Al momento stai visualizzando Sugheri e boe – Addamo poeta

Sebastiano Addamo, che non è conosciuto quanto altri corregionali suoi contemporanei, «è da classificare tra i maestri di questi ultimi, quanto a erudizione e tempra di letterato»[1], una ragione in più per destinarsi a stare distante dalle luci della ribalta, insieme a quella scarsa capacità dei siciliani a essere “corporativi” – come disse egli stesso che, parafrasando Pirandello, faceva notare come l’isola sia una condizione d’essere per i suoi abitanti[2]. (Non-corporatività a cui noi aggiungiamo la refrattarietà dei siciliani a riconoscere i meriti di un altro siciliano, ma questa è un’altra storia).

A 20 anni esatti dalla sua scomparsa, Addamo resta l’autore de’ Il giudizio della sera, conosciuto prevalentemente per la sua narrativa e l’attività di critico e studioso. Onde evitare confusioni e ridondanze, eviteremo di occuparci delle saggistica e della narrativa (sebbene proprio quest’ultima sia quella in cui Addamo sembra abbia più efficacemente espresso le proprie doti), per dire, invece, che lo scrittore lentinese era dagli addetti ai lavori ritenuto anche un poeta.

Ci spiegava lui stesso perché a un certo punto aveva sentito il bisogno di servirsi del verso:

«(…) è alquanto inusitato il passaggio (ma non definitivo) dalla narrativa alla poesia. È che ad un tratto ebbi a rendermi conto come la logica che presiede alla comunicatività della narrazione, non reggesse più nei confronti del mondo che stava andando in pezzi, mentre surrettizie mi apparivano le categorie sulle quali esso si era sorretto. Come i discorsi filosofici si frantumano nell’aforisma che agisce come il lampo nella notte: la illumina vivissimamente, ma subito dopo rende il buio più denso e compatto; così è la poesia rispetto alla scrittura in prosa.[3]».

Già nell’’81, parlando della poesia, scriveva inoltre:

«è una metafora della solitudine (…) Una atroce ricerca di se stessi o di una propria autoaffermazione»[4].

Siamo già nel pieno della “poetica” di Addamo, chiara sin dal principio, ma facciamo un passo indietro.

Nel 1979 esordiva in una collettiva edita da Guanda (Quaderni della Fenice, n.54) con una mini-silloge dal titolo Significati e parabole, scritta tra il 1976 e il ’77, e configurandosi subito con una ben delineata personalità insieme stilistica e tematica. La poesia si fa strumento per un’indagine filosofica (tanto che essa viene definita proprio “poesia filosofica”[5]), per una comprensione di se stesso e di una problematica contemporaneità, all’insegna di una dose di ermetismo e di un orientamento spiccatamente esistenzialista. Ad emergere dalle opere di Addamo, infatti, prima ancora che il letterato, è l’uomo di pensiero.

La riflessione, sublimata e canalizzata nel linguaggio poetico, parte da una cronica insoddisfazione per il rinnovato sistema alienante di una società ubriacata da consumismi e frenesie, da logiche di mercato che hanno finito per inglobare in esso anche i sentimenti.

«Intanto ogni mattina / il sistema intinge burrati panini / nel caffellatte (…) / discutendo ancora su come ammazzarne / di altri».

Una indignazione che si fa compartecipazione civica quando «altri ben altri corpi / allagheranno questa strada il destino per noi / sarà stato non vederne la fine» e «percorriamo la nostra estinzione».

Sono queste le prime dimostrazioni di una speculazione che si svilupperà in La metafora dietro a noi (1980), che lui stesso definisce sintomo di una «disperazione storica»[6], e che rientra perfettamente in uno stile a detta di Bonaviri connotato da «un’ansia gogoliana dei destini dell’uomo d’oggi»[7]. Ma è una speculazione che emergerà con maggior evidenza nelle successive raccolte a partire da Il giro della vite (1983).

L’evento autobiografico a fare da scrimolo – probabilmente da motore propulsore per il passaggio alla poesia – fu la parentesi milanese, che vide Addamo in una condizione che molti emigrati siciliani (che fosse con o senza ritorno) hanno vissuto quasi sempre come un esilio, lo strappo di una parte della propria identità. A immalinconire e scuotere Addamo fu in particolare la condizione di una metropoli come Milano, dalla quale fuggì a gambe levate per tornare nella sua Lentini, dove poter lavorare, scrivere in un contesto più raccolto ma soprattutto più in contatto con la propria umanità. La metropoli è contenitore di solitudini, ben peggiore dall’isolamento delle isole di cui i siciliani hanno spesso pagato il prezzo. Le nebbie e gli orologi di Milano, pur mai esplicitamente menzionati, sono lo sfondo di tutta la raccolta.

Intervistato a distanza di anni rispondeva infatti:

«Mi resi conto di correre il rischio di disperdermi, anche se la permanenza mi avrebbe consentito maggiori contatti e, forse, qualche scommessa diversa. Il fatto è che il siciliano ha alle proprie spalle un insieme di atti mancati, di gesti incompiuti. Non escludo nemmeno una forma di masochismo. (…) [ma al contempo] La mia visione del mondo ebbe a spezzarsi nell’impatto traumatico con Milano, dove ebbi a risiedere variamente e anche lungamente. Quello di cui mi resi conto è che la grande comunità, questo luogo di civiltà e di cultura, non era che deserto e solitudine, estraneazione ed estrema monadizzazione, assenza e oggettiva crudeltà; le grandi periferie affollate e anonime, oppure svuotate e dure, prive di pietà e perfino di dolore, mentre l’indifferenza si spiaccicava sui volti come smog[8]

Monadizzazione… la solitudine di chi progressivamente si estirpa da un tessuto sociale contenitivo. E più avanti viene fuori la parola “deiezione”, confermandoci quando già scorgevamo nella lettura dei componimenti in versi: l’ombra di Heidegger. Il pensiero che emerge tra le righe, ancora più che a pensatori come Bloch e Benjamin, somiglia a nostro avviso all’esistenzialismo ontologico e fenomenologico del filosofo tedesco, sebbene in forma rivisitata.

L’uomo moderno dello scrittore lentinese è quello che, piovuto nel mondo in mezzo agli altri, non avendo altra possibilità che vivere, può esser facilmente trascinato nell’esistenza inautentica, cadere al livello delle cose e dei fatti identificandosi con essi, senza al contempo averne né colpa né alternativa essendo questi una componente essenziale del suo essere.

(…)

Giulia L. Sottile

[Continua nel contributo al volume “Addamo venti anni dopo”, monografia di Autori vari edita in questi giorni da Prova d’Autore, a cura di Mario Grasso, pagg.156, euro 16,00.]

[1]Mario Grasso, La danza delle gru. Audizione e talenti in Sicilia, Prova d’Autore, Catania, 1999.

[2] Maria Paola Fisauli e Tea Ranno, Sebastiano Addamo, in: Lunedì letterari, Provincia Regionale di Catania con la consulenza scientifica del Dipartimento di Filologia moderna dell’Università di Catania, ed. Prova d’Autore, 1992.

[3] Ibidem.

[4] Sebastiano Addamo, “Destino e poesia”, in: Lunarionuovon.11 / anno III, Catania, 1981.

[5] Nota editoriale a Significati e parabole, Quaderni della Fenice n.54, Guanda, Milano, 1979.

[6]Maria Paola Fisauli e Tea Ranno, Sebastiano Addamo, in: Lunedì letterari. (Cit.)

[7]Marika Marchese, “Il volo del caprimulgo”, in: Gli eredi di Verga, Atti del Convegno Nazionale di Studi e Ricerche, Randazzo 11-12-13 dicembre 1983, AA.VV., Comune di Randazzo, 1984.

[8]Maria Paola Fisauli e Tea Ranno, Sebastiano Addamo, in: Lunedì letterari. (Cit.)

Giulia Letizia Sottile

Giulia Sottile è nata e vive a Catania, dove ha compiuto gli studi e ha conseguito la maturità classica. Laureata in Psicologia e abilitata alla professione di psicologo, non ha mai abbandonato l’impegno in ambito letterario. Ha esordito nella narrativa nel 2013 con la silloge di racconti intitolata “Albero di mele” (ed. Prova d'Autore, con prefazione di Mario Grasso). Seguono il racconto in formato mini “Xocò-atl”, in omaggio al cioccolato di Modica; il saggio di psicologia “Il fallimento adottivo: cause, conseguenze, prevenzione” (2014); le poesie di “Per non scavalcare il cielo” (2016, con prefazione di Laura Rizzo); il romanzo “Es-Glasnost” (2017, con prefazione di Angelo Maugeri). Sue poesie sono state accolte in antologie nazionali tra cui “PanePoesia” (2015, New Press Edizioni, a cura di V. Guarracino e M. Molteni) e “Il fiore della poesia italiana. Tomo II – I contemporanei” (2016, edizioni puntoacapo, a cura di M. Ferrari, V. Guarracino, E. Spano), oltre che nell’iniziativa tutta siciliana di “POETI IN e DI SICILIA. Crestomazia di opere letterarie edite e inedite tra fine secolo e primi decenni del terzo millennio” (2018, ed. Prova d’Autore). Recentissimo il saggio a orientamento psicoanalitico intitolato “Sul confine: il personaggio e la poesia di Alda Merini” (2018). Ha partecipato a diverse opere collettanee di saggistica con contributi critici, tra cui “Su Pietro Barcellona, ovvero Riverberi del meno” (2015) e, di recente, “Altro su Sciascia” (2019). Dal 2014 ricopre la carica elettiva di presidente coordinatore del gruppo C.I.A.I. (Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane); dal 2015 è condirettore, con Mario Grasso, della rivista di rassegna letteraria on-line Lunarionuovo. Collabora con la pagina culturale del quotidiano La Sicilia.