Nel ventunesimo secolo si aggira tra le vie delle città italiane un essere speciale, Bignomo è il suo nome. Arriva dalla Libia e appare come un esserino piccino piccino, è alto non più di un taschino, bruttarello all’apparenza, ma poco importa poiché nessuno ha il dono di vederlo tranne bambini e animali. Con poteri straordinari, Bignomo è in grado di planare da un posto a un altro con una rapidità unica. Nelle autostrade sfreccia lui stesso tra le auto con un metodo tutto suo: rimbalza da una macchina a un’altra e sfruttando la forza motrice delle stesse compie salti lunghi diversi chilometri. Non possiede quasi nulla, solo una bacchetta, ma sembra più la bacchetta del direttore di un’orchestra, eppure fa del bene. E dal taschino estrae cose di ogni genere, non gli manca quindi alcunché pur essendo cuor vagabondo dal cappello rosso a punta più alto di lui! Se non fosse un esserino unico e la cui presenza, intelligenza e poteri sono inspiegabili, si potrebbe pensare a un esperimento medico non esattamente ben riuscito, un po’ come il topino Algernon.
Parecchi anni orsono Bignomo, nel corso del suo vagabondaggio, si decise a salpare lasciando prima la Libia, girando quindi vari paesi e ancora salpando oltre lo Stretto di Messina. Come fu, come non fu, si ritrovò a passeggiare tra le vie di Catania ma rimase incantato in centro, lì immobile nella maestosa piazza Duomo. Con un sol balzo si riportò e montò a cavalcioni sul “Liotru”, anche se quell’obelisco posto sul dorso dell’elefantino non era poi molto comodo. Il suo cappellino allungabile rosso fuoco con telecamera incorporata a far capolino dall’alto gli permise uno sguardo a trecentosessanta gradi. Rimase affascinato alla vista del Palazzo degli Elefanti, sede dell’amministrazione comunale, di Palazzo Chierici, collegato al Duomo tramite la Porta Uzeda. Ma restò folgorato dalla maestosa Cattedrale, simbolo della Regina di Catania, tanto ammirata e adorata dai cittadini. La facciata, ricostruita in stile baroccheggiante, doveva essere ancor più meravigliosa prima del devastante terremoto del 1693 con la vista anche dell’alto campanile poi crollato.
Si iniziò a domandare quale misteriosa forza potesse celarsi dietro a tanta devozione verso Sant’Agata, tale da indurre migliaia di persone a riversarsi nelle vie della città proprio nei giorni più freddi dell’anno per rendere grazia alla Santa protettrice. Scorse la grande umanità degli abitanti del luogo, decise di fermarsi e stabilirsi a Catania. Pensò allora a un desiderio profondo, mai realizzato e irrealizzabile, quello di farsi uomo tra gli uomini e cessare il suo vagabondaggio da una città all’altra, immortale, invisibile ai più e sempre in cerca di bisognosi che mai potevano e dovevano sapere del bene ricevuto. Rivolgendo le sue preghiere alla Santuzza, si sistemò a dormire tutte le notti in una panca della Cattedrale, scegliendo l’ultima a destra della enorme navata centrale, posizionando tutte le sere il suo amato cuscino blu estratto dal taschino della giacca e suonando la sua adorata fisarmonica.
Un bel giorno si risvegliò uomo. Non era più invisibile agli occhi di nessuno, tutti lo vedevano, lo osservavano e lo giudicavano. Si mise dunque subito al’opera per risolvere i problemi cittadini, rivolgendo uno sguardo attento alle difficoltà degli abitanti. Era stato dotato di un cellulare e di una carta d’identità del tutto peculiare poiché cangiante in base alle esigenze lavorative. Avvocato, medico, giudice, operaio, politico o imprenditore, insomma un jolly a tempo pieno. Trovò la soluzione ad alcune problematiche, si portò spesso in mare per salvare dalle acque e dalla morte certa chi era alla ricerca di una vita dignitosa, riuscì a sbattere in gattabuia qualche malavitoso non solo di nome, ma anche di fatto. Solo che il suo telefono non smetteva mai di squillare, tutti cercavano e chiedevano del Sig. Bignomo, ora sindaco, ora avvocato, insegnante o magistrato, o anche falegname o idraulico, o addirittura “responsabile bacchettone di rubagalline” e “riempitore di spiagge in ritirata” per il progressivo innalzamento termico e, conseguentemente, delle acque marine. Entrava nelle case delle persone e nel cuore della gente, che non ricordavano quale mestiere o carica avesse ricoperto qualche giorno prima: quando non lo invidiavano per le sue innumerevoli doti gli volevano bene come fosse l’amico di sempre.
Bignomo, dopo anni di fatiche e lavoro al servizio altrui e dopo aver incontrato una donzella dai capelli rossi per la quale aveva perduto la testa, comprese che era giunto il tempo di andare in pensione. Dentro il cuor suo non sapeva come quella splendida città avrebbe potuto fare senza d lui, ma il suo tempo da essere umano doveva giungere al termine. Non senza gratificazioni e senza pensare a come aver cura del luogo che molto gli aveva donato… Una sera tornò dunque in Cattedrale, si posizionò al solito posto della navata centrale dove si addormentò in preghiera, abbracciato alla sua dolce amata Bignoma.
Il giorno dopo qualcuno sostenne di aver intravisto l’ombra di due cappelli rossi aggirarsi tra le panche della navata centrale della Cattedrale di Sant’Agata per svariate ore, il guardiano della stessa avrebbe rimproverato due giovani rimbrottando che in luogo sacro fosse vietato suonare la fisarmonica (i due poveretti con aria spaesata erano scappati a gambe levate dalla vista dell’uomo) e poi, qualcuno avrebbe persino giurato di aver visto gli stessi due cappelli lunghi sull’elefantino di Piazza Duomo.
Ogni tanto, nel fresco delle ore notturne, si ode la dolce melodia di una fisarmonica provenire da qualche parte ma non si comprende da dove e Marco, nato quattro anni fa, racconta a mamma e papà di avere uno strano amico immaginario dal cappello rosso.
Bignomo continua a insegnare agli amici che il bene è sempre nascosto, è nascosto nei meandri più impensabili della città e di ognuno di noi.
Stefania Calabrò