LE CENTO CAMPANE CHE RESERO SORDI I FEDELI
Nei prossimi giorni (14 e 15 settembre) rispetto al momento in cui scrivo questa riflessione, la “città di Galatea tra l’Etna e il mare” celebrerà, finalmente, il ricordo di uno dei suoi figli tra i più noti in Europa: Umberto Barbaro, nato ad Acireale il 3 gennaio 1919 e deceduto a Roma il 19 marzo 1959. La responsabilità della celebrazione è a carico di un cittadino di Acicatena, Mario Patané, studioso di cinematografia e operatore culturale nel settore, fin da tempi insospettabili, nella sua città natale. Definisco “responsabilità” l’aver portato a buon fine un evento che di per sé altro non merita che coralità di consensi. Anche plausi, stando ai tempi difficili per tutti e a misura di enti locali ed economie amministrative a prova d’acrobazie e tagli alle spese. E, vivaddio, se non si potesse esclamare un “come mai non si è pensato prima?”, quando altre amministrazioni acesi si potevano permettere spese da capogiro cavalcando l’illegalità (sforando criminosamente con “Buoni d’economato”) per celebrare altre figure di cui intanto si poteva aspettare, dal momento che le rispettive opere figurative erano e restano a ricordare il loro autore nelle chiese cittadine?
Ma la questione ha altre ali e altri artigli: infatti se si procedesse ad Acireale, ancora oggi, a una indagine porta per porta chiedendo chi è stato Umberto Barbaro, si resterebbe non solo delusi ma persino perplessi sulla iniziativa di dedicare al suo nome un premio cinematografico. E fosse solo questo l’aspetto sarebbe compatibile con la realtà che non capita di rado solo nella coltissima città di Acireale. Città che il solo fatto di avere eletto a propria festa annuale la ricorrenza del Carnevale potrebbe indirizzare verso direzioni impertinenti e ingenerose una improbabile indagine di psicologia sociale. Momento folkloristico il carnevale acese che giova all’economia del geniale e benemerito artigianato locale, ed esorcizza il subdolo echeggiare dei versi di Tempio che, riferendosi alla enorme cupola della chiesa del quartiere acese di San Michele, cupola che non reca né campanile né altro motivo architettonico che riduca l’effetto di un sesquipedale ventre, ebbe a pronunciare una ingiuriosa sentenza coinvolgente per la cittadinanza intera: “Chistu è lu veru emblema di ’sta genti / ca sunu tuttu panza e testa nenti”. Il che è negato dalla realtà e dalla storia.
Erano tempi quelli della ingiuria della “pancia” che registravano forti rivalità tra la patrizia Aci, già città di studi, e la levantina Catania, dei commerci, del porto, delle raffinerie di zolfo, etc.
La chiave di lettura per l’ostracismo verso la memoria di Umberto Barbero e la sua poliedrica figura di artista, scrittore, critico d’arte e geniale precursore di realizzazioni cinematografiche a livello nazionale e ultranazionale, è ben altra e per impossessarsene basterebbe leggere un lungo e documentato articolo del compianto Alberto Rapisarda. O solo il titolo e il sottotitolo sinossi efficacissima del rapporto tra il numero degli abitanti censiti presso l’anagrafe e la quantità di chiese, conventi e relativa quantità di presenze di preti e religiosi e religiose.
Vero è che gli acesi avevano dovuto sopportare tra inizio e metà Novecento la diffusione di due romanzi di altrettanti loro concittadini, Antonio Prestinenza, autore de’ La città delle cento campane, e dell’avvocato Enzo Marangolo, che aveva pubblicato da Bompiani Un posto tranquillo. Opere narrative dedicate dalla prima all’ultima pagina dagli Autori alla propria città. Ma l’effetto scuotente di quell’articolo su un rotocalco a diffusione internazionale scatenò una levata di proteste nei piani alti della società acese, che in realtà si limitò a mugugnare piuttosto che tentare interventi di improbabili precisazioni. Ebbene? Qualcuno fece circolare la voce che a suggerire e ispirare quel servizio “storico” ad Alberto Rapisarda era stato proprio l’acese Umberto Barbaro da anni lontano dalla sua città di nascita. E d’ideologia sinistrorsa, intellettuale con solidi collegamenti culturali con le correnti neorealiste russe. Come dire un anticristo, per una città che pochi anni prima aveva accolto passivamente la decisione della curia locale di negare funerali in chiesa al popolare e amatissimo professore Alfio Puglisi, docente di storia della filosofia presso il locale Liceo classico Gulli & Pennisi, perché socialista.
Si suole ricorrere al luogo comune con un latinismo popolare: intelligenti pauca. E non solo, se poi capita di insistere con un altro latinismo, quello del res sic stantibus, ma per lanciare un sasso sulla piccionaia della sinistra acese e degli intellettuali locali. Cioè su quanti di Barbaro avevano potuto seguire le luminose intraprendenze, il geniale operatore cinematografico di rilevanza europea e le opere creative e quelle di critica d’arte su Vie Nuove, il rotocalco fondato dal segretario politico del PCI di quegli anni, Luigi Longo, ammesso il potere ignorare i saggi di critica d’arte come Carpaccio, etc.
Lungi dal disapprovare chi ha continuato a ignorare e a fare ignorare il nome e il valore di Umberto Barbaro, direi che bisognerebbe elogiarne la coerenza e la proterva compattezza, tuttavia persistente fino a negare l’elemosina di intestare al nome del concittadino illustre una via, o ignorare, con altrettanta coerenza, che nel 1987, chi scrive, ha organizzato un convegno di studi sul geniale acese prematuramente scomparso nel 1959. Un convegno di cui furono pubblicati gli atti, in un volume ancora disponibile nelle librerie non solo acesi, con i saggi critici di un gotha della ricerca scientifica e accademica italiana, da Arcangelo Leone De Castris e Pasquale Voza, allora docenti nell’Università di Bari, a Mario Verdone e Alessandra Briganti docenti nell’Università di Roma, a Paolo Buchignani in quella di Firenze, ad altri non meno eccellenti cattedratici e critici, da Mario Sechi giornalista all’allora addetto all’archivio cinematografico nazionale Mario Musumeci.
Adesso Mario Patané, che ripetiamo è di Acicatena, il sindaco di Acireale in carica, che è di Aci Sant’Antonio, e il docente universitario Rosario Faraci, presidente della Fondazione Teatro Bellini, che è di famiglia originaria di Gela, in una con Giuseppe Contarino attuale rettore dell’Accademia Zelantea, anch’egli di Acicatena come Patanè, hanno frantumato la spessa lastra di vetroarmato che per oltre sessanta anni ha continuato a separare la città di Acireale dal ricordare uno dei suoi figli che con le sue opere e le sue intuizioni geniali ha aggiunto il proprio nome alle altre glorie locali. E ecco che nel centenario della nascita qualcosa di adeguato si concretizza per la memoria dell’acese Umberto Barbaro: la istituzione di un premio cinematografico. Anche se ha un suo peso tra “l’estetico” e il morale il fatto lampante dell’assenza della firma di acesi tra “cotanto senno” di benemeriti ed eccellenti responsabili “stranieri” per una curiosa contingenza siciliana tra muffose ideologie e intenso frastuono di cento campane..
Mario Grasso
(Continua)