CALCIO ALL’ITALIANA
ovvero
IL CALCIO COME METAFORA
Debbo al dubbio di Manubrio questi appunti sul calcio all’italiana. Sicuramente lavorava in me la cronaca di quanto è tuttavia in corso tra la magistratura penale e alcuni calciofili etnei, contro cui non provo grandi rancori. Che si difendano e che provino di essere innocenti e, appunto, veri calcio fili, e non operatori di calci in faccia allo Sport.
Manubrio (che ci scodella il suo dubbio di giugno tra queste stesse pagine di Lunarionuovo) mi ha regalato la sua idea del calcio nella sua universalità e ubiquità. Dove c’è calcio ci sono calci, il che non fa che riverniciare l’antichissimo “I nomi sono le cose” (o conseguenza delle cose, come reciterebbe la libera traduzione della volgarizzatissima locuzione latina).
E non sia brevetto dell’acqua calda affermare che qualche titolo in più i nostri tempi possono esibirlo in materia di calci. I cristiani apostolici della cattolicissima Italia tra i primi, quando si pronunciano contro profughi e pellegrini, dimenticando le parole di Cristo, in materia di “Avevo fame e mi rifocillaste, sete e dissetaste,…” etc.etc. Ma sono passati duemila e altri anni, anche la memoria dei cristiani può appannarsi. Un calcio alla cristianità lo dà con bieca disinvoltura (ma può essere bieca la disinvoltura?) l’Europa, i cui “padri”, ancora qualche decennio fa, si affannavano per dimostrare le “radici cristiane dell’Europa”. Insomma, l’Italia di Salvini & c. lavora applicando il teorema secondo cui il popolo è mostro senza testa e il primo che passa gliela presta. Il che, tanto per non allungare il brodo, dimostra che non sono solo asini e muli a menar calci. A parte, per essi, l’attenuante che non bevono alcoolici, come costuma l’uomo sapiens di fede cristiana o non.
Sovviene di quella strombazzatissima intercettazione della edificante telefonata dei due compiti signori che quella volta (come dimenticarlo?) commentavano, in denominatore di appalti e di affari, e ridacchiando, il disastro tragico de L’Aquila. Un calcio ai principi elementari di umanità. O i calci di chi lucra su zingari e immigrati (e non importa se solo a Roma o a Mineo?), modelli umani che tra scafisti e colletti bianchi farebbero lavare le mani al più spregiudicato Pilato contemporaneo, al momento di decidere chi siano, tra i due campioni, i più criminali e deprecabili. Ma non ci sono calci dove tutto è imperversare di calci, anche al momento di poter vincere un concorso, che esso sia per operatore ecologico o per ricercatore all’università. Non sarà facile andare da qualche parte senza il calcio di un buon calciatore.
C’è il calcio elemento minerale (1830), c’è quello dell’asino (1308) promosso al rango di mulo – calcio che il proverbio vuole sia destinato alle persone generose -, c’è quello degli schioppi e delle pistole (1342) e infine quello delle partite, che si può interpretare fino alle calcioscommesse (1985). Per fortuna non c’è pericolo di far confusione, pare non ci siano state mai conseguenze serie provenienti da tanta omonimia e omografia: a ciascuno il suo calcio! Certo, qualche rivalità, qualche risentimento tra significanti e significati se lo portano addosso, l’un contro l’altro ma con discrezione. Come ignorare infatti l’assoluto primato del calcio d’un animale – e l’uomo stavolta centra, per diritto, come animale – rispetto a quello delle civiltà rinascimentali, delle armi da fuoco e delle ancor successive scoperte dovute alla chimica moderna.
Quella del pallone, addirittura, è dell’altro ieri, basti tener presente che fino agli anni cinquanta, era più corrente dire o sentir dire football. Anche questa volta l’ultimo arrivato è andato dritto a impossessarsi delle redini di comando, tant’è che oggi da “partite” parrocchiali o mondiali di calcio, dà quasi fastidio ammettere che c’è calcio e calcio, e che i calci sono tanti. Come tante sono le partite (Imperativo di partire? o allusiva piétas per protagonisti dalle “menti partite”)
Procediamo con qualche ordine: i vocabolari più antichi elencano cinque significati di calcio, aggiungono ai casi da noi qui citati la base delle aste e dei bastoni, che i contemporanei nostri accorpano a quelli degli schioppi e delle pistole elencati qui prima. Quanto all’etimologia tutti concordano per il latino calx/calcis (tallone). Ma soprattutto calce. E a questo punto tutto è da rimettere in discussione, sembra proprio a favore della calce, come elemento colorante (si pensi pure ai sepolcri imbiancati con la calce) col quale veniva segnata la fine di una tappa, il punto d’arrivo d’una corsa: ad calcem = pervenire al termine. A fil di logica non sarà difficile spiegarsi sia il significato riferito alla parte terminale d’un oggetto (lo schioppo) o d’un uomo (il tallone) o d’un brusco scatto del piede che colpisce qualcosa o qualcuno (calcio sul pallone, calcio sugli stinchi, calcio alla Giustizia). Fa un po’ la figura dell’intruso l’elemento chimico quando si appiglia al suo referente scientifico-moderno, calcium. In realtà è il più legittimo erede della calce: e il cerchio si chiude sull’unico etimo latino. Beato Manubrio, lui si accontenta del dubbio.