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FREE PALESTINE?
FREE YOUR MIND

Come in tutti i viaggi degni di nota un giorno qualcuno malauguratamente mi chiese di portargli un souvenir.
Portami una t-shirt da Israele – mi chiese qualcuno dall’Italia.
Ovviamente quando si fa un viaggio-lavoro ci si dimentica spesso di ogni promessa.
In questo caso il nostro tempo libero nel Kibbutz cominciava dal Venerdì sera, dato che Sabato era il nostro unico giorno libero. Ci trovammo a Gerusalemme di Sabato, appunto.
Una corsa a staffetta tra lavoro, autobus e cambi di linea e già eravamo per le vie della città sacra, con quell’alienazione superficiale di chi non si ferma mai.
Ma quando cominciammo a girare nella parte araba di Gerusalemme mi ricordai di quella promessa di souvenir e t-shirt.
Oh sì che mi ricordai!
Mi trovai davanti al negozio di un arabo che faceva magliette prevalentemente con su scritto:
FREE PALESTINE.
Mi fermai perchè quell’arabo aveva una caratteristica particolare: era monco ad una mano.
Non sapevo nè gli chiesi per quale motivo fosse così, semplicemente mi piaceva la bellezza del suo aver superato l’handicap.
La cosa più bella infatti, quando capita di imbattersi in qualche portatore di handicap, è vedere che la menomazione è stata appunto soverchiata dalla vita, dall’ingegno, dall’affetto altrui, dalla strategia umana atta alla sopravvivenza.
Sì, come un cieco sviluppa una sua “arte visiva”, così quell’arabo monco ad una mano aveva sviluppato una straordinaria maestrìa nell’armeggiare delle magliette o qualsiasi altra cosa gli capitasse a tiro.
Le stampava lì sul posto con una precisione millimetrica.
Così, quella mano monca e quella maestrìa inaudita mi sembravano una gemma preziosa di significanza per una maglietta con su scritto “Free Palestine”.
Io in quella mano lessi: la vita sopravvive anche alle stronzate umane di confini, separazioni, mura e di odio religioso.
Per me quella mano mancante era una prova presente e viva di una lotta ancora più alta.
Così presi proprio lì la maglietta con su scritto “Free Palestine”.
In realtà in Israele vige il principio per cui tutto ciò che non nasce bene muore male.
In base a questo principio mi sarei dovuto rifiutare di acquistare la maglietta “Free palestine” ad uno che non aveva mai messo piede laggiù.
Mi portai la maglietta nel Kibbutz.
Un amico israeliano quando me la vide mi disse però che era meglio spedirla altrimenti ai controlli aeroportuali mi avrebbero potuto fare dei problemi.
Così la impacchettai per bene, onde evitare ogni possibile intrusione e la consegnai al postino del Kibbutz.
La posta del Kibbutz era a fianco alla sala mensa – se ricordo bene.
Sì, ricordo bene.
Mi ricordo ancora meglio quando arrivò il postino in sala mensa.
Stavo mangiando in una tavola piena zeppa di persone.
Il postino la fece teatrale.
Il postino si mise dall’altro capo del tavolo per parlarmi affinchè io potessi sentire quello che aveva da dire il postino. Tutti tacquero e lui gridò:
– Il pacco che hai fatto non andava bene, così l’ho dovuto aprire e reimpacchettare! – mi gridava guardandomi quasi con sfida lasciando intendere qualcosa sul contenuto.
In realtà non ho mai saputo se il postino fosse un genio o un idiota, so soltanto che tutti cominciarono a fare battute sul possibile contenuto del pacco.
Molti ridevano per le battute nate sul momento, altri guardavano la faccia del postino che mi guardava dritto e serio, in attimi sospesi.
Per me infiniti.
Il postino mi aveva incastrato in questa sua trappola.
Col sorriso amaro ressi quel gioco per pochi attimi al che mi venne da spazzare via ogni dubbio.
Guardai il postino e tutti gli altri e dissi:
– In realtà nel pacco c’è una maglietta con su scritto “Free Palestine” che mi hanno chiesto il favore di spedire.
Li spiazzai.
Era gente allegra.
Mi videro cambiare lo sguardo.
Ero incazzato col postino. Me la stava facendo sporca.
Calò un silenzio di imbarazzi e sguardi incupiti.
Mi guardarono e basta.
Mi dissero che non era un problema.
Ma io sapevo che il problema non erano loro.
Ma siamo noi europei.
– Ma la stai spedendo ad un fascista? – mi chiese ingenua una ragazza.
– No, in realtà in Italia e in Europa i movimenti di sinistra tendono a condannare Israele, mentre la Destra appoggia Israele – sintetizzai
Tutti mi guardavano stupiti.
– Ma non erano le destre che ci odiavano? – questa domanda sorvolò l’intera tavolata.
Aspettavano la mia risposta.
Molti di quelli che in quel momento mi guardavano erano giovani.
Il Kibbutz era di sinistra.
Per loro, al confine con Gaza, essere di sinistra significa due popoli, due stati. Non l’odio dell’uno sull’altro.
Per loro la destra europea è quella dei nazifascismi.
Non riuscivano a capire l’ennesimo paradosso italiano quanto europeo nei loro confronti.
Sì, Europa.
D’altronde cosa è Israele, cosa sono la Palestina se non il distillato degli odi e delle trame d’Europa?
Ci sarebbero oggi la Jihad e gli estremismi islamici senza le prime crociate contro gli arabi in “terra santa” e senza le nostre invasioni militari in Iraq e Afghanistan?
E la colonizzazione inglese della Palestina, la Dichiarazione di Balfour dove in un colpo solo si ingannavano arabi ed ebrei e gli stessi inglesi che nel 1948 avevano riaperto campi di concentramento per fermare il rientro degli ebrei in massa?
E soprattutto, l’olocausto fatto sotto il silenzio di tutto il continente (non date la colpa ai tedeschi!) che ha costretto gli ebrei a fondare Israele nel 1948?
Di chi sono le colpe?
Siamo noi che abbiamo complicato il Medioriente sin dalla notte dei tempi ed oggi che di nuovo mezza Europa odia sia arabi che ebrei pretendiamo di risolvere la questione con i soliti moralismi seduti a bere spritz a 2000 km di distanza.
Quanti di noi conoscono un ebreo o un arabo e gli hanno chiesto cosa ne pensava?

Il postino se ne andò, soddisfatto.
La tavola continuava a guardarmi, facendo scemare una discussione sempre più complicata.
Ma chiunque sia stato in quelle terre, nella “terra santa”, non può non aver notato quell’energia così potente che non lascia spazio ai dubbi del cuore.
È un’energia che spazza via qualsiasi cosa che non sia ben radicata.
Chi ami, cosa senti, cosa credi.
È come se la temperatura spirituale si alzasse così tanto da bruciare gli scarti della nostra anima.
Ma non perchè “il divino” sia presente laggiù più che altrove.
No.
È perchè laggiù i dubbi, l’odio, il rancore e le domande umane aumentano a tal punto che ognuno è costretto a spazzarle via per sopravvivere. Per non impazzire.
L’unica cosa che a quel punto rimane in piedi è ciò che lega l’uomo all’Infinito.
Non al filo spinato.
È per questo che presto tutti i confini eretti dall’uomo cadranno definitivamente.

FREE PALESTINE?
FREE YOUR MIND

Emanuele Casula

E' nato nel 1975. Dopo essersi laureato in Scienze Politiche a Bologna, è partito a lavorare in un Kibbutz israeliano, esperienza che ha indirizzato la sua vita verso la Cooperazione Internazionale e la ricerca universitaria. Ha lavorato come progettista, coordinatore e cooperante a un progetto che riutilizza le tecniche millenarie della pastorizia per rilanciare lo sviluppo rurale nel sud dell’Africa. Il suo primo romanzo, 2012 Obama’s Burnout, è pubblicato da Robin Edizioni (Roma, 2011).