare di lì a breve, scoccato l’orario pomeridiano.
In tutto ciò il peggio doveva ancora arrivare: in prossimità del mio ufficio, trovai ad attendermi una folla adirata per la mancata consegna della corrispondenza mattutina. Trattavasi proprio di chi, ignaro della mia idea di invertire gli orari di consegna, tra preoccupazione e sentimenti neri era uscito di casa urlando all’intollerabile disservizio. Signore e signori, non c’era alcun assente e mi si dava del cialtrone, del ladro, del mangiapane a tradimento ritenendo inconcepibili i tempi di attesa mai attesi perché in orario più che svizzero il mio predecessore si era sempre presentato, da più di un ventennio, e questo la dice lunga, alla stessa ora e forse anche allo stesso secondo. Perfino mio padre mi accusò di negligenza e di stupidità per la folle idea che sembra impossibile ma aveva sconvolto e stravolto le abitudini del borgo.
L’anticipo al mattino non era previsto e quello del pomeriggio fu considerato un ritardo dai paesani, un reato dalle Forze dell’Ordine lì in servizio.
Mi fu impedito di rientrare in ufficio, fui sollevato dall’incarico, interrogato e cacciato dal mio borgo natale.
Ebbi così la conferma che l’Italia non è un Paese pronto al cambiamento: tutti l’auspichiamo, lo pretendiamo, ma nessuno in realtà lo vuole davvero.