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‘Opera prima’ di Duccio Corsini

Il Novecento poetico italiano si è esaurito senza tramandare il testimone alle nuove generazioni di scrittori come a un sempre più disperso ‘pubblico della poesia’ che ben poco pare avere contezza tanto dei maggiori poeti del secolo scorso (Ungaretti, Saba, Montale, Quasimodo) quanto dei minori (Cardarelli, Gatto, Sereni, Luzi, Pasolini, Caproni, Bertolucci) o di certi sperimentalisti antilirici (Amelia Rosselli, Edoardo Cacciatore, Sanguineti).
Quando non pubblicati a spese degli stessi autori, i molti o troppi libri di versi oggi in circolazione sono spesso l’esito, se promossi dall’editoria industriale (e nei fatti destinati, più che a conquistare dei lettori, a rastrellare un po’ dei tanti premi in circolazione), di mediazioni clientelari che neutralizzano la possibilità di stabilire vere distinzioni e giudizi di valore. Ne consegue, poiché contano soltanto la qualità degli autori e la loro conseguente connotazione critica, che non è il caso di giudicare un poeta in base al suo marchio editoriale.
Tra le caratteristiche del libro di poesie di Duccio Corsini (Il sole nel silenzio, Firenze, Edizioni Polistampa, 2012, pp. 78, € 8,00), ‘opera prima’ dominata dall’emblema del “sole” (vitale sorgente di luce, cuore del cielo e simbolo della Conoscenza Universale) e dal tema del “silenzio”, cioè di un ‘non detto’ che chiede d’essere rivelato nella poesia, c’è una sorta di dosata, millimetrica mistione tra naturalismo e taluni moduli surreali: tra il culto della chiarezza espressiva e i fervori d’una fantasia votata a ricreare la realtà, tra una trasparente, epigrafica, quasi refertale citazione di luoghi e cose e il loro immediato spaesamento simbolico per il quale “il silenzio è musica di sole”, il coraggio è un levriero “che si accuccia in una nuvola”, i desideri sono “allodole” librate e la nostalgia che ogni tanto assale l’autore è, in fondo, solo una “zanzara” molesta da scacciare.
Poi, lungo il cammino di conoscenza di Corsini (di ‘poesia come conoscenza’ e trama di vita), per il quale la poesia non è solo quel che si comunica ma anche quanto non si può esprimere, si registrano un metafisico “cortile, supino sotto il sole”, germinanti “boschi di stelle”, un lorchiano “gallo che squilla nel cuore”, il “coro di marosi” di “un mare cordiale” lambente un’isola di magia “che indossa un cappello di nuvola bianca”: evanescenti, epifaniche apparizioni che, dapprima incorporee, vanno poi a stabilizzarsi  in una piena compiutezza di senso.
Nessuna deriva, insomma, tra reale e immaginario in questo libro d’un esordiente alla ricerca della propria identità e stretto al proprio Io autoreferenziale pervaso da una gioia che “vola alta” o introspettivamente impegnato ad auscultare – scrive lo stesso Corsini – “la mia mente”, la “mia serenità”, la “mia anima”, i “miei sensi”, il “mio cuore”, ancora “il mio sole”, infine le “mie emozioni”; dove queste sono un “mare” mentre i pensieri “si guardano” fra loro come librandosi nell’aria alludendo a una “voglia di libertà” cresciuta dentro la “campana di vetro della gioia”… È questo un caso, più o meno usuale, nel quale l’autore, oltre a operare sulla propria materia, agisce su se stesso pensando la poesia come un riflesso dell’Io en poète.
Così, quasi a sostenere la propria volizione o congettura identitaria, il poeta afferma spesso il proprio Sé; ma nello stesso tempo, inseguendo un sorta di mito personale teso a trasvalutare le interdizioni del conformismo, si disloca metamorficamente tra i versi e le strofe, tra le cose nominate e la pagina, fino a mimetizzarsi con liliali paradossi, giochi e fulgori di specchi, atmosfere impalpabili: in una strenua ricerca della totalità.

Stefano Lanuzza

Storico della letteratura, (Dante e gli altri, Stampa Alternativa, 2001) studioso di chiara fama, è una figura singolare di intellettuale e artista, svolge anche attività di pittore e grafico, ha pubblicato libri di poesia e un romanzo sperimentale. Le sue ricerche continuano a essere rivolte agli “esclusi”, e alle riscoperte e valorizzazioni.