| a V.S. Gaudio |
Certo che ricordo che
rientrare a notte
al tetto
illuminare
senza che ci fosse la luna
spegnere vedere
la notte vedere
incollato al vetro
il viso che poi in shqip
la mirlitonnade di Beckett
faceva
kthehem
natën
të çati
të ndriçhem
për të shuar shoh
e natë shoh
ngjitur[i] qelqi
i fytyrë[ii]
e tu a ridere come se
fossi Bernardetta La Froscia
solo che non ero… tutto sommato
tirate le somme
mi dicevi un quarto di Bernarda
sarebbe una Bernardetta
e quanti quarti d’ora?
mi chiedevi come se fossi Lucrezia Borgia
in quel suo quarto d’ora alla Biblioteca Malatestiana
di Cesena dove senza contare i tempi morti
quando te ne andavi a spasso in via Zeffirino Re
in capo al tuo meridiano ero sempre il tuo
maledetto oggetto “a”, d’accordo l’estremo
limite del niente solo nella tua testa
ma tu mi prendevi per il cravattino
che avevo ragazzina e ascoltavi
le parole congiungersi
alle parole
senza una parola
i passi
ai passi uno a
uno quando mi guardavi
passare per la piazza della
verdura e dei peperoni
quello, solo un passo, mi avresti detto
mezzo giro e bagliori limiti
della navetta piuttosto immagina
se questo
un giorno questo
un bel giorno
ce ne stavamo a toccarmi sul
lungomare un bel giorno
imagjino në qofté[iii] se ky
një[iv] dytë ky
një bukur ditë
imagjino në qoftë se një ditë
një bukur ditë ky
të pushonte[v]
allora mi tenevi dapprima
sul piatto sul duro
la destra
o la sinistra, la tua mano
non importa, mi sussurravi
dillo, Benedetta, di piatto
sulla destra, non sono una Froscia
né Benedetta, la cugina, né Bernardetta,
e allora perché dovrei dirtelo
di piatto sulla sinistra
prej sheshtë mbi e màita
à plat sur la gauche
avrebbe scritto almeno sei anni
dopo Samuel Beckett, ou la droite
n’importe
sur le tout
la tête
mbi tërë
e kokë
mia maledetta testa di cazzo
questo ti dissi un giorno
e me ne stavo andando
e tu a ridere sabato riposo
e io basta ridere
da mezzanotte
a mezzanotte
vai a farti fottere da quella
Benedetta La Froscia
Kokë i rròçki[vi]!
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[i] │gj│ha un suono intermedio tra “gi” e “ghi”.
[ii] La │ë│ è semimuta. La │ç│si pronuncia “c” di cibo, cena. La │y│è come la “u” francese. O, al limite, la “ü” tedesca se non lombarda.
[iii] La │q│ha un suono intermedio tra “ci” e “chi”.
[iv] │nj│come la “gn” di “cognome”, “gnocco”.
[v] │sh│come la “sc” di “scemo”.
[vi] │Rròçk│, in arbëresh, è “cazzo”, che non si può dire e nei dizionari postmoderni di arbëresh dicono “pene”, “organo genitale maschile”. Ma sta anche per “idiota”. Di suo, rroçkarjèl, che sembra più carino quasi un vezzeggiativo, sta per “imbecille”, “stupido”. Cazzone, no?