Dedichiamo questo breve editoriale a un saluto alla cara memoria di Philippe Daverio. Quanti bei ricordi! Non avremo mai saputo immaginare che l’Amico e il Maestro, così straripante di gioia di vivere e nello stesso tempo così impegnato in eccellenti operatività culturali che hanno consentito a tanti di noi di conoscere momenti e aspetti della Storia dell’Arte, attraverso le sue cinquanta pubblicazioni con moltiplicate lezioni che erano accessibili per il portinaio come per l’intellettuale o il cultore più raffinato, sarebbe stato sconfitto dal male del secolo. Adesso la sua voce, il suo costante eccentrico abbigliamento, la sua verve umana, sono ricordo indelebile sia per chi ha avuto la ventura di conoscerlo e frequentarlo, sia per quanti continueranno a ricavare dai suoi libri perpetui insegnamenti.
Noi abbiamo conosciuto Philippe a principio degli anni 1980 e ventura ha voluto che siamo stati legati da una frequentazione assidua, proprio lungo gli anni ottanta e fino ai primi anni del Duemila, quando abbiamo interrotto le nostre consuete residenze tra Milano e Venezia. Ci si ritrovava a casa del professore Gianfranco Miglio, storico e filosofo, teorizzatore della linea politica che sarebbe stata il percorso ideologico della Lega di Formentini e di Bossi. Uno, il professore Miglio, che proprio con la Sicilia non ebbe mai a manifestare simpatie. Ed è stato proprio con la complicità di Philippe che abbiamo tentato una beffa per il rigoroso professore, quando gli abbiamo messo sotto gli occhi un falso certificato di nascita ad Acireale, proprio nella sua rimossa terra siciliana, nel quale si attestava la nascita in quel comune etneo di un remotissimo antenato Gianfranco Miglio emigrato a Milano (suo improbabile protoavo), secondo l’annotazione del falso documento in carta intestata del comune di Acireale e con tanto di regolari timbri e firme di estensori e di amministratore addetto all’anagrafe. Niente da fare, l’imbroglio fu subito fiutato dal professore leghista e tutto è finito a risate e a nuove digressioni “antisicilia”, terra dove, secondo Miglio, si seminano cereali e nascono mafiosi e imbroglioni della statura di Ulisse.
Anche a Philippe tentammo di giocare uno scherzo: un paio di bretelle a bande larghe su cui una nostra sodale pittrice e grafica aveva impresso improbabili traduzioni in italiano di aforismi di Mao, che avevamo inventato per provocare l’Artista i suoi studi e le sue teorie. Gliele portammo a mo’ di dono che spacciammo per un acquisto che avevamo fatto al “Mercato delle pulci” di Palermo. Daverio fiutò subito che qualcosa non filava,ma rimase perplesso per tutta la serata. Poi dopo cena, al momento di congedarci, tra una battuta e l’altra di cordiale compatimento e accettazione goliardica, ci disse che il nostro dono delle bretelle era un falso degno di essere conservato “a futura memoria”, assicurandoci che non avrebbe mai indossato “quello arnese”.
I lettori e gli estimatori del Maestro impareggiabile ci perdoneranno questi appunti che celano la nostra profonda commozione e nel ricordare la straordinaria umanità di un grande protagonista della storia della cultura italiana che ci ha lasciato quando ancora aveva tanto da insegnarci e tanto da farsi ammirare e applaudire, anche dai siciliani che non potevano certamente condividere le sue preferenze per una linea ideologica leghista, anche se, dopo Miglio e Bossi la stagione delle frequentazioni leghiste per Philippe Daverio era finita.
Addio, caro indimenticabile Maestro, sodale di lieti momenti e goliardie, anch’esse, quella volta serie come un lavoro.
Ludi Rector