monaco

 

Il vecchio monaco alzò la testa dal libro, un in folio stampato all’incirca verso la fine del secolo XVI in una stamperia nascosta in un angolo oscuro del quartiere ebraico della sua città. Negli occhi un’espressione di gioia e, insieme, di stupore: la chiave del linguaggio universale, l’aleph di tutte le parole dell’umanità era sciorinata dinnanzi al suo sguardo… Non credeva al suo cuore e ai suoi sensi; tutti i segni del linguaggio umano, dal codice di Hammurabi fino all’anno dell’edizione dell’in folio, guardavano, con occhi che sembravano ora fargli un cenno ora, invece, ridere… Tutte le lettere, le parole, tutto il pensiero umano in un compendio angosciante, in qualche pagina sfogliata e toccata da centinaia di mani e dita, osservata da centinaia d’occhi e desiderata da centinaia di cervelli.
L’aleph di tutte le parole e il beth di tutti i pensieri: migliaia e migliaia di teste che hanno pensato ed hanno tentato di dire i loro pensieri, compresi o non compresi da coloro che stavano loro intorno. Eppure, niente di tutto ciò c’era dentro a quelle pagine massicce e saccheggiate dalle ferite del tempo. Solo una volta, tanti anni prima, il vecchio monaco aveva creduto di essere giunto a trovare il limite della sua ricerca: un rotolo di pergamena coperto dalle iscrizioni e dalle incisioni più affascinanti, dalle figure più strambe e straordinarie… ebbene: niente di tutto ciò era servito a fargli cessare la voglia di trovare la sorgente del pensiero, la polla di tutte le allucinazioni della mente dell’uomo.
Consonanti e vocali, suoni gutturali e suoni labiali, mescolanza di voci aperte e di voci chiuse, svolgersi di segni da sinistra a destra e dondolarsi di figure da destra a sinistra, davanti e dietro, sopra e sotto, e tutto con un senso che solamente pochi sanno capire. Dalla Torah fino agli ultimi rappresentanti della scrittura: tutto aveva letto e tentato di spiegare, ma mai il senso delle parole era uscito limpido e spontaneo dall’insieme degli sgorbi messi lì a cercare di dare una ragione al pensiero ed alla vita…
E adesso, adesso forse la strada era aperta: la strada del suono unico, del suono che può far risuonare senza alcun errore il senso più intimo e profondo, il suono che non rischia di creare confusione nel cuore di chi legge, il suono che riproduce il senso più antico, il suono della parola in cui le vocali non possono alzarsi dinnanzi alla grandezza delle consonanti, in cui nessuna vocale (il “femminile” della parola – aveva sempre pensato nella sua vita) può confondersi con il “maschile”: la consonante, il risuonare stesso della natura che crea, all’alba del mondo, l’immagine del pensiero che si fa parola; e parola intelligibile, parola che è il senso del pensiero dell’uomo, parola in cui la vocale muore prima ancora di nascere, in cui la vocale rinnega la sua essenza stessa e riconosce la consonante creatrice del suono che esiste nell’unico solco del pensiero. La parola, che riempie la pagina del libro, che è il libro stesso, la pagina che è insieme ultima e prima, che si legge alla fine e al principio di ogni sforzo, che si legge ma che non si dice, che non si può dire per non staccare il suono primigenio dalla sua immagine visibile

JHWH

 

 

Leone Inaudi

Nato nel territorio dell’antico Marchesato di Saluzzo da una famiglia originaria della valle Maira, ma cresciuto ed educato a Torino nei ruggenti ’60, predilige la narrativa breve in italiano, in cui si presentano sempre tematiche e prendono forma figure legate in modo strettissimo alla sua terra. Tornato nei luoghi della sua nascita ed infanzia, per vivere è giornalista e collaboratore di alcune piccole (ma attive) case editrici. Non ha ancora pubblicato nulla su carta.