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© P. Bruegel, Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli, 1565

Chiusi la porta della capanna e dentro trovai Alisha che mi aspettava con Romeo in braccio.
In alto, attraverso il foro circolare, il cielo blu ci guardava.
«Tutto bene?» chiesi. «Sei pronta?». Cercava qualcosa nella pelle in cui era avvolto Romeo. «Sono pronta.» Uscimmo dalla capanna indossando tutto ciò che potesse tenerci al caldo e che al contempo non ci appesantisse troppo.
Avevo visto le orme dei lupi attorno.
«Raggiungiamo il fiume e attraversiamo il ponte.»
«Va bene» rispose. Camminava a fatica.
«Vuoi che prenda la sacca io?»
«No. Hai già i sacchi e le scatole.»
Aveva ragione e così non insistetti. La neve intanto si era fatta più dura per il freddo che si intensificava. La luce della luna e delle stelle si rifletteva attraverso il biancore per tutta la rada boscaglia, fino alle montagne che invece rimanevano scure, avvolte nel loro grembiule di ombre. Riuscivamo a estendere lo sguardo molto lontano. I pini erano impietriti. La luce si diffondeva intensa e il suono dell’acqua che scorreva sul letto di sassi giungeva chiara come se si trovasse a pochi passi di distanza.
Avanzammo per mezz’ora, trascinandoci stremati.
Camminavamo in cerca di qualcuno da tre giorni e per puro miracolo avevamo trovato riparo in una capanna abbandonata. Tutto sembrava presagire che il destino ci fosse favorevole.
I miei piedi, feriti dalla scalata del giorno prima, ripresero a sanguinare. Alisha volle fermarsi.
«Non ce la fai più?»
«Certo che ce la faccio.»
Alzò il viso pallido e sorrise. Sbirciò sotto la pelliccia il bambino; dormiva.
«Dammi la sacca.»
«No. Hai troppe cose. Dividiamo.»
Le presi la sacca e lei non reagì. Era troppo stanca. «Riposati», «No», «Sì», «Sei preoccupato. Lo vedo», «Ci sono dei lupi che ci stanno seguendo da un po’. Sto sanguinando e se ne saranno accorti».
Mi guardò intensamente, quasi sussultò. Tentò di avvicinarsi ai miei piedi per vedere le ferite ma le dissi di lasciar stare. Ci afferrammo per una mano e ricominciammo il cammino.
Il rumore del fiume intanto era cresciuto. Ormai mancava poco. C’eravamo. Superato un muro di sterpaglie morte, vedemmo a poche centinaia di metri il largo corso d’acqua che si muoveva sotto il riflesso bianco della notte. Sorrisi. Quasi non riuscivo a crederci.
Il fiume si chiamava Pite. Era largo e abbastanza profondo in certi punti, ma in quel periodo era molto debole. Lungo la riva, nella zona in cui ci trovavamo, sapevo che c’era un vecchio ponte di legno. Costruito dieci anni prima, non aveva mai subito interventi di manutenzione, secondo quanto raccontatoci da Carl. Carl era la guida che avevamo perduto nelle grotte. Il progetto era scadente e avevano lasciato il ponte in balìa di se stesso in attesa che crollasse per poi costruirne un altro, mi aveva detto.
Costeggiammo la riva in direzione del mare. Superata una sporgenza, vedemmo il ponte.
«Attento!». Mi voltai.
Alisha scivolò sulle viscide chiazze di muschio fangoso e cadde in acqua. Subito la corrente la prese e la portò verso il centro del corso.
La seguii parallelamente per non perderla di vista in attesa del momento giusto per afferrarla e tirarla su. Le acque la spingevano da un lato all’altro, frastagliate e potenti, spezzate tra una sporgenza rocciosa e l’altra. Teneva il bambino in alto, ancora avvolto nella fitta pelliccia.
Al momento giusto mi lanciai su un tratto di riva asciutto e afferrai il bambino che teneva alto. Piangeva ma non si era bagnato nell’acqua gelida.
Alisha trovò un tronco e si aggrappò. Arrivò fino alla base del ponte e tra i grovigli di rami e detriti il suo tronco s’incagliò, molto vicino alla riva opposta la mia. Riuscì a uscire dall’acqua, salva. Stette in ginocchio a prendere fiato.
Volevo raggiungerla. Cercando di portare tutto con me, corsi verso il ponte senza lasciare niente, coi piedi a pezzi. Riuscivo a sentire il sangue che bagnava i calzari. Giunto dall’altra parte mi inginocchiai accanto a lei.
«Oh Amore! Oh Amore!» singhiozzava e piangeva a dirotto. La abbracciai e le mostrai il bambino. Stava benissimo.
«Hai visto?», le chiesi. «Guarda. È andato tutto bene. Ce la faremo. Ormai ci siamo.»
Mi abbracciò e rimanemmo in ginocchio sulla nuda roccia a respirare pesantemente per riprenderci.
«Quando finirà?»
«Presto. Ormai ci siamo.»
«Ce la faremo?»
«Certo che ce la faremo!», le risposi sorridendo, quasi con scherno.
Si formò sul volto pallidissimo un’espressione decisa. Sapeva che esageravo ma sembrò comunque rincuorata dalla mia sicurezza.
Ci alzammo. A pochi minuti di cammino dal punto in cui ci trovavamo, dovevano esserci un centro di rifugio, case e negozi delle famiglie di taglialegna e cacciatori che abitavano un piccolissimo villaggio.
Le indicai un pennacchio di fumo che si alzava oltre i pini.
«Vedi?»
Riprendemmo a camminare, increduli che ce la stessimo facendo. Alisha riuscì a dire qualcosa, seppure a fatica e fermandosi spesso per respirare pesantemente.
Poi, d’improvviso, mi sentii afferrare. Tante lame affilate mi penetrarono la gamba destra e si mossero su e giù, tirandomi indietro. Un lupo. Tentai di voltarmi, ma quando mi fui girato di novanta gradi, un altro lupo mi saltò addosso frontalmente. Provò ad azzannarmi alla gola ma mancò il bersaglio e addentò la spessa pelliccia. Con un braccio tentai di tenerlo lontano dalla gola, mentre con l’altro lasciai cadere ciò che portavo e afferrai il lungo coltello che avevo sul fianco. Il lupo fece un verso acuto e cadde a terra. In breve una pozza di sangue circondò il suo corpo immobile.
Affondai la lama nel corpo del secondo e questo si staccò allontanandosi.
«Vattene! Vattene!», gridai.
«Amore mio!»
«Vattene Alisha! Segui il fumo! Vai al villaggio e chiama aiuto.»
«Vieni con me.»
«Non posso. Non riesco ad alzarmi.»
Rimase indecisa per qualche istante. Mi guardò con gli occhi ancora una volta colmi di pianto e infine andò.
I lupi tornarono prima ancora che riuscissi a mettermi in piedi. Afferrai i sacchi e gli scatoli. Dentro uno di quelli doveva esserci una pistola. La trovai, presi la mira e sparai. Prima uno e poi un altro, caddero a terra sul punto in cui la pallottola li aveva incontrati, morti sul colpo. La pistola però s’inceppò.
A terra, adesso, c’erano tre corpi, mentre il lupo ferito dalla coltellata di prima era sparito.
Talvolta, per quanto cerchiamo di resistere, le forze ci abbandonano. Così, ebbi un improvviso mancamento e a stento non svenni. Concentrandomi con tutto me stesso per restare sveglio, riuscii a tenere gli occhi aperti. Un peso grave alla testa mi atterrò. Un tonfo sordo mi attraversò le orecchie e in un istante mi sentii come staccato dalle sofferenze del corpo. Ero stremato. In balia degli eventi allargai il braccio con in mano l’arma, allontanandola. Le gambe flesse e sanguinanti. Attesi con gli occhi al cielo che qualcuno arrivasse dal piccolo villaggio per salvarmi. Nel cielo le nubi illuminate dalla luna piena quasi a giorno, scorrevano veloci sospinte dal vento ed io immaginavo i soccorritori con appresso una coperta per trasportarmi, che correvano sotto di esse insieme col vento, senza sapere d’essere accompagnati dall’alto di quel cielo gelido. E provavo a immaginare i punti in cui potevano essere, ricordandomi di come e dove avevo intravisto il fumo dietro i pini. Pensavo “Adesso sono dietro lo spuntone” e li immaginavo correre sopra le rocce.
“Stanno risalendo la neve nel cuore del boschetto” e li vedevo nella mia fantasia come se li stessi guardando dalla luna, piccoli come chicchi di riso.
“Ora sono sulla piana e mi vedono in fondo, disteso a terra”. M’immaginavo seduto sulla riva opposta che fissavo la scena senza alcun moto d’animo. E vedevo, nella fantasia, persino un lupo ferito che zoppicava lasciandosi dietro una traccia rossa di sangue.
Poi pensai qualcosa che non ricordo e svenni.
Mi risvegliai con un fiato caldo sul volto. Sentivo che gli scarponi mi erano strappati via e il sangue uscire più fluido, liberato dai trattenimenti. Non un solo senso ancora capace di farmi capire dove fossi e con chi.
Dischiusi gli occhi serrati dal gelo che aveva stretto in un abbraccio le ciglia. Vidi delle ombre muoversi rapide attorno a me. Desideravo così ardentemente vivere.
Qualcosa mi alzò la testa e il suono di passi leggeri filtrò nelle mie orecchie. Piano piano le fiamme del camino mi ridestarono e il pianto di mio figlio fu come musica.

 © P. Bruegel, Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli, 1565
© P. Bruegel, Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli, 1565