Al momento stai visualizzando Atene brucia. Atene è rinata.
© Federico Verani

 

Non vorrei esser giusto fra gli uomini e neppur che lo fosse mio figlio, perchè è un male esser giusto quando il più ingiusto ottiene migliore giustizia; ma io credo che il saggio Zeus non permetterà tali cose. – Esiodo, Le Opere e i Giorni, vv. 270-273 (700 a.C.)

 

Atene, 9 Maggio 2011

Sono sulla cima dell’Acropoli.
Sopra di me sventola la bandiera greca.
Mi affaccio e guardo la città di Atene.
Tutto intorno, sotto di me, ora vedo insegne di bar, di pub, ristoranti, alberghi di lusso.
Dove un tempo c’erano le abitazioni dei devoti alla dea Atena, ora mercatini di souvenir, tavolini per mangiare, attici con lounge bar.
Dove un tempo si aggiravano i più grandi pensatori del mondo ora i trenini fanno girare turisti pensionati o famigliole con bambini.
In fretta.
Senza sforzo.
Per vedere tutto nel più breve tempo possibile.
Prima di andare a mangiare.
I Professori in gita pretendono che gli studenti prendano appunti più che guardare il culo delle compagne.
I turisti Ryanair vanno in Grecia solo per dire che la birra era buona e che hanno cenato benissimo.
Le coppiette europee scelgono Atene solo per mettere il feedback positivo sull’albergo.
Sono partiti anche questo weekend: cambiano città ma non si dicono niente comunque.
L’Occidente.
Ecco, l’Occidente è questo.
Ma questo ormai lo sappiamo tutti.
Ma non ci dobbiamo vergognare.
Dobbiamo ricominciare.
Ma da dove?
Da Atene?
Dov’è Atene?
Quale Atene?

Eccoci.
Siamo arrivati fin qui.
Siamo al capolinea.
È per questo che siamo qui, ad Atene, dove tutto è cominciato.
È per questo che siamo qui, ad Atene, dove tutto comincia a crollare.
Cosa siamo diventati?
Basta guardarci allo specchio per capirlo.
Basta che ognuno di noi si guardi allo specchio.
Sono cose che sanno tutti.
Sono cose di cui parlano tutti.
Di tutte queste folle bovine che viaggiano tanto per viaggiare: ne soffrono pure i vostri amici più intelligenti.
Di tutte queste stronzate su come siamo degenerati ne parlano perfino i giornalisti.
Dello squallore dell’occidente ne parla pure il vostro scrittore preferito che quando esce di casa soffre tanto.
Ma se qui sta finendo l’Occidente, se qui in Grecia sta crollando l’Europa e l’Euro, se questa è la fine: beh, per me è l’inizio.
Tutta questa gente, la gente peggiore, la gente migliore: siamo noi.

L’indomani, 10 Maggio, ci sarà lo Sciopero Generale indetto dai sindacati.
I movimenti popolari si scontreranno pesantemente con le forze di polizia.
Per ridurre il debito pubblico la Trojka impone grandi tagli alla spesa pubblica.
Significa che l’economia comincerà a ridursi come un fiume che si secca.
Sono cose che vedremo presto anche in Italia.
Così ricomincerà ovunque il vecchio valzer:
Cane e gatto, poliziotto e ladro, schiavo e padrone, sinistra e destra, comunisti e fascisti, amici e nemici.
Tutto mi sembra vecchio. Superato. Insulso.
Ma io mi chiedo: ma abbiamo bisogno ancora di questo?
Abbiamo ancora bisogno di questi schemi?
Dobbiamo per forza abboccare a questa buffonata?

Ma che ci faccio qui?
Perchè sono qui ad Atene?
Io lo so. Lo so.
Io sono qui per tornare a casa.
Sono qui per ritrovare lo splendore del passato umano.
Sono qui per gustarmi le intelligenze umane del presente.
Sono qui per raccogliere le speranze dei singoli.
Le speranze future.
Sono qui per ricominciare da capo.
Sono qui per fermare quei turisti uno per uno.
Sono qui per sentirmelo dire da loro.
Voglio che me lo dicano loro.
Voglio chiedere a ognuno di quei turisti che sembrano degli idioti e glielo voglio chiedere.
Voglio andare nell’Agorà e chiedere a ognuno di loro cosa sognano.
Gli voglio chiedere qual è la miglior forma di governo secondo loro.
Glielo voglio chiedere uno per uno.
Nell’Agorà dove camminavano Platone e Aristotele.
Li voglio vedere in faccia.
Voglio vedere cosa succede.
Non so cosa mi diranno.
Ma sono curioso.
Guardo l’ora.
Federico è arrivato.
Federico è qui.
Federico farà le foto degli scontri.
Polizia e manifestanti.
Popolo e istituzioni.
Potere e dominati.

© Federico Verani

 

TORNARE

Tornare è il risultato di una complessa e segreta formula chimica.
In essa ci sono i seguenti ingredienti: lasciare liberi gli altri, amare, rispetto, ascoltare, indipendenza.
Basta condire aggiungendo l’ingrediente segreto: la persona che conoscete.
E tutto tornerà.
Ovunque andassi, ovunque mi trovassi, mi rendevo conto che i miei pensieri tornavano.
Verso luoghi, visi, sorrisi.
Verso le persone che più ti hanno dato.
Verso le persone che più ti hanno insegnato.
Mi spingevo fuori, fuori dalla mia terra, poi fuori dall’Italia fino in Africa: ogni volta ricostruirsi un nido.
Ogni volta da capo.
Ogni volta nuovi amici.
Ogni volta una casa nuova.
Ma tra tutti i luoghi e le persone che mi tornavano in mente c’era sempre Federico.
Non lo vedevo da anni.
Ma ci pensavo da anni.
Quasi venti senza vederlo.
Ma le sue scelte, le sue posizioni, sempre forti, sempre estreme, sempre generose, sempre coraggiose, continuavano a vibrare nell’aria.
Mi raggiungevano, mi lambivano come onde.
Poi un giorno quelle onde mi hanno portato a riva la sua voce.
Quelle onde mi hanno portato a riva le sue foto.
Non erano foto da primo della classe che il maestro premierà anche se brutte.
Non erano foto di chi riprende gli altri col filtro dell’amore di sè.
Non erano foto da travet del rischio.
Erano delle foto da cane da trincea.
Erano delle foto da fanteria d’assalto.
Erano foto da resistenza sui monti.
In quelle foto ci vedevo un futurista senza fascismo.
In quelle foto ci vedevo un Robert Capa senza la Seconda Guerra Mondiale.
E Federico era il verbo essere al Presente.
Non timbrava cartellini.
Scattava foto vere.
Foto di scontri urbani.
“Tu preferisci l’odore dei lacrimogeni a me!” – gli aveva gridato una ragazza lasciandolo.
Forse anche lei, guardando le sue foto, aveva capito dove andava ogni battito di Federico.

Un giorno Federico mi dice: dai, sono tornato a Cagliari passa a casa a prenderti un caffè.
E così, sono tornato a casa di Federico.
Dopo quasi venti anni.
Federico non è di Cagliari.
I suoi vengono dall’Emilia Romagna più profonda dove “i fascisti venivano presi a calci nel culo lì sul posto anche senza dover poi scappare nei monti” – come dice il padre.
Il padre, un luminare delle scienze biologiche che si era trasferito ad insegnare all’Università di Cagliari.
E giù tutta la famiglia a Cagliari.
Con loro si sono portati il Risorgimento.
Con loro si sono portati l’Unità d’Italia.
Con loro si sono portati la Ricostruzione del dopoguerra.
Tornare a casa di Federico per me aveva il sapore speciale che si ha quando si guarda Novecento di Bertolucci per la prima volta.
A casa sua c’era la storia d’Italia.
E allora tornare, tornare in quella casa, aveva un altro sapore.
In quella casa dove da piccolo ho imparato non a studiare la storia, ma a capire la Storia.
Perchè la Storia è fatta di dettagli.
E in quella casa i dettagli erano la Storia.
È in quella casa che lui ci mostrava i primi Dylan Dog, fin dal primo numero – fumetto che poi anni dopo fu oggetto di isterìa popolare.
Li sfogliava, ne apprezzava i disegni, ne gustava il sapore da collezione.
Li maneggiava con l’accortezza di chi soppesa il lavoro e la passione degli altri, trasformata in disegni, storie, amori e guerre.
E lo faceva anni prima degli altri.
Eravamo piccoli, erano gli anni ’80 e ovviamente ci attiravano le cose forti, le prese di posizione accese, le guerre, gli horror con Freddy Krueger, i Rambo I che avevano anche una forte critica sociale.
Ma scendendo nei dettagli nulla era per caso. Nulla ci sfuggiva.
È in quella casa che cominciammo a chiamare le cose col loro nome: T34.
Un nome che pochi conoscono ma quel nome, se gridato, faceva terrore a tutti, anche alle inarrestabili armate tedesche nella russia sovietica: i tedeschi, che fino a quel momento erano invincibili.
T34.
Erano i terrifici carri armati russi. E noi quel nome lo sapevamo bene.
Quella era la Storia.
Perchè una cosa è sapere che Hitler ha perso la battaglia con la Russia, un’altra è vedere i tedeschi e gli italiani scappare tremebondi nel ghiaccio della steppa ghiacciata inseguiti dai T34 russi appunto.
A casa sua abbiamo imparato il gusto per l’attesa di un film da affittare, l’emozione di scoprire qualcosa di nuovo da un regista, fare a gara su chi aveva notizie del sequel e l’aneddotica sui film.
A casa sua ho imparato che dietro ogni cosa c’è un altro mondo.
Dietro ogni film, dietro ogni fumetto, dietro ogni storia raccontata.
A casa sua ho imparato che quello è un film e l’altro è un cult.
Che quello è un oggetto da buttare mentre l’altro è da collezione.
E soprattutto che fare una collezione serve soprattutto per il tuo godimento personale oltre che per esposizione.
In quella casa c’era la nostra Atene.
In quella casa c’era la nostra prima Unità d’Italia.
E quell’aria da Emilia-Romagna socialista, era sempre intrisa di amore e riconoscenza per il popolo americano “che ci ha salvato il culo due volte” – ricorda sempre il padre di Federico.

E mentre entro a casa sua, dopo venti anni, mi ritrovo nel mezzo di una battaglia.
Nemmeno entrato e già arruolato.
Federico e il padre, si scontrano su ideali, su concetti, su un mondo che si è capovolto.
Nulla è cambiato in quella casa.
Nulla è cambiato.
A casa di Federico siamo ancora nel Risorgimento.
È la spedizione dei Mille.
È l’Italia migliore.
Ecco di nuovo Atene.
Ecco Atene ancora prima di andare nell’Agorà.
Ecco Atene che si risveglia.
Mentre Atene brucia, Atene rinasce.
Federico continua a spiegare le ragioni inascoltate della nostra generazione.
Bene.
Lo scontro è acceso.
Ci sono anch’io.
Ci ritroviamo di nuovo a fianco, come non avessimo mai smesso di correre.
Anche se in mezzo ci sono cadute, ferite, calci in culo e sogni da inseguire.
Io e Federico, difendiamo una generazione tradita, la nostra: tradita e soprattutto costretta a tacere.
Sempre sotto ricatto, sempre a dire grazie, sempre a chiedere per cortesìa.
Ci hanno allevato al rispetto delle leggi, ad essere gentili, a sorridere.
Mentre il potere se ne fotte delle leggi, è arrogante e ci deride.
Ci schiacciano.
Ci provocano.
Ci umiliano.
Forse non l’avete capito ma ci vogliono far esplodere.
Gli fa comodo vederci esplodere come comunisti, come fascisti.
Come amici e nemici.
Come polizia e manifestanti.
L’avete capito vero?
Vero?

A casa di Federico siamo furenti.
Ma nessuno di noi pronuncia quelle parole maledette che vorrebbero farci dire:
Rivoluzione.
Reazione.
Noi non le pronunciamo, perchè è lì che ci vogliono portare.
I poteri forti stanno aspettando che le pedine della guerra sociale abbocchino.
Comunisti contro fascisti.
Moti di piazza contro forze dell’ordine.
Muro contro muro.
Scudo contro scudo.
È quella la via diretta a rinunciare ad ogni diritto.

Il padre di Federico si allontana.
Lo fa con discrezione, per farci parlare da soli.
Non ci vediamo da molto.
Siamo già ad Atene, Atene è qui.
Ci guardiamo in faccia e ci chiediamo.
Ma cosa vogliamo?
Noi pronunciamo una sola parola: Democrazia.
Vogliamo una democrazia che funzioni.
Se Atene è qui allora Atene è ancora salva.
Mentre Atene brucia, Atene già rinasce.
Ben consci che non c’è nessuno stipendio fisso per i nostri ideali.
Atene è già in noi.
Atene è qui.

Emanuele Casula

E' nato nel 1975. Dopo essersi laureato in Scienze Politiche a Bologna, è partito a lavorare in un Kibbutz israeliano, esperienza che ha indirizzato la sua vita verso la Cooperazione Internazionale e la ricerca universitaria. Ha lavorato come progettista, coordinatore e cooperante a un progetto che riutilizza le tecniche millenarie della pastorizia per rilanciare lo sviluppo rurale nel sud dell’Africa. Il suo primo romanzo, 2012 Obama’s Burnout, è pubblicato da Robin Edizioni (Roma, 2011).