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Certo che si vedono cose…, in questo posto…. A raccontarle, non ci si crede.

Il paziente Nunziato D’Angelo 73 anni, di Jato, ci è stato portato da familiari perché a loro dire, “uscito di senno”. Riporto in sintesi il colloquio, col figlio, accompagnato per l’occasione da non meglio precisati parenti:

«Sintomi?»

«Non si faccia portare fuori strada: mio padre ha cominciato a dire cose… che non si possono dire nella sua posizione… di uomo di responsabilità… ci sono interessi… Insomma lo dobbiamo fare interdire, per il suo bene e la tranquillità della famiglia…»

E fin qui nulla di inaudito, troppi ne hanno visto questi occhi! E niente di strano anche nel trovare il paziente poco propenso a farsi interdire: le solite questioni di eredità, cose che succedono nelle migliori famiglie… Mai mi sarei aspettato il personaggio che mi trovai davanti, nell’apprestarmi a colloquiare il paziente:

 

«Dottore, che gli hanno detto? Ah? Che disragiono, che la testa mi scattiò, come il bummolo fesso? Ma io, ancora gli piscio nella sacchetta, senza che se ne accorgono, a sti muccusi sucabruglio…» attaccò il paziente, non privo di una certa impazienza.

«Se feci certi ragionamenti, se l’arcangelo mi disse certe cose – o me le disse la testa, o me lo ragionai da me stesso, che importa? – è perché devo salire un altro piolo della scala, e mi creda è una vita che mi arrampico, e non mi posso fermare, e raggiunto un gradino, bisogna salire il successivo, non c’è che fare…»

«Che le disse l’arcangelo?» intercalai con meccanica ineccepibile professionalità.

« Che mi vuole prendere per fesso, dottore, a me? Ora le conto un conto e poi vede che fesso, semmai, mi feci, e non mi ci prende lei…

 

«Dal fondo del pozzo cominciai a salire, e non per dire: nacqui senza pianto, e ne approfittarono, per non sfamare un’altra bocca, per non mostrare una relazione storta, e – manco una mascata nel culo di tentativo – mi gettarono nel pozzo vecchio, che ormai faceva da discarica, su una culla di sterro, di tegole rotte e di grasciura.

Quando mi decisi a piangere – “Campa!” mi diceva l’arcangelo – il disgraziato che mi sentì, non se la sentì di lasciarmi morire, ma manco di darmi da vivere e mi portò alla ruota.

E che ero solo? La fila c’era, alla ruota, una ruota panoramica pareva, una ruota della fortuna! E le suore ci contavano i bocconi, che la fame abbondava anche per loro…

La prima ‘famiglia’ me la feci all’orfanotrofio, graffi e favori, noi e gli altri, sparti e comanda, sparti e tieniti la meglio parte, “Campa e lascia crepare le capre, sotto le panche!” mi diceva l’arcangelo, che la pietà era il viatico dei morti di fame, e le campane a gloria suonavano un giorno sì e l’altro…

Ancora cacanido (ma quale nido!) già avevo la mia comarca, che saccheggiavamo la dispensa, e sfamavamo i nostri, e compravamo il silenzio degli altri che si piegavano. Facevamo anche rattelli per i picciotti delle cosche: a far scantare mali pagatori di pizzo, a portare comandi agli ammucciati, a fare la civetta quando vedevamo le civette della polizia. Senza scanto e senza rimorso: ch’era per il morso della fame e per il morso di pane.

Quando mi scordai la fame, sentii ancora la voce dell’arcangelo – o a lei ci piace ‘della coscenza, del subconscio’? o preferisce ‘mi sono insonnato’? – sentii la voce che diceva: “Sali ancora un piolo.”

Mentre companaggiavamo, ammazzai il picciotto che ci faceva fare i rattelli e presi il suo posto. Da quel momento fu tutto come mettere un passo dopo l’altro. Mi accordai con la famiglia avversaria e sterminammo i capi mandamento: nessun dubbio, mi creda dottore, tutto necessità, compenso, lupo al lupo. Ora potevo fare un salto in avanti.

A quel punto, non era più questione di pizzo, altro gradino della scala!, e come si sperticavano a invitarmi, ai festi dei politici potenti, mandrie di ragazzine tenere come fossero maiali al macello, e si strafottevano il cervello con la coca e le pasticche, pure, ma poi votavano i provvedimenti giusti, al consiglio di amministrazione, al ministero, al parlamento. Appalti, concessioni, energia, immondizia. Omnia munda mundi. E niente più ammazzatine, ché il sangue allorda, e i vestiti me li facevo fare dai meglio sarti. E i conti cifrati accumulavano cifre: “I soldi amano girare?” mi diceva l’arcangelo.

E poi fu il tempo dei banchieri in ville da favola, yacht decametrici e giri di soldi da capogiro, che le discussioni sul debito pubblico mi parevano come contare i confetti al matrimonio. Manco più necessità di distorcere le leggi corrompendo politici per guadagnarci. E per i rifiuti: inceneritori che ci si scia sopra, e riciclo. Tanto i soldi non ne fanno pidocchi, camminano, corrono, vorticano e figliano altri soldi, e potere, e poi ancora soldi. Senza manco bisogno di rubare, privare, sopprimere.

“E ora col potere che ci fai?” mi diceva l’arcangelo. Come ‘che ci faccio’! Uno che ha potere può quello che vuole. “E tu che vuoi?” mi chiedeva l’arcangelo. Oh bella! Ma il potere, naturalmente. Comandare e meglio di…

Fu lì che conobbi ambiti, conventicole, massonerie, cabale, e potere senza fine in questa terra. Mangiare, fottere, persino comandare non valeva più nulla. Di più, ci voleva.

“E poi?” mi diceva la testa, la voce, l’arcangelo. “E poi? Qual è il gradino successivo? Cosa te ne fai del potere, dei soldi, e poi del potere che ne deriva e dei soldi che genera? Fai il prossimo passo…”

E quale può essere il prossimo passo? Lo chiedevo, con discrezione ai miei sodali, gente con la scuola alta il cervello fino del contadino tutti in uno, gente con le mani in tutte le paste e la testa in tutte le accademie: “Cosa ci facciamo con tutto questo potere?” chiedevo. “Comandiamo il mondo!” mi rispondevano. E correvano a farsi di roba raffinata per partecipare al festino più raffinato, da cui uscivano senza una voglia, che nessuna cifra al mondo poteva soddisfare. “Facciamo girare l’economia, altro giro altra corsa! Fiducia e coinvolgimento degli stakeholders

A quel punto l’arcangelo si fece più presente. Lo vedevo, mi parlava, mi ragionava: “Fai il prossimo passo, qual è il prossimo? Cosa c’è di più?” Questo mi diceva, prima nei sogni poi nelle allucinazioni, poi nelle visioni, nei consigli di amministrazione, nei meeting strategici.

In effetti, non avevo mai veramente speso un soldo del mio guadagno, del mio accumulo, tale che non riuscivo più a misurare. Avevo comprato con i soldi il potere e con il potere i soldi, senza fine senza fini. Investito senza scopo. Costretto dalla penuria avevo arraffato, privato, sottratto per sopravvivere, ma ora? Non c’era penuria manco a pagarla intorno a me?

Il passo successivo doveva essere l’uso del potere, “Usalo!” mi diceva l’arcangelo, “Fai ca la potenza diventi atto, che il risparmio diventi utilità, che l’utilità serva oltre l’utile, l’inutile, il superfluo il senza scopo, il senza interesse.” Così mi diceva l’arcangelo, o era la testa che me lo diceva, o era il mio ragionamento che mi spingeva in avanti.

E che poteva essere sto superfluo: il bello, la gloria, il bene!? Che faccio? Mi compro i quadri, le statue, i musei, siti archeologici interi, patrimoni dell’umanità? Costruisco le Sacrade Familie, le cupole del Brunelleschi, i Pantheon, e poi ci scrivo sopra il mio nome? Così cominciò la mia follia, dicono loro.

Quando mi chiedevano perché facessi questi investimenti, spiegavo che l’arte è un buon investimento che frutta meglio dell’oro, ma cominciavo a esagerare, a salire un altro grado, cominciai a finanziare enti di beneficenza, poi a intervenire nei meccanismi della finanza per far crescere il soddisfacimento dei bisogni, spiegando che così l’economia cresceva e avremmo potuto fare grandi affari, che se il popolo bue è contento, lo porti meglio al macello. Ma che te ne fai del bue macellato se sei già sazio e pure stomacato!

“Bravo!” diceva l’arcangelo, “fai un altro passo.”

Ma che devo, regalare? Aggiustare? Seminare? Convenire? Perdonare? Ma che sono fesso?

“Bravo! Ecco il passo. Il bummolo è pieno, la pignata del nano va rotta e le monete piantate a spampinare miracoli Fesso ti devi fare, mani spertugiate, gratuito e grato. La scala finisce in paradiso”

Quando cominciai a influenzare i politici per ridurre la povertà, e misi mano al patrimonio di potere e di denaro per alleviare le sofferenze, la ‘famiglia’ mangiò la foglia:

“Lo dobbiamo fermare: ammazziamolo.

–Che ammazzi? Non siamo più per le strade di Palermo. Attireremmo l’attenzione. Scomunichiamolo invece, facciamolo arrestare, meglio: scateniamo una campagna di odio su Instagram…

–Ma che dite, ci serve la sua memoria, la memoria del suo nome, per tenere in equilibrio il potere.

–Perché non lo sequestriamo facendo finta di essere il nemico, e poi glielo facciamo ammazzare?

–Macché, diamogli del pazzo, che solo i pazzi parlano, solo i pazzi campano. Facciamolo rinchiudere, si faccia curare, vediamo se poi torna sanato, e intanto ci prendiamo il nostro”

 

Eccomi qua dottore. Avanti!, mi faccia tornare sano, mi precipiti indietro nella scala per il paradiso, così posso tornare ad accumulare, magari a scannare, magari a morire e a far morire di fame, finalmente guarito… Forza dottore! Dia loro quello che vogliono quei furbi, faccia il furbo anche lei: mi faccia interdire.»

 

Meno male che possiamo interrompere il colloquio per cavarci d’impiccio.

«Il tempo è scaduto, continueremo la prossima seduta» dissi, tirando professionalmente un sospiro di sollievo.

Come si fa a non farsi coinvolgere! Questi matti sono un mondo più vivo dei vivi, meglio dei libri, meglio che a teatro. Poi uno deve tornare a riempire scartoffie, fare la spesa, compilare la dichiarazione dei redditi. Magari, la mia vita è un tutto racconto di una matto in terapia. Ma il matto che mi sta raccontando a me, deve essere matto scarso! Anche se devo ammettere, che almeno, mi fa divertire con i miei pazienti.

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«Dottore, ma quale “famiglia”, quale mafia, quale potere…» il colloquio con il figlio prometteva di aggiungere l’aggiunta (d’altronde chi conta…)

«Mio padre farnetica. E’ Chief Operating Officer della multinazionale MSRtrecoltronics, siede al consiglio di amministrazione di otto altre società in tutto il mondo, presiede enti di beneficenza e organismi internazionali no profit. Ha delle responsabilità che lei non può manco immaginare, e non è più in grado di sostenere il suo ruolo, gli avvocati che mi hanno accompagnato hanno bisogno di una sua diagnosi per avviare la causa di interdizione. Guardi cosa ha presentato all’ultimo meeting strategico:

 Le diciannove tesi della fessocrazia:

  1. Fessi si nasce. Furbi si nasce.
  2. Ognuno nasce fesso e nasce furbo
  3. Il furbo e il fesso condividono l’individuo e lottano per il controllo
  4. Furbizia e fessitudine inducono e si educano. Furbo chiama furbo, fesso chiama fesso.
  5. Il furbo è forte, intuitivo, immediato, potente, autosufficiente.
    Il fesso è dubbioso, sofisticato, lontano, ininfluente, bisognoso.
  6. Il furbo vince, il fesso spera e semina, il furbo raccoglie e fotte, il fesso ama
  7. Il furbo necessita di fessi, come il parassita del corpo. Scommetto che il fesso basta a se stesso.
  8. Il furbo priva, accumula, difende, spreca. Fotte, studia come fottere, e indaga su come lo stanno fottendo.
  9. Il furbo usa il potere per fare altro potere, il fesso lo utilizza per poter fare.
  10. La furbizia fotte il fesso ma anche il furbo, meno il furbo che il fesso, ma lo fotte. La fessitudine avvantaggia il furbo più del fesso, ma anche il fesso.
  11. Nel mondo dei fessi chi può fa e chi ha bisogno ha, e si scopre ce n’è per tutti
  12. I soldi dei furbi non esistono. I soldi dei fessi non servono
  13. La moneta del mondo dei fessi è la gratitudine. La moneta non si scambia ma si accumula. Più ne accumuli più ce n’è per tutti.
  14. Nel mondo dei fessi si lavora poco, si gioca tanto. E chi lavora fa solo cose importanti. Chi fa cose importanti lo fa perché capace (tanto non ne ricaverà altro che gratitudine, la stessa che ci mette lui)
  15. In fessocrazia la legge elettorale è il sorteggio. La politica un servizio. La giustizia marginale
  16. Il presente è dei furbi, il futuro dei fessi, solo che muoiono prima che il futuro arrivi
  17. Al furbo la battaglia ed il bottino, al fesso la guerra e l’altare alla memoria. Entrambi muoiono inappagati.
  18. La vita è dei furbi, la storia vostra, o fessi che avete letto tutto ciò.
  19. Io sono fesso, o almeno la parte di me che adesso scrive, o almeno così mi disegno (chissà per quale arcana furberia…)

 

Ma che si crede? Un riformatore, un profeta, un santo, un arcangelo sceso in terra? Immagini, dottore, il disappunto della platea internazionale, le risatine, le battute…Troppo stress gli ha fatto male! Mi creda, in queste multinazionali si può perdere il senno… Un buon padre fu, ma com’è ora: un bimbo è, un ubriacato, ubriachi e piccirilli dio li aiuti! Lo aiuti dottore, ci dia una mano…»

E ora che faccio?

Dott. Curiazio Mairone,

Istituto di Cura Mentale “Arcangelo Michele”, Palermo