L’utero in affitto; non mi turba perché manipola la vita umana, o perché mercifica il corpo della donna o il bambino, acquistato da chi ha disperazione e amore da vendere, ma non una creatura su cui riversarlo. No, l’utero in affitto mi ha tolto il sonno perché è contro il bambino, contro la vita, almeno in due punti per me sostanziali. Nei nove mesi di endogestazione la comunità scientifica ci ha spiegato quanto importante sia la comunicazione tra madre e figlio, che ascolta il battito del cuore della madre, ne riconosce la voce e le emozioni; questa comunicazione sarà fondamentale almeno nei nove mesi successivi, l’esogestazione, appunto, dove madre e figlio sono fusi, un tutt’uno che cammina verso una nuova indipendenza, da inventare, per la madre e per il figlio. Una donna, la più altruista al mondo, se vogliamo vigliaccamente pensare che non vi sia business dietro questa pratica almeno ventennale, alla quale viene “insegnato a considerare quel figlio non suo” che comunicazione affettiva avrà? Parlerà con lui? E con che senso se poi non sarà quella voce a guidarlo, cosa percepirà il bambino da questo primo distacco emotivo? E poi c’è il dopo. L’OMS raccomanda l’allattamento al seno per almeno sei mesi. Al seno, non con tettarelle e altre diavolerie, al seno perché è l’organo che sostituisce la placenta. Il neonato è perfettamente in grado di strisciare sul ventre della madre per trovare il seno, che non è solo nutrimento, ma conforto, garantisce un corretto sviluppo cognitivo e un pieno immunologico e le donne che, pur volendo, non possono allattare raccontano spesso la loro frustrazione e il loro sentirsi incomplete. Ora è pur vero che l’allattamento è una scelta, libera, che spetta in primo luogo alla madre, ma io direi meglio ancora alla coppia madre-figlio; può essere che l’incanto non si crei e allora la scienza ha pensato fortunatamente anche a questo e i bimbi crescono altrettanto bene allattati artificialmente. Cosa c’entra tutto questo con l’utero in affitto? C’entra eccome, perché un conto sono le scelte di questa coppia magica, di una madre che ha un pezzo di sé, prima dentro, poi fuori, un conto è negare l’esistenza di questa coppia, e negare a priori al bimbo concepito il rapporto prenatale e di questo mondo poi, con l’unico universo che conosce, la sua mamma. L’uomo poi guarisce, non c’è dubbio, si abitua a tutto, scorderà molto presto il calore di quel ventre, riconoscerà nuove braccia, nuove voci, ma rimarrà per sempre sangue del mio sangue e carne dell’altrui carne. La vita prima o poi chiede il conto.
Dal canto nostro dobbiamo preoccuparci più del “dopo”; crescere un figlio è una pozione di amore infinito, verso il Piccolo Uomo, adottato o figlio naturale che sia, lì bisogna investire tutte le nostre energie per non disperdere la scintilla del Divino, al di là di come sia stata concepita.