Al momento stai visualizzando Sugheri e boe – L’ultima moglie di J.D.Salinger

Il nuovo romanzo di Enrico Deaglio, “L’ultima moglie di J.D. Salinger” (ed. Marsilio), è un’originale trovata letteraria. È evanescente e ambiguo il confine tra verità storica e fiction, apparentemente semplice la narrazione ma conduce per gradi il lettore in un intrigo di fatti e personaggi che ha qualcosa del giallo e dello spionaggio.

L’Autore parte da una base storica: c’è un alone di mistero attorno agli ultimi anni di vita di J.D. Salinger, sia sul piano della vita privata che sul piano della produzione letteraria. Da che decise di ritirarsi dai riflettori dell’ambiente urbano, aveva anche deciso di non pubblicare più, senza che però ciò escludesse – a detta di critica e funs – la continuità nella scrittura come pratica di vita.

Da qui le trame del romanzo, attorno a un presunto sequel del Catcher (The Catcher in the Rye, in Italia tradotto Il giovane Holden) oggetto di mire persino da parte dei servizi segreti russi, attraverso il personaggio della letterata Olga Simoneova. Deaglio non manca di arricchire l’investigazione dell’agente dell’FBI e i ricordi del professore antico ammiratore di Jerry – come lo chiamava confidenzialmente – con ipotesi letterarie più o meno verosimili anche sulla genesi dei racconti A Girl I Knew e A Perfect Day for Bananafish, usciti entrambi su riviste e connessi ad elementi autobiografici.

Di particolare importanza anche nell’economia del romanzo di Deaglio ha il primo racconto, la cui protagonista femminile, Leah, ragazza ebrea di Vienna, pare fosse l’alter ego letterario della prima donna che Salinger aveva amato. Tale ipotesi attecchisce nel fatto che lo scrittore newyorkese, al di là delle maschere che finiscono per connotare molti scrittori nell’immaginario collettivo, partecipò davvero alla Grande Guerra, fu forse l’unico scrittore ad avervi scritto e partecipato contemporaneamente. (Tuttavia – riflette l’Autore per mezzo del personaggio del prof. John Taliabue – anche in America aveva avuto più successo il Diario di Anna Frank che un breve racconto, A Girl I Knew, uscito allora su una rivista per casalinghe e presto dimenticato o fatto sparire). Salinger faceva parte della Divisione americana che era entrata per prima a Dachau durante la ritirata nazista, aveva visto con i propri occhi la crudezza di un campo di sterminio operativo. Che la successiva produzione letteraria a partire da questo racconto (e in seguito in parte anche il famoso Catcher) non fosse che un modo per elaborare la rabbia e il dolore per la perdita di Leah (Sylvia Louise Welter?) a causa dell’olocausto? Un modo per canalizzare e sublimare l’impeto di vendetta?

Un’altra ipotesi riguarda le ragioni del ritiro (in una sorta di casa-prigione): un’insofferenza sviluppata nei confronti della vita mondana a partire da una mai del tutto superata battle fatigue, come la chiamavano allora (il disturbo post-traumatico da stress)?

Dopo la studiata controparte reale di Leah, un elemento di verità, nel soppalco di abile e verosimile finzione messo in piedi da Deaglio, è l’episodio dell’assassinio di John Lennon per mano di Mark David Chapman, nel cui zaino è stata trovata una copia del Catcher. Forse è questo l’aspetto che ho trovato più interessante in tutto il romanzo. Pare che il ragazzo si identificasse nel giovane Holden, emarginato con spirito di rivalsa, ma genuino, di una genuinità che, a detta di Chapman, Lennon aveva tradito e per questo doveva essere punito con la morte. Poco importava che Holden odiasse le armi e la violenza, che desiderasse solo la pace. Bastò questo per caricare di responsabilità il libro e il suo Autore. Tanto più che pare che una copia del romanzo fosse stata trovata in possesso anche degli assassini di Reagan e J.F.K. Può questo tema essere oggetto di un dibattito difficile a chiudersi: quanto gli artefatti della cultura (letteratura, arte, musica, teatro, cinema) influiscono sulla psicologia delle persone (e in particolar modo sullo sviluppo psicologico in età evolutiva) al punto da guidarne le azioni? C’è responsabilità storica nell’arte e in che misura? Al punto da scomodare le autorità politiche e investigative delle nazioni?

Giulia Letizia Sottile

Giulia Letizia Sottile

Giulia Sottile è nata e vive a Catania, dove ha compiuto gli studi e ha conseguito la maturità classica. Laureata in Psicologia e abilitata alla professione di psicologo, non ha mai abbandonato l’impegno in ambito letterario. Ha esordito nella narrativa nel 2013 con la silloge di racconti intitolata “Albero di mele” (ed. Prova d'Autore, con prefazione di Mario Grasso). Seguono il racconto in formato mini “Xocò-atl”, in omaggio al cioccolato di Modica; il saggio di psicologia “Il fallimento adottivo: cause, conseguenze, prevenzione” (2014); le poesie di “Per non scavalcare il cielo” (2016, con prefazione di Laura Rizzo); il romanzo “Es-Glasnost” (2017, con prefazione di Angelo Maugeri). Sue poesie sono state accolte in antologie nazionali tra cui “PanePoesia” (2015, New Press Edizioni, a cura di V. Guarracino e M. Molteni) e “Il fiore della poesia italiana. Tomo II – I contemporanei” (2016, edizioni puntoacapo, a cura di M. Ferrari, V. Guarracino, E. Spano), oltre che nell’iniziativa tutta siciliana di “POETI IN e DI SICILIA. Crestomazia di opere letterarie edite e inedite tra fine secolo e primi decenni del terzo millennio” (2018, ed. Prova d’Autore). Recentissimo il saggio a orientamento psicoanalitico intitolato “Sul confine: il personaggio e la poesia di Alda Merini” (2018). Ha partecipato a diverse opere collettanee di saggistica con contributi critici, tra cui “Su Pietro Barcellona, ovvero Riverberi del meno” (2015) e, di recente, “Altro su Sciascia” (2019). Dal 2014 ricopre la carica elettiva di presidente coordinatore del gruppo C.I.A.I. (Convergenze Intellettuali e Artistiche Italiane); dal 2015 è condirettore, con Mario Grasso, della rivista di rassegna letteraria on-line Lunarionuovo. Collabora con la pagina culturale del quotidiano La Sicilia.