Più dei libri che ha scritto (Aquilegia e In un amore felice: romanzi esoterici; Un viaggio in Italia, Le ballate dell’angelo ferito, Insetti senza frontiera; i testi teatrali La iena di San Giorgio, Rosa Vercesi, Viaggia Viaggia Rimbaud), pochi a confronto dei tanti che ha letto, a nutrire i suoi affezionati lettori sono state forse le rubriche Altrove e Lanterna rossa, la “colonnina” sulla prima pagina della Stampa.
Con Ceronetti non sai da dove cominciare. Non ti viene facile. Perché è poeta, scrittore visionario, giornalista, studioso e traduttore della Bibbia, “dilettante di filosofia”, letterato colto e poliglotta, artista di strada, marionettista, suonatore ambulante di organo di Barberia.
Ha ottantasette anni e vive tra Torino, città di nascita, e la casa ritiro di Centona, nel senese. Ma se lo vuoi trovare, capire i suoi quarantatré anni di Teatro dei Sensibili, spettacoli ispirati alla classicità, alle leggende e alle cronache, è nella campagna senese che devi recarti. Quella casa è il suo laboratorio. Lì trovi le sue marionette “ideofore, pensanti”. Differenti dai comuni burattini: e proprio perché “ideofore”, cioè portatrici di idee.
Artista di strada lo diventa tardi, a settant’anni. Nella strada Ceronetti vede la salvezza del teatro. E se gli viene chiesto perché, risponde che la strada proietta nell’indeterminato: non si vede la fine ed è “simile alla vita e ai sogni umani”.
Lettore tutt’altro che frivolo, Ceronetti confessa di non aver mai letto per ammazzare il tempo. Molte le letture notturne negli anni della gioventù. Ma oggi sconsiglia di leggere di notte, perché si rimane intossicati e non si ricava nulla. La lettura – dice – di giorno ti porta doni. Ma di notte te li toglie trasformandoli in veleno, in mostri. È al canto del gallo che si deve leggere per ricavarne il massimo del piacere e del profitto. Di giorno, dunque. E meglio quando il sole spunta o è spuntato da poco.
In un articolo del 2007 su Tuttolibri, Bruno Quaranta riassume la vita di Ceronetti, tra la Bibbia e Céline, tra la Bibbia e le ombre. Il suo “cammino lungo rotte fuori del mondo”, con il basco fedele compagno, avendo per bussola il monito del Salmo: “L’uomo non è altro che un soffio” e i versi dell’amato Léon-Paul Fargue. Non il solo poeta amato.
Leggere i poeti che valgono per Ceronetti è terapeutico. Terapeutica, e a tutti la consiglia, è la buona letteratura. Grande è la sua stima per Alda Merini. Prima di scoprirne i versi, Ceronetti pensava fosse il russo la lingua più adatta ad accogliere i labirinti. La Merini permette anche alla nostra lingua di discendere “nel labirinto senza uscita del manicomio e in quello parallelo della violenza d’amore”.
Ma la vera, fondamentale ragione che gli fa amare questa poetessa è la sua straordinaria capacità di fabbricare versi per cambiare “tutta quest’odiosa vita”. E per farlo bisogna essere unici. Unico era Artaud. Unica la Merini. Unico, per Ceronetti, era Léon Bloy. Colloca la morte di questo “scrittore povero e cristiano ultrascomodo”, con tanti anarchici ateissimi presenti al suo funerale, tra gli “eventi silenziosi di quell’anno di storia crocifissa” che fu il 1917.
Nei tanti articoli, nelle sue “colonnine”, il filosofo dilettante Guido Ceronetti naviga tra passato e presente. Un occhio sempre più nero sul presente e su un futuro che vede depurato d’ogni memoria, e un occhio alla storia, mai maestra di vita abbastanza. Cogli infine la sua disperazione più nera di fronte alle domande che questo profeta infinito e pessimista, come lo definisce Nello Ajello, si pone in una delle sue “colonnine”. Ma contiamo qualcosa noi che scriviamo sui giornali? Noi polemisti? Noi analisti brillanti?
Io so bene, risponde, che non riuscirei a persuadere cinque o sei lettori a risparmiare un poco d’acqua limitando le docce superflue. Avverti, forse avvertiamo tutti in queste domande, l’inanità dello scrivere. Pure se si esprimono pensieri, come quelli di Ceronetti, che sono sempre perle di saggezza, luce in tenebris.
Poeti e autori di teatro, citati in questa nota e amati da Ceronetti – Rimbaud, Bloy, Artaud e Forgue – hanno in comune innanzitutto di essere francesi. Poi di avere attraversato quasi tutti tre epoche letterarie: il romanticismo, il realismo e il decadentismo. Di essere stati, a loro modo, rivoluzionari: autori estremi tanto nella poesia che nel teatro. Di aver cercato con tutto l’ardore possibile l’Assoluto. Nell’arte, nella vita, nella religione. Ricerca a tratti folle, di lucida conclamata follia.
Anche Guido Ceronetti ha cercato l’Assoluto. L’ha cercato viaggiando, angelo ferito, nell’Altrove delle visioni e delle allucinazioni. L’ha cercato nei poeti letti. Nella poesia come antidoto alla nevrosi e al veleno del mondo. L’ha cercato nelle marionette come figure ideofore, pensanti. Nel teatro di strada e nella sua salvifica riproposizione. Salvifica per il teatro e forse non solo per il teatro.