Al momento stai visualizzando Orgoglio catanese

Continuiamo con la pubblicazione dei contributi letterari all’idea suggerita da Renata Governali sulla adozione di un monumento per quanti operano nell’ambito etneo. Dopo la sua descrizione / narrazione, a inaugurazione della serie, abbiamo scelto il bel racconto del vulcanologo prof. Stefano Gresta, docente dell’Università di Catania. Diamo appuntamento ai lettori per conoscere il monumento e l’Autore che sarà pubblicato a ottobre. Il prof. Gresta, poeta, autore della recente silloge di poesia “Tessere” (ed. Prova d’Autore) e socio effettivo del Gruppo Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane (C.I.A.I.).

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Anno Domini 1838. L’abate Giovanni Francesco Corvaja passeggia nervoso tra i profumi del giardino del Monastero dei Benedettini, rimuginando. Catania era stata per quasi tre secoli la capitale del Regno di Sicilia. Sede del Siciliae Studium Generale, la più antica università dell’isola. Neanche il terremoto del Val di Noto del 1542, o il fallito tentativo di costruire un molo portuale in grado di incrementare i commerci, o la tremenda eruzione del 1669 avevano fermato lo sviluppo e il predominio economico e culturale di Catania nei confronti delle altre città siciliane, in primis Palermo e Messina. Poi erano arrivati i due terribili, distruttivi terremoti del gennaio 1693. Per quasi un secolo la città si era trasformata in un immenso cantiere. La ricostruzione aveva dato razionalità e bellezza al disegno urbano ed era stata anche un potente volano per l’economia della città. I palazzi nobiliari, le chiese, gli edifici pubblici erano uno splendore. Oggi Catania doveva riprendersi, con ogni singolo elemento, il primato di capitale di fatto dell’isola. Questo era il pensiero fisso, quasi un’ossessione, dell’abate Corvaja. Di conseguenza, la meridiana da realizzare nella chiesa di San Nicolò l’Arena avrebbe dovuto superare in grandezza, bellezza e precisione quella delle cattedrali di Palermo e di Messina per testimoniare le genialità, la maestria (e, peccato di superbia, la superiorità) del popolo catanese. Invece, il tesoretto che l’abate don Federico La Valle (oh, anima pia) aveva destinato alla realizzazione della meridiana si era più che dimezzato. Ma come aveva potuto l’abate Ansalone (buonanima) essere stato così sprovveduto da conferire l’incarico per la realizzazione di una tale magnificenza a un palermitano? Si trattava, sì, del direttore della Specola di Palermo, ma il suo arrivo era stato preceduto da insistenti voci sulla feroce diatriba con l’illustre fisico Don Domenico Scinà. Il quale, senza remore, ne metteva in dubbio non solo la competenza scientifica, ma anche la rettitudine. Era certo, tra l’altro, che numerosi membri della sua famiglia fossero stati assunti o lavorassero alla Specola. Fatto sta che l’illustre astronomo palermitano era arrivato a Catania in pompa magna, aveva prese le misure, aveva preteso maestranze palermitane, acquistato una gran quantità di materiali, aveva fatto aprire lo gnomone sulla parete meridionale della chiesa. Poi, accampando pretesti vari, aveva lasciato l’opera appena abbozzata. Dio solo sa quante onze d’oro avevano preso la via di Palermo! L’abate Ansalone ne era morto di crepacuore l’anno prima. La chiesa, ora, è un cantiere abbandonato. Ponteggi a mezzogiorno, pavimenti divelti, ingombranti cumuli di materiale lapideo. Un disastro. Ma la cosa peggiore sono state le battute e le malcelate risatine di scherno ricevute durante l’incontro del mese scorso coi confratelli di Messina, Palermo, Girgenti, Castrogiovanni e Modica. Ci vorrebbe un’idea – pensa l’abate Corvaja, mirando a settentrione la sagoma imponente dell’Etna. Il quale proprio in quell’istante sbuffa una grossa voluta di cenere nera. E l’idea viene!

Anno Domini 1841. Il barone Wolgang Sartorius von Waltershausen cammina compiaciuto sulla sottile banda nera di pietra di paragone; al centro la rossa linea meridiana sembra tracciata con un solo colpo per tutti i suoi ragguardevoli 153 palmi di lunghezza. Pensa a quando tre anni prima, appena arrivato a Catania per la sua terza campagna di campionamenti, studi e misure sull’Etna, aveva ricevuto dall’abate Corvaja, la richiesta di dirigere i lavori per la realizzazione della meridiana. Alquanto bizzarro l’imperativo che accompagnava tale richiesta: battere in precisione e in grandezza le meridiane di Messina e Palermo. Il dottor Peters, che aveva fortemente voluto con sé per l’abilità nei rilievi topografici necessari per redigere una moderna carta dell’Etna, ha svolto le misure e i calcoli più che egregiamente. Lo gnomone è stato aperto su un’altra parete rispetto a quello precedentemente aperto dall’astronomo palermitano, alla mirabile altezza di 92,7 palmi. L’abate Corvaja raggiunge il Sartorius e entrambi proseguono a lenti passi e in silenzio a camminare sulle due file parallele di lastroni di marmo bianco di Carrara. Più a lato, a destra e a sinistra, altre due file di pietra di paragone, col calendario e i dodici splendidi riquadri con i segni dello zodiaco in lava rossa, incastrati. Scultore e intarsiatore abilissimo, il giovane Carlo Calì (catanese purosangue) ha davvero dato il meglio di sé. Sotto la sua direzione artigiani e scultori, esclusivamente locali, hanno realizzato un capolavoro da una punta all’altra del transetto. Tanta fastosità fa il paio con l’arditezza del progetto tecnico. Don Giovanni Francesco Corvaja gongola. La meridiana che ha fortemente voluto surclassa in precisione, in bellezza, in lunghezza, in altezza dello gnomone le meridiane di Messina e di Palermo. Unanimi sono state le lodi ricevute dalle autorità e dalla cittadinanza, sia per l’opera in sé, che per il fatto di avere utilizzato maestranze tutte locali. Gli sono giunte all’orecchio solo le velate critiche (dettate certamente dall’invidia) sollevate dai confratelli di Messina e Palermo per essersi servito di scienziati stranieri per la parte tecnica del progetto. Un sorriso di compiacimento disegna il volto dell’abate. – Non è forse prova di maestria e di concretezza, tipica del popolo catanese, servirsi, in ogni campo e in ogni occasione, delle migliori competenze disponibili, anche se straniere? E del resto può dirsi davvero straniero, un tedesco che ha mostrato di amare così tanto la nostra Etna e di preferire due buoni bicchieri di vino rosso a un boccale di birra?

Stefano Gresta

Stefano Gresta

Stefano Gresta nasce a Senigallia nel 1956. Si laurea in Fisica presso l'Università di Bologna nel 1980. Nello stesso anno si trasferisce a Catania, dove tuttora vive. È professore presso il locale Ateneo e le sue ricerche riguardano la fisica dei terremoti e dei vulcani. Coltiva la passione per gli scacchi e le immersioni subacquee. Autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche, con la raccolta di poesie Tèssere (2019, editrice Prova d’Autore) fa il suo esordio nel campo letterario. È socio del Gruppo C.I.A.I. – Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane.