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“Genio e sregolatezza”, pur essendo formalmente la traduzione italiana del titolo della opera teatrale Kean, ou Désorde et Génie di Alexandre Dumas (padre), è un binomio la cui origine si perde nella notte dei tempi. Si tratta della realtà o di un banale stereotipo? Il pur ottimo Marco Cattaneo, qualche anno fa, sembrava avere le idee chiare, almeno per quel che riguarda l’ambito scientifico. Avendo frequentato l’ambiente scientifico per diversi decenni, mi permetto di dissentire.

Negli scienziati (e negli artisti) stravaganti, il genio e la follia possono convivere, rimanendo separati da un labile confine. Il fattore determinante del successo creativo è, infatti, la “disinibizione cognitiva”, vale a dire l’apertura mentale a stimoli, idee, immagini ritenuti, dai più, estranei o insoliti. Quando gli effetti negativi della disinibizione, che in genere accompagna anche la sregolatezza, riescono a essere arginati e incanalati, dall’intelligenza e dal metodo, nell’alveo del processo creativo, allora si è di fronte a un genio. La mia lunga frequentazione dell’ambiente scientifico mi permette di affermare che i geni rappresentano una esigua minoranza, rispetto al totale di ottimi, validi, modesti, o scadenti scienziati; di questa esigua minoranza, gli eccentrici, i disinibiti, gli “sregolati” rappresentano il 90 per cento. Ho trovato una pressoché identica percentuale in un altro ambiente (sportivo stavolta) che frequento da quasi 50 anni: il mondo degli scacchi. Mi sono immerso da troppo poco tempo nell’ambiente artistico-letterario per poter esprimere valutazioni di ampia portata, ma ho pochi dubbi sul fatto che Martoglio, stante la definizione di cui sopra, sia stato un genio. Proviamo a percorrere i momenti salienti della sua vita, inserendoli nel coevo contesto familiare, storico e sociale.

Nino Martoglio nasce a Belpasso nel dicembre 1870, meno di dieci anni dopo la proclamazione del Regno d’Italia, due mesi prima che Roma ne divenga la capitale, meno di due anni dopo l’entrata in vigore della “tassa sul macinato”. La madre è una maestra elementare. Il padre, amico di Giuseppe Mazzini, è stato segretario della “Giovane Italia” e ha partecipato alla spedizione dei Mille. E’ un giornalista affermato, fondatore della Gazzetta di Catania, del Corriere di Catania e, a Roma, de L’economista d’Italia, in società, tra gli altri, col Crispi. Nino a quattordici anni intraprende gli studi nautici, il che gli permette di compiere lunghe navigazioni nel Mediterraneo e nel Mar Nero. La colorita corrispondenza con la madre ha permesso di ricostruire l’intensa vita e gli amori intrecciati in quegli anni.

Diciannovenne, consegue il brevetto di capitano di lungo corso, ma, probabilmente assecondando i desideri della madre, rientra a Catania e già il 20 e il 27 aprile 1889, escono i primi due numeri del suo settimanale il d’Artagnan; “serio-umoristico illustrato” recita la testata, “arte – letteratura – polemica – teatri…. politica”. E’ una tra le decine e decine di testate che vedono la luce a Catania negli anni a cavallo tra i due secoli; quotidiani e periodici talvolta di sola cronaca e intrattenimento, ma molto più spesso di opinione e politicamente schierate. Già dall’articolo di presentazione ai lettori del primo numero del d’Artagnan, che titola “Occhio per occhio – dente per dente: è il nostro motto!”, si comprende il carattere battagliero e polemico della testata, le cui pubblicazioni regolari riprenderanno nel 1893, anche con rubriche di letteratura, di critica d’arte, di costume. Sempre attento a temi di carattere nazionale come la questione sociale, il ruolo della Chiesa, la politica nazionale, locale, e coloniale, puntuale su temi sia sociali che economici, acuto osservatore dei costumi, delle virtù e dei vizi di una città industriosa e viva come Catania, Martoglio, è l’anima e il corpo del suo giornale. I bersagli preferiti delle frecce della sua satira sono i medici, i politici, i carabinieri. Le querele per il contenuto dei suoi scritti, ammonteranno al centinaio. Oltre che firmare in proprio articoli e poesie, Martoglio utilizza una quantità incredibile di pseudonimi, a seconda dell’argomento dell’articolo; “Athos”, “Boja di Bethune”, “L’Uomo tetro”, “Porthos”, “d’Artagnan”, tra gli altri, nel caso di articoli dal contenuto politico; “Aramis”, “Chiacchierino”, “Frou-frou”, “Rudel”, “Vega” sono solo alcune tra le numerose firme delle diverse rubriche mondane; “Fante di cuori”, “fra Lanterna”, “don Ficcanaso”, “l’Ufficiale locatore” e tanti altri, sia per le notizie curiose che per i fatti di cronaca. La redazione del giornale conosce l’identità di quasi tutti coloro che si celano dietro un particolare pseudonimo; talvolta tale identità è nota anche ai lettori. Soltanto per “Italo”, la firma dei più pesanti, critici, polemici articoli di fondo a tema politico, non si ha la certezza che si tratti di Martoglio. Anzi, in diverse occasioni, è lo stesso Martoglio a smentirlo (quasi) ai propri lettori.

Il giornale tenendo fede alla sua testata, pubblica anche numerose poesie di autori locali e nazionali, tra cui le prime dello stesso Martoglio. Infatti, egli è anche precoce, raffinato, acuto, poeta dialettale. Nel 1890 viene pubblicata la raccolta di sonetti A’ tistimunianza, seguita cinque anni dopo da O’ scuru o’ scuru. Album di sonetti siciliani sulla ‘maffia’. Impegno sociale e di denuncia, ma anche temi più leggeri, tutti affrontati, sempre nel rispetto delle classiche strutture metriche del sonetto, con il fioretto dell’ironia, o con la sciabola del sarcasmo.

A proposito di fioretti e di sciabole, in quegli anni di attività frenetica, si susseguono, per Martoglio, i veri duelli alla spada, per motivi soprattutto politici. Un modo poco comune per risolvere una diatriba. Se ne conteranno oltre venti, al termine di molti dei quali Martoglio netta la spada passeggiando beffardamente per le vie del centro di Catania. Nel 1899 vede la luce un’altra raccolta di poesie Centona. Cinquanta sonetti nella parlata catanese. Tra il 1899 e il 1900 appare a puntate, sul d’Artagnan, una versione in dialetto siciliano (catanese) dell’Inferno di Dante, La Divina Commedia di Don Procopio Ballaccheri. Le poche precedenti versioni (per esempio, quella in milanese del Porta) erano delle traduzioni del testo originale dell’opera in dialetto. Martoglio, invece, utilizza i testi della prima cantica per farne una serie di parodie, in cui ridicolizza i personaggi coevi della vita politico-amministrativa, ecclesiastica e artistica locale.

Un esempio dell’ironico poetare martogliano lo fornisce il sonetto L’omu secunnu la tiuria darwiniana, le cui ultime due terzine recitano così:

Non artro, ca la signa è quattru manu, / – mentre che il sceccu è dittu: quattru peri…, / d’unni nni vinni il cungegnu unanu… / Cunsistenti (‘ddu libru sempri ‘nsigna), / – ca l’omo àvi du’ manu ccu du’ peri…; / e quindi è menzu sceccu e menzu signa!”.

Un altro esempio, ben più sarcastico. Lo danno alcuni versi del sonetto, intitolato Lu ritrattu d’un prefettu, di cui, sempre per brevità, riporto la prima quartina e l’ultima terzina:

Biniditta ‘dda matri ca vi fici! / Binidittu ‘ddu Diu ca vi criau, / siti daveri chiddu ca si dici / la vera effigi di lu nnannalau!/ …. / Ma chi nn’ha’ a fari, non vi scuraggiati, / ca siti lu ritrattu spiccicatu / di lu guvernu ca rapprisintati!”

Irriverente? Offensivo? Semplicemente geniale.

Dopo due precedenti falliti tentativi (1897 e 1900), nel 1902 “Martoglio Antonino – pubblicista”, così riporta la lista dei partiti popolari, viene eletto consigliere comunale a Catania. Uomo di cultura, ma anche di spettacolo, Martoglio, apprezzato dicitore dei propri versi, partecipa a due importanti convegni di poeti dialettali, a Roma, nel 1901 e a Milano, nel 1903.

Sono questi gli anni in cui Martoglio riduce la sua attività di pubblicista, stempera un po’ i toni della polemica politica del d’Artagnan e matura la decisione di orientare la propria creatività in maniera decisa verso il teatro, fondando e dirigendo, sempre nel 1903, la “Prima Compagnia Drammatica Dialettale Siciliana”. L’esordio avviene in aprile a Milano con Nica, a seguire, in giugno, Palermo con I civitoti in pretura. Sin da queste prime rappresentazioni il teatro di Martoglio si caratterizza per la grande varietà di temi e motivi ricchi di colore, dove gli aspetti più caratteristici e veri della Sicilia sono descritti in modo estremamente semplice, apparentemente semplificato ed esagerato. I personaggi delle sue opere sono in realtà i testimoni di un mondo in rapida evoluzione. Situazioni e personaggi, producono effetti fortemente comici, ma rappresentano anche la condizione di isolamento e di emarginazione, comuni nella Sicilia (ma anche in molte altre regioni) dell’Italia post-unitaria. Pressoché tutte le opere teatrali di Martoglio saranno caratterizzate da questi due piani di lettura, il comico e il sociale. L’intento? Condurre il teatro dialettale siciliano in tutta Italia, al pari delle altre “scuole dialettali” già affermate.

Associato agli aspri dissidi con i socialisti catanesi (e a non meglio precisate pesanti minacce ricevute), questo potrebbe essere il motivo per cui, nel 1904, Martoglio lascia Catania e si trasferisce a Roma. Ovviamente, cessa la pubblicazione del d’Artagnan, che ha ormai raggiunto la ragguardevole tiratura di oltre 20.000 copie, per una stima di oltre 150.000 lettori alla settimana.

Martoglio chiude così, questa fase della propria vita; esuberante, spaccona, sanguigna, eccessiva in ogni manifestazione, ma quasi sempre incanalata con intelligenza e con metodo di lavoro verso risultati geniali. Eccessività anche in amore, come testimoniato da numerosi episodi della sua biografia e da tanti dei suoi versi. Qui di seguito, due esempi. Il primo, è tratto dalla parte conclusiva di Nina, ed è esageratamente minaccioso e violento:

Sèntimi, ca ti dicu la tò sorti: / Haju un cuteddu ch’è comu un rasolu, / longu e lucenti, ccu la punta forti, / e notti e jornu l’ammolu, l’ammolu… / Ccu ‘stu cuteddu t’ha’ dari la morti, / ccu stu cuteddu t’ha’ fari un cafolu / ‘mmenzu lu pettu e po’ ccu l’ugna storti / t’ha scippari lu cori… e mi cunsolu!”.

Il secondo è il prologo a Tidda, e si pone all’estremo opposto, di una delicatezza estrema:

Ju patirria li guai di lu linu, / tagghiatu tuttu, poi stisu a lu chianu, / poi mazzïatu e fattu finu finu, / senza ca nni ristassi un filu sanu; / poi fattu matapolla e musulinu, / poi fazzulettu, pri li vostri manu; / d’accussì sulu vi staria vicinu / e no ca v’è guardari di luntanu!…”.

Due aspetti dell’amore così estremamente diversi, cantati entrambi con passione ed entrambi rigorosamente inquadrati nelle regole metriche del sonetto. A dire il vero, Nina, per la complessità dei sentimenti che ne pervadono il testo e per la loro evoluzione attraverso lo scorrere dello stesso, meriterebbe di per sé un saggio specifico a parte.

Col trasferimento a Roma inizia per Martoglio una seconda fase, un po’ meno turbolenta, della vita. Già nel 1905 si sposa con Elvira Schiavazzi, che nel giro di pochi anni gli darà quattro figli. Nel 1910 fonda a Roma, presso il Teatro Metastasio, la struttura stabile del “Teatro Minimo”, curando la regia di numerosi atti unici e portando sulla scena, nel 1913, le prime due opere teatrali (La morsa e Lumie di Sicilia) di Luigi Pirandello, già famoso come scrittore. Sarà la nascita della decennale amicizia tra i due autori, che negli anni successivi comporranno a quattro mani le commedie ’A vilanza e Cappiddazzu paga tuttu.

Nel 1913 Martoglio, intuite le potenzialità espressive e di diffusione del cinema, si cimenta prima nella sceneggiatura, poi dirige Sperduti nel buio, un film ritenuto dalla critica antesignano del neorealismo, nonché tra i migliori prodotti della neonata cinematografia italiana. Nei due anni successivi, Martoglio realizza altri tre film (purtroppo tutti sono andati perduti durante l’occupazione nazista di Roma) molto apprezzati dalla critica e ricordati per la loro straordinaria originalità e intensità creativa. Non è forse geniale un autore, che aveva nelle parole lo strumento principale per diffondere il suo il pensiero, sia riuscito a eccellere anche nel cinema, all’epoca muto? La sua attività cinematografica viene interrotta dallo scoppio della Grande Guerra; mentre la produzione teatrale in questi anni romani è impressionante, sia per la qualità che per la quantità delle opere (27 commedie tra il 1904 e il 1921).

Nel dicembre 1918 fonda l’ultima sua compagine teatrale, la Compagnia del Teatro Mediterraneo, attiva fino al 1920.

In conclusione, Martoglio riuscì a eccellere praticamente in tutte le attività creative intraprese; fu giornalista polemico, preciso e pungente, poeta rigoroso nello stile e acuto nei contenuti, fine oratore, commediografo stimato dal pubblico e (soltanto postumo) dalla critica, regista cinematografico dallo stile innovativo, battagliero (ma poco fortunato) impresario teatrale, scopritore di talenti in pubblicisti, autori e attori, poi di successo. Dotato di una non comune apertura mentale, paladino dei più deboli, polemico narcisista, eclettico e versatile, poliedrico come si compete ai geni, riuscì a contenere gli eccessi, le visioni, le esagerazioni, che fini a se stessi avrebbero portato al vizio e alla dissolutezza, incanalandoli positivamente nella creazione delle proprie opere. Resta l’interrogativo su che cosa avrebbe ancora potuto produrre l’estro di Nino Martoglio se, appena cinquantenne, durante il suo occasionale ritorno a Catania nel settembre 1921, non fosse stato vigliaccamente assassinato.

Stefano Gresta

 Bibilografia

Banna Ventorino Lia, 1974. Il D’Artagnan di Nino Martoglio. Giannotta Editore, 559 pp.

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https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/11/23/genio-e-sregolatezza-una-falsa-leggenda-da-mandare-in-soffitta44.html
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Rizzo Laura, 1994. Nel segno dell’Etna. Scrittori e poeti catanesi dall’unità d’Italia. Editrice Prova d’Autore, 174 pp.
https://treccani.it/enciclopedia/nino-martoglio_%28Enciclopedia-Italiana%29/”>
https://treccani.it/enciclopedia/nino-martoglio_%28Enciclopedia-Italiana%29/
https://it.wikipedia.org/wiki/Nino_Martoglio”>https://it.wikipedia.org/wiki/Nino_Martoglio
http://www.bollettino.unict.it/articoli/si-riapre-il-caso-martoglio

Stefano Gresta

Stefano Gresta nasce a Senigallia nel 1956. Si laurea in Fisica presso l'Università di Bologna nel 1980. Nello stesso anno si trasferisce a Catania, dove tuttora vive. È professore presso il locale Ateneo e le sue ricerche riguardano la fisica dei terremoti e dei vulcani. Coltiva la passione per gli scacchi e le immersioni subacquee. Autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche, con la raccolta di poesie Tèssere (2019, editrice Prova d’Autore) fa il suo esordio nel campo letterario. È socio del Gruppo C.I.A.I. – Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane.