Gli scettici definiscono il dubbio “l’esitazione ad affermare o negare” cioè l’attimo in cui si verifica l’ondeggiamento del pensiero, la sospensione tra due o più oggetti tra i quali operare una scelta. È il rifiuto del dogmatismo, il riconoscimento di un’incertezza dell’animo. Cartesio, con il suo “Cogito ergo sum”, ha travalicato i confini delle certezze e ha fatto scaturire dalla loro stessa essenza il dubbio, affermando che è appunto il Cogito, cioè non solo il pensare ma anche il dubitare, a rendere l’io-uomo, in quanto soggetto che dubita, un’entità reale. I nostri dubbi ci rendono reali, ci verrebbe da dire.
Nella letteratura, che è vita, il dubbio la fa da padrone. Amleto incatenato follemente a passi scanditi da dubbi che gli incendiano la mente, apparentemente delirante, annienta le eterne Ofelie e le loro soggiogate certezze.
E noi?
E noi siamo Ofelia. Cerchiamo negli altri le nostre verità e parallelamente ci facciamo rapire dai dubbi altrui, sommandoli ai nostri, e venendone schiacciati. Stravolgeremmo i fatti se affermassimo che Ofelia non viene trascinata a fondo, e non solo metaforicamente, dalla follia di Amleto ma dal turbinio dei suoi dubbi? Le domande creano il caos, sono deleterie, sembra sussurrare la vocina di sottofondo che assiste alla rappresentazione teatrale di cui siamo attori e spettatori. Le domande sono deleterie, sembra dire l’annunciatore televisivo. Le domande sono deleterie, sembrano urlare i quiz in cui si mettono in palio pezzetti di vita. I dubbi oggi sono destinati a sparire, oppure irretiscono ancora gli incauti pensatori, coloro che vagano con il pensiero, coloro che si spingono a tastare con mano quelle piaghe che, da altri, vengono solo nominate e mai realmente esplorate? Le nostre piaghe cosa nascondono? Le certezze precostruite che ingoiamo giorno dopo giorno. In tempi di precarietà (mai parola più funesta al giorno d’oggi) si sa, l’uomo preferisce gettarsi a testa bassa su assiomi insinceri piuttosto che scavare nel proprio giardino-pensiero. Consapevoli della dicotomia (già pirandelliana) vita VS forma, ci ammiriamo nella vischiosa pozzanghera in cui affondano le nostre caviglie e scegliamo la placida forma mistificatrice.
Sbocconcelliamo certezze surgelate e rifiutiamo granitiche domande. Eppure sono proprio quelle domande creatrici di caos, generate dalla stessa primigenia babele che rinnovano, a creare un nuovo ordine, poiché è proprio il dubbio che ci spinge sulla via, spesso tortuosa, che conduce alla riposta restauratrice dell’armonia. Così, più che le risposte, sono le domande le effettive risanatrici dell’equilibrio.
Brecht nella sua Lode al dubbio scrive: “Sono coloro che non riflettono a non / dubitare mai. Splendida è la loro digestione, / infallibile il loro giudizio. / Non credono ai fatti, credono solo a se stessi”. L’indeterminato è fondamento del mondo, nonostante ci si voglia, e ci vogliano, convincere del contrario, poiché nel nostro oggi tutto deve essere certezza e l’oscillazione del dubbio viene sistematicamente soppressa da una tecnologica sicurezza in cui a un’azione corrisponde una reazione, a un pulsante una risposta e a un “perché?” un monito di disappunto, cosicché preferiamo rimanere in attesa di Chi (inatteso?) sappia sciogliere nodi, divincolarsi tra labirintiche matasse e assegnarci il nostro intorpidito posto nel mondo. Ognuno di noi ha il proprio dio personale, e non è tanto importante Chi o Cosa sia, quanto il perché lo si innalzi a questo ruolo, confinando noi stessi alla mansione di teatranti che si riflettono in specchi precostruiti. Superfici che a volte cadono in frantumi al passaggio (nelle nostre menti) di fulminee rivelazioni. Nella restante parte dei casi, la maggioranza, ci accontentiamo di apparenze fugaci e releghiamo i nostri dubbi lontano dagli occhi, nello scaffale in alto a destra.