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Verga conosceva bene la vita claustrale, poiché due sue zie avevano preso il velo, mentre Donna Giovanna, un’altra zia che era rimasta nubile, era stata educata in un monastero. La madre, Donna Caterina, che era anch’essa passata per una badia, quella di Santa Chiara, non aveva mai nascosto nei suoi racconti la durezza dell’educazione claustrale.
Nel saggio Storia della ‹‹Storia di una capinera››, riferendosi all’estate del 1870, in relazione alla pubblicazione a puntate sulla rivista, De Roberto aveva affermato:

Il 20 luglio, restando ancora il Verga a Catania, riceveva dal suo illustre amico e rimandava le prime bozze, che il Dall’Ongaro rispediva a sua volta a Milano dopo averci dato un’occhiata, mentre il giornale di mode, ‹‹La Ricamatrice››, pubblicava l’opera a puntate[1. F. DE ROBERTO, Storia della ‹‹Storia di una capinera››, in Casa Verga e altri saggi verghiani, a cura di C. Musumarra, Le Monnier, Firenze 1964, pag. 165.].

De Roberto era giunto a questa congettura, che si era poi trasformata in certezza, dopo aver analizzato alcuni carteggi verghiani, in particolare frammenti di lettere scritte da Dall’Ongaro e dallo stesso editore della Capinera, Lampugnani.
Nella lettera del 31 maggio 1870, Dall’Ongaro scriveva a Verga:

Il sig. Alessandro Lampugnani […] accettò di stampare il romanzetto per suo conto […]. Accettai, e condiscesi pure che ne facesse conoscere lo spirito, pubblicando qualche pagina staccata nel giornale. Questo non nuoce. […] Non badate ai frammenti che pubblicherà anzi tratto[2.  A. DE GUBERNATIS, Francesco Dall’Ongaro e il suo epistolario scelto, Tipografia Editrice dell’Associazione, Firenze 1875, pag.236. In realtà, come sappiamo, Lampugnani non pubblicherà solo qualche pagina, ma l’intero romanzo.].

Lo stesso Dall’Ongaro il 20 luglio 1870:

La Capinera piace anche sbocconcellata, e piacerà moltissimo unita[3.  Lettera di F. Dall’Ongaro a G. Verga, Firenze, 20 luglio 1870, cit. in. G. BERARDI, La Capinera ritrovata, pref. a G. VERGA, Storia di una capinera, a cura di M. BRUSADIN, Edizioni Studio Tesi, Pordenone 1985, pag. IX.].

Nella lettera-contratto del 28 gennaio 1871 l’editore Lampugnani comunicava a Verga:

Pregiato signore, cento franchi che Le unisco sono il mio dovere per il cedutomi Racconto della Capinera, che sarà stampato con tutte le correzioni che Lei vi ha fatte (se possibile Le manderò le stampe per una nuova correzione, non amando errori). A suo tempo Le manderò cinquanta copie del libro e più comprendendo nel contratto anche la ricamatrice 1871 per le Sue sorelle[4. F. DE ROBERTO, op. cit., pag. 166.].

Soprattutto quest’ultima lettera portò De Roberto ad ipotizzare, e successivamente ad affermare, che la rivista su cui era avvenuta la pubblicazione di Storia di una capinera fosse proprio ‹‹La Ricamatrice››, poiché attribuì ‹‹il titolo della rivista citata nella terza lettera all’innominato “giornale” della prima››[5. G. BERARDI, La Capinera ritrovata, cit., pag. X.]. Questo spiega perché, in virtù dell’indiscutibile autorevolezza di De Roberto, il medesimo errore-equivoco abbia interessato gli studiosi di Verga, ‹‹coinvolgendo bibliografi come Gino Raya, biografi come Nino Cappellani (ma da segnalare la cautela di Giulio Cattaneo), filologi come Carla Riccardi e Gian Paolo Marchi, critici come Roberto Bigazzi ed Enrico Ghidetti […]. Non c’erano motivi per non prestar fede a De Roberto››[6. Ibidem.].
Il dilemma venne sciolto nel 1985 da Maura Brusadin, la cui ricerca prende avvio dalla constatazione di un evento singolare: nessuno aveva accennato a divergenze esistenti fra l’edizione in rivista del 1870 e la prima stampa in volume del ’71. L’epistolario verghiano faceva emergere un altro aspetto interessante: mentre Verga si era dilungato nel correggere le bozze del volume (e sappiamo che cosa significasse per Verga correggere bozze), non era riuscito ad apportare correzioni per la rivista (forse per scarsità di tempo), che così assurgeva al ruolo di testimone unico della redazione originaria della Capinera.
Diveniva così di fondamentale importanza il reperimento dell’annata 1870 della rivista  di Casa Lampugnani, in modo tale da rendere possibile un accurato confronto con la prima stampa.  Ma di Storia di una capinera, nell’annata 1870 della rivista ‹‹La Ricamatrice››, non vi era alcuna traccia: diveniva così necessaria un’esplorazione più approfondita di tutta l’attività editoriale della Casa Lampugnani.
‹‹La Ricamatrice››, rivista pubblicata dal 1848, nel 1860 si era trasformata nel ‹‹Giornale delle famiglie – La Ricamatrice››, e solo nel 1874 avrebbe modificato ulteriormente la sua testata in ‹‹Corriere delle dame – La Ricamatrice››. Questo significa che solo nel 1874, dopo un biennio di silenzio, il ‹‹Corriere delle dame – giornale di moda ed amena letteratura››, la più antica rivista di Casa Lampugnani, si fuse con la testata ‹‹La Ricamatrice››.
L’edizione in rivista della Capinera era stata ritrovata, e non su ‹‹La Ricamatrice››, ma sulle pagine del ‹‹Corriere delle Dame››, anno LXVII, nn. 20-34 (dal 16 maggio al 22 agosto 1870). Per la Brusadin ‹‹fu allora inevitabile la certezza che la rivista menzionata nella lettera di Alessandro Lampugnani a Verga non avesse null’altro che l’editore in comune col “giornale” citato nella prima di Dall’Ongaro››[7.  Ivi, pag. XI.].
Il ritrovamento della princeps, che forse nemmeno lo stesso Verga aveva avuto l’occasione di vedere, portò ad un’importante conclusione: se le divergenze tra l’edizione in rivista del ’70 e quella in volume del ’71 non erano state segnalate, era solo perché nessuno ne aveva indicato la sede, né aveva messo in dubbio l’affermazione di De Roberto.
La pubblicazione su rivista della Capinera riscosse un grande successo, tanto che ne seguì un’edizione in volume sempre per Lampugnani, che tuttavia vide la luce solo nel dicembre del ’71. Il testo uscito in rivista non era stato controllato dall’autore catanese, il quale per la prima edizione in volume apportò degli interventi consistenti. Per questo non si può parlare di una semplice revisione di refusi, ma di ‹‹un imponente lavoro correttorio (la solita prevaricazione verghiana sulle bozze) ››[8.  Ivi, pag. XII.].
Francesco Branciforti afferma che Verga non ‹‹ha assistito inoperoso al passaggio del suo romanzo epistolare dalla rivista in volume; come sempre, non solo ha corretto le numerose sviste tipografiche, ma ha introdotto modifiche lessicali di un certo rilievo […] e soprattutto ha levigato la forma sintattica, eliminando locuzioni superflue o approssimative e superando faticose circonlocuzioni››[9.   F. BRANCIFORTI,  Lo scrittoio del verista, in G. GALASSO e F. BRANCIFORTI,  I tempi e le opere di Giovanni Verga, Le Monnier, Firenze 1986, pag. 78.]. Le correzioni approntate sono le più numerose che il romanzo abbia subito, benché ancora nella seconda edizione del 1873, edita per Treves, l’opera abbia ‹‹sentito nuovamente la mano dell’autore››[10. Ibidem.], subendo una revisione lieve ma diffusa.
La prima pubblicazione in volume era inizialmente stata prevista per la primavera del 1871, così come si evince da una lettera di Dall’Ongaro a Verga, nella quale il primo annunziava che ‹‹la Capinera avrebbe quindi salutato “la primavera imminente”››[11. F. DE ROBERTO, op. cit., pag. 166. ].
Il romanzo, la cui uscita fu ritardata fino alla fine del 1871, venne pubblicato con una prefazione di Francesco Dall’Ongaro sotto forma di lettera alla contessa Caterina Percoto, scritta a Roma il 25 novembre dello stesso anno, prefazione che poi verrà soppressa nelle edizioni seguenti, già a partire dalla seconda edizione, la Treves del 1873. Riportiamo qui di seguito la lettera-prefazione:

ALLA C. CATERINA PERCOTO

Ottima amica,
Un giovane siciliano, gentile di modi come d’aspetto, mi consegnava un anno fa certi fogli, pregandomi di volerli scorrere, e  proferire un giudicio sulla dolente istoria che contenevano.
Erano lettere di una monacella siciliana, scritte e scambiate con una sua compagna ed amica. Pensai sulle prime di mandare quelle pagine d’una vita di dolore e di abnegazione a voi che siete maestra in siffatta materia, ma poi la lettura di quelle epistole, o meglio i fatti che dipingevano al vivo, mi afferrò per modo che non le deposi se non letta l’ultima, ch’io stesso, vecchio nell’arte, bagnai di lagrime vere.
Il mio giudicio era così proferito, onde in luogo di mandarvi i fogli manoscritti com’erano, li diedi al nostro Lampugnani perché li stampasse, e diffondesse al maggior numero dei lettori, l’emozione ond’era stato compreso a quella prima lettura l’animo mio.
Ora voi li leggerete qui pubblicati in questo bel volumetto in fronte al quale volli porre il vostro nome, come eccitamento ed augurio al giovane scrittore che si mette sotto la nostra bandiera.
Roma, 25 novembre 1871

FRANCESCO DALL’ONGARO

In vista della prima edizione in volume, il 28 gennaio 1871 Verga ricevette una lettera assicurata, con cinque bolli di ceralacca, in uno solo dei quali erano impresse le iniziali A. L., Alessandro Lampugnani. L’editore, che gli spediva cento lire, scriveva:

[…] cento franchi che Le unisco sono il mio dovere per il cedutomi Racconto della Capinera […].

Le cento lire erano il compenso per la prossima edizione a stampa: forse non era un gran somma, ma era il primo guadagno letterario del giovane Verga, il primo compenso della sua carriera, che all’epoca gli parve un tesoro.
Nelle lettere fiorentine spedite alla famiglia ‹‹può stupire la considerazione esclusivamente economica che lo scrittore sembra rivolgere alla propria attività narrativa […] ad ogni riferimento al romanzo […] si accompagnano quasi sempre calcoli riguardanti i possibili guadagni […]. Dietro l’insistenza su queste note contabili, sugli accurati calcoli dei profitti a breve e lungo termine […] stanno certo il bisogno di confortare la madre, il desiderio di ripagare la famiglia per le spese e i sacrifici affrontati, l’urgenza di dimostrare gli aspetti remunerativi della carriera di scrittore. […] Ma al di là dei motivi contingenti, ciò che rende possibile questa spregiudicata quantificazione economica è la nuova idea […] dell’attività letteraria come lavoro››[12. I. GAMBACORTI, Verga a Firenze, Casa Editrice Le Lettere, Firenze 1994, 134-136. ].
Esempi illustri di intellettuali che vivevano della propria arte erano, tra i tanti, De Sanctis, Carducci, Francesco Protonotari, direttore della ‹‹Nuova Antologia››, oltre allo stesso Dall’Ongaro, che forniva l’esempio dello scrittore remunerato per la propria attività letteraria. Questi sottolineava il valore economico dell’arte, anch’essa una merce, cosa di cui era ben consapevole lo stesso Verga.
I rapporti tra Giovanni e i fratelli Giuseppe ed Emilio Treves sono ampliamente documentati dalla sessantina di lettere indirizzate dallo scrittore a quelli che furono i suoi maggiori editori; sono lettere collocabili in un arco di tempo che spazia dal 1869 al 1920. Il carteggio, illuminante per la comprensione di un rapporto che col passare degli anni divenne progressivamente più profondo, costituisce la prova di un’intesa che va la di là del mero rapporto scrittore-editore e sfocia in una solida amicizia, fatta di consigli, di inviti a pranzo (soprattutto da parte di Virginia Dolci Tedeschi, compagna di Giuseppe), di richieste di prestiti e di diritti d’autore da parte di Verga. È un’amicizia «che non consente colpi bassi, ma neanche smancerie e generosità più o meno teatrali»[13. G. RAYA, Verga e i Treves, Herder Editore, Roma 1926, pag. 7. ], sicché «non perde mai, da parte del Verga, la tendenza a richieste non solo di diritti d’autore, ma anche di anticipi e prestiti, né, da parte del Treves, la tattica benevola perché l’autore non gli sfugga, non senza fermezza quando questo allunga un po’ troppo lo zampino debitorio»[14.  Ibidem.]. Del resto la casa editrice godeva all’epoca di un grande successo, ed inoltre era appoggiata a quello che può considerarsi il padre del «Corriere della Sera», cioè il «Corriere di Milano», oltre ad occuparsi di numerose pubblicazioni periodiche, tra le quali l’«Illustrazione popolare» e l’«Illustrazione Italiana». La casa editrice si era notevolmente rafforzata anche grazie al matrimonio, celebrato nel settembre del 1870, tra Giuseppe e la veronese Virginia Dolci Tedeschi (che assumerà come scrittrice lo pseudonimo di Cordelia), la quale porterà in dote ben trentamila lire, che permetteranno un ampliamento della stamperia Treves, che a Milano si trasferirà da via Solferino in uno stabilimento vero e proprio situato in via Palermo.

Giovanni Verga ed Emilio Treves si conoscono sullo scorcio del 1872. Verga era giunto a Milano con due lettere: una del Capuana per Salvatore Farina, e l’altra di Francesco Dall’Ongaro per Tullo Massarani[15. Cfr. M. GRILLANDI, Treves, UTET, Torino 1977, pag. 303.]. Dall’Ongaro lo introdusse nel salotto della contessa Maffei, dove Verga avrà la possibilità di incontrare, tra gli altri, anche Emilio Treves. Questi tuttavia non lo noterà, e non presterà attenzione nemmeno alla favorevole recensione che Storia di una capinera aveva ottenuto dal De Gubernatis, dopo che il romanzo era stato pubblicato da Alessandro Lampugnani alla fine del 1871. Il giovane catanese chiede allora al Farina di fungere da intermediario con Emilio Treves, poiché egli ha intenzione di stampare un romanzo inedito, Eva, con lui, e, se possibile, ristampare Storia di una capinera.
Nonostante Farina consideri i fratelli Treves «due preziosi nemici»[16. Ibidem.], poiché Giuseppe gli ha respinto da poco Il tesoro di Donnina, trova Verga interessante e scrive la lettera di presentazione per Emilio Treves[17. Ivi, pag. 304.], sottolineando come questi un giorno lo «avrebbe dovuto ringraziare di quella presentazione impensata»[18. Ibidem.] di un giovane scrittore così talentuoso. Emilio, incuriosito da una presentazione così singolare, legge i romanzi di Verga e acquista per cinque anni, fino al 1878, i diritti di Storia di una capinera e di Eva, al prezzo complessivo di trecento lire. Se fino a quel momento Verga «era rimasto oscuro nel suo paese siciliano, da quel giorno fu celebre»[19.  Ibidem.], grazie alla notevole pubblicità con cui Emilio annunciò attraverso i più noti giornali dell’epoca la pubblicazione dei due romanzi.
Rispetto al fratello minore Giuseppe, oculato sovrintendente della parte amministrativa dell’azienda, Emilio aveva maggior cultura e tatto, e, grazie alle sue capacità editoriali, «prima subodora, e poi constata, una firma troppo fruibile per lasciarsela sfuggire»[20. G. RAYA, op. cit., pag. 8.]. Decise dunque di riproporre la Capinera in quindici puntate sul periodico l’«Illustrazione popolare», dal 9 marzo al 29 giugno, come lo stesso Verga aveva già anticipato all’amico Luigi Capuana in un’epistola del 21 febbraio:

[…] ho già combinato col Treves una seconda edizione di Storia di una capinera che uscirà prima nel Giornale Illustrato e poscia formarà due Volumetti nella Biblioteca Amena[21. G. RAYA, Carteggio Verga-Capuana, Edizione dell’Ateneo, Roma 1984, pag. 26.].

Il 14 luglio di quel medesimo anno lo stesso Emilio aveva scritto a Verga, forse dimenticando che questi aveva già tentato invano di offrirgli i due romanzi nel ’69, affinché li pubblicasse:

Quella Capinera è cosa delicatissima, e non so capire come, pubblicata da un anno, non se ne sia parlato. Ciò mi fa diventar vano; perché mostra che nella fortuna dei libri ha la sua parte l’editore[22. G. RAYA, Bibliografia verghiana, Editrice M. Ciranna, Roma 1972, pag. 16.].

Verga firmò con i fratelli Treves il suo primo contratto editoriale su carta bollata, il quale reca la data del 5 agosto 1873 e recita:

I fratelli Treves editori in Milano si obbligano a pagare lire trecento in compenso dell’Eva, essendo stata ceduta loro gratis dall’autore la Storia di una capinera. 

Nel mese di agosto dunque Treves ristampò il romanzo insieme ad Eva, che veniva invece pubblicato per la prima volta. Così scriveva Emilio a Giovanni in una lettera dello stesso 5 agosto:

[…] Vi piace l’edizione? Qui i due romanzi hanno suscitato un vero entusiasmo; al vostro ritorno, le signore vi ruberanno. Nei circoli letterari non si parla d’altro. […] Mando io le copie ai giornali, non solo; ma scrivo e riscrivo ai critici perché parlino, al caso male, secondo coscienza, – ma parlino. Così ho stimolato il Martini pel Fanfulla, D’Arcais per l’Opinione, […] pel Diritto, Baseggio per la Persev., D’Ormeville pel Pungolo, Farina, Bersezio, De Gubernatis. Se tutti scrivono, sarà un bel coro[23. G. RAYA, Verga e i Treves, cit., pag. 28.].

Da questo momento in poi il romanzo spiccherà il volo diventando un caso editoriale, si diffonderà nei circoli letterari e verrà recensito da numerosi critici sui più importanti giornali dell’epoca.
Sulla «Rivista Europea» Angelo De Gubernatis annotava:

Quanta verità e potenza di sentimento! Quanta progressiva corrispondenza fra gli affetti e le parole! […] un lavoro poetico e psicologico squisito[24. Cfr. I. GAMBACORTI, Verga a Firenze, cit., pag. 246.].

Tra gli altri, anche Vittorio Bersezio ne tesseva le lodi, e sulla «Gazzetta Piemontese» esprimeva un giudizio compiaciuto sul romanzo:

abbiamo palpitato, abbiamo sofferto colla povera monachella; abbiamo pianto…[25. Ibidem.]

Valga per tutte la presentazione dello stesso Treves, il quale sul «Corriere di Milano», facendo eco ai critici, sottolineava come la Capinera fosse «un romanzo intimo, domestico, affettuoso, vi strappa le lagrime»[26. Ivi, pag. 248.].
Il romanzo epistolare, espressione della voce monocorde di Maria, era diventato un vero e proprio best-seller ante litteram.
Anche nella seconda edizione a stampa la Capinera subì alcuni cambiamenti, soprattutto nelle prime pagine, andando incontro a quella che Branciforti definisce «una revisione lieve, ma diffusa»[27. F. BRANCIFORTI, op. cit., pag. 78.]. Qui, come si è detto, la lettera presentazione di Dall’Ongaro venne eliminata.
Probabilmente il romanzo sentì «la mano dell’autore e forse dell’editore medesimo»[28. Ibidem.], poiché non è da escludere che Treves potesse rivedere le bozze inviate da Catania prima della pubblicazione. Quest’ipotesi sarebbe confermata da una lettera scritta da Emilio Treves a Verga, datata 14 luglio 1873 e riportata da De Roberto:

Ho voluto correggere io stesso l’uno e l’altro dei vostri racconti, e mi piacciono sempre più. Sono cosa che un editore non dovrebbe dire a un autore; ma io ne sono entusiasta…[29.  F. DE ROBERTO, op. cit., pag. 176.]

La lettera, che tra l’altro non è presente nella raccolta Verga e i Treves curata da Gino Raya, potrebbe tuttavia contenere delle informazioni inesatte, o addirittura la trascrizione fatta da De Roberto potrebbe essere errata. La raccolta di lettere curata da Raya riporta «invece la probabile risposta del Verga», da Catania, del 24 luglio[30. F. BRANCIFORTI, op. cit., pag. 78.]:

Quando saranno pubblicati Eva e la Capinera? Mi manderete qualche copia dell’una e dell’altra? Per mandarne ai Giornali ci penserete voi? Quando avrete un ritaglio di tempo in cui non avrete di meglio da fare scrivetemene qualche cosa, vi prego.[31. Ibidem.]

Ciò fa supporre che l’«ipotesi più probabile è che Treves “rivedesse” le bozze e che Verga attendesse ansiosamente l’uscita dei volumi»[32. Ibidem.].
Il rapporto editoriale tra Verga e Treves continuò anche successivamente. Infatti nel 1875, in virtù del contratto firmato due anni prima, vide la luce una nuova edizione della Capinera, la quale altro non era se non una ristampa dell’edizione del 1873, senza alcuna variazione o correzione apportata dall’autore e senza modifiche nell’impaginazione. Anche se dal ‘74 al ‘77 Verga collaborò con l’editore Brigola, col quale pubblicò Eros, Nedda, Tigre Reale e Primavera, il rapporto d’amicizia con i Treves, e soprattutto con Emilio, non si interruppe, tanto che nel 1880, quasi a ristabilire un’alleanza, Verga pubblicò con la casa editrice milanese la raccolta di novelle che rappresenterà la sua vera svolta verista, Vita dei campi.

 


 

Francesca Taibbi

Nasce a Giarre nel 1981. Dopo alcuni anni peregrini nel nord Italia, ritorna a Giarre dove consegue la maturità all'Istituto Tecnico Commerciale. Si laurea in lettere all'Università di Catania discutendo una tesi su "Per l'edizione critica di Storia di una Capinera". Attualmente insegna presso un Istituto Parificato.