(con un sottotitolo, un sottotesto)
Con un sottotitolo, un sottotesto, sarebbe più semplice muovermi tra le tue occhiaie celesti di quando mi dici domani. Domani progetto una fuga, apro una macchina e rubo limoni. Domani potremo parlare del fuoco che forse sarebbe stato meglio accendere oggi. Ma oggi è illusione e il freddo non c’è, le mie labbra e falangi non sono viola e il vapore acqueo della tua bocca è un’invenzione. Mistificazioni. Sertoli mi parla di cellule anomale con fari fluorescenti dietro ma l’unica soluzione che propone è improponibile ai più. Perlomeno a quell’uomo vestito di verde e di fango (che mima creature di boschi), in ritardo sul da farsi, con una lacrima alla madre e l’altra a te, che lo guardi peloso e focato. Rimarrai intero e solo. Rimarrai qui, almeno stanotte.
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“Com’è andata stasera che non mi hai detto niente?”, la voce lontana e poi un brusio di risposta. Io continuo a guardare lo schermo cercando assenze. È una conversazione non mia ma ci sono entrata per sbaglio e, ora, fatico a starne fuori. “La ragazza è intervenuta due o tre volte”, ma quale ragazza? E mi perdo in fantasie di maglioni troppo lunghi che coprono polsi troppo magri. La immagino alzare il gomito tremando la verticalità del gesto, quasi non volendo farsi notare, eppure, è necessario, non può resistere, con il tallone destro spinge l’alluce sinistro per convincersi a non farlo ma quello che ha sentito è più forte degli occhi bassi, del riparo del collo, delle gambe accavallate, della tazza in cui di solito si nasconde. “È stata brava, gli ha tenuto testa”, ricevo conferme di cui non ho bisogno. Ormai il caffè non c’è, né il tavolo, lo schermo, il barista; solo il suo rossore e la voce rotta, sotto, uno sguardo rette parallele.
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(concita)
concita presidente, concita dottore, concita abitatore di sogni, concita non sa aprire le porte, concita ha una collezione di forme di scarpe, e di ganci; te ne fa scegliere uno se la guardi con insistenza, se capisce che la stai supplicando con gli occhi. concita ha un camice che non le appartiene e un figlio di sfuggita, mi restituisce la giacca di fretta ma so che ha gradito il mio tornare indietro prima del negozio di v.; non sa che dopo ho conosciuto v., al suo negozio, senza neanche rubare qualcosa incustodito. Ignora che v. sapeva chi ero e come doveva abbracciarmi per far riconoscere anche a me la sua testa rasata di lato, gli occhi e le mani a mandorla, la confusione sulle madri degli altri, sulla mia, per colpa di una frangia; ignora gli appuntamenti del pomeriggio e quelli della settimana, il sapere/volere vedersi di nuovo.
concita ha conigli invece di cilindri, conigli anche dentro la macchina per farla andare, conigli cappelli, conigli cavalli. Non ha perdonato v. per i pugni alzati, lei che con i suoi non sa sovrastare la testa; nella mia giacca ha infilato un biglietto sperando non lo vedessi, c’è scritto “non fidarti di dita che non riesci a vedere”, se sapesse che v. con me ha tenuto le braccia basse forse cambierebbe i titoli dei suoi giornali.
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(numeri)
È una macchina blu quella che arriva dal fondo della strada, diretta, non accenna a fermarsi per farmi salire ma dopo un attimo sono dentro, sedile anteriore. Mi giro ridendo e pensando angelina, ma la sua macchina era rossa e tu non hai tatuaggi, solo cappi al collo. Grugnisci qualcosa incomprensibile. Poi arrivano vocali e consonanti e quel rumore di foglie marroni diventa “ce ne hai messo di tempo”. “Tempo per cosa?” , risposta sbagliata, dovrei saperlo, immagino dal silenzio che mi arriva col fiato, ma io realmente non so chi tu sia, e non ho bambole grembiule bianco e stivaletti rossi a consigliarmi. Scelgo il silenzio anche io e osservo le corde che porti con i numeri appesi. E allora so che sei uscito da un libro*, che vendi accette e non superi mai una certa soglia di buonumore, hai sempre numeri bassi. Vedo un ‘tre’ e un ‘sei’ e un ‘tredici’ (penso alla bambina che ieri ha insegnato ai miei dodici anni il trapassato remoto) e vorrei avere un ‘più’ nelle tasche o anche solo un accendino per sciogliere il ‘tre’ e farne un ‘per’. Così il tuo umore sarebbe decisamente migliore.
* “Un segno invisibile e mio” di Aimee Bender