Al momento stai visualizzando Le piste di carta. Realtà e finzione intorno a Ettore Majorana (4)*

(Continua da Lunarionuovo n. 73/53 nuova serie, maggio/giugno 2016, e qui si conclude)

 

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Ettore Majorana era un fisico teorico, una mente speculativa, matematica: dotato di autentico genio, dice Fermi, ma del tutto privo di senso comune.
Decisa la fuga, dopo il disincaglio dallo scoglio del suicidio, egli ha scritto la lettera da Palermo, ragionando esattamente come dice Caccioppoli, per riportarsi al “caso precedente”.
E il “caso precedente” era un’unica lettera alla famiglia, da far trovare in Albergo: a che la macchina delle ricerche si impigrisse sull’ipotesi del suicidio, e della follia.
E fu così che, effettivamente, le cose andarono, dal momento che, sin dal primo briefing (ma è meglio dire, non si sa mai, dalla prima riunione), gli “esperti” della Polizia, quelli che si sarebbero occupati del caso, dopo attenta disamina dei fatti, espressero, sul caso, unanime e generale “parere”: che è “meglio un figlio ciuccio che un genio pazzo[1].
Le cose andarono così, effettivamente, ma per una ventura che Ettore Majorana, uomo geniale, ma privo di senso comune – del comune senso delle cose italiane, anche nell’Italia Fascista di allora -, non poteva prevedere.
Imprevedibile era infatti, per una mente come la sua, che qualcuno dell’Albergo potesse aprire la stanza ai suoi fratelli, senza un mandato dell’Autorità giudiziaria, in assenza della Polizia.
Impossibile era, dunque, per una mente come la sua, prevedere quale sarebbe stato il destino della lettera alla famiglia: quello di rimanere nel segreto della famiglia, senza che la famiglia ne dicesse mai alla Polizia, divulgandone il contenuto soltanto molti anni più tardi[2].
In questo suo non riuscire a prevedere che fratelli e famiglia prendessero le redini del caso, sul caso, sulla stessa Polizia, che decidessero di tenere per loro quella lettera, così scomoda da non dover circolare, neppure nell’ambiente poliziesco (poiché mai essa sarebbe potuta approdare ai giornali), Ettore Majorana, il Professore Majorana, pensa e agisce come un altro Professore, siciliano pure lui, come lui speculativo, introverso, forse come lui schiacciato dagli affetti familiari, e affatto privo di senso comune: il Professore Paolo Laurana di Leonardo Sciascia, quello di A ciascuno il suo[3]. In questo suo non riuscire a prevedere che la lettera alla famiglia non sarebbe mai arrivata alla Polizia, che però ugualmente si sarebbe impigrita nell’ipotesi del suicidio e della follia[4], il Professore Majorana si muove (sebbene con maggior fortuna) come il Professore Laurana, e, così muovendosi, il Professore Majorana diventa, come dice Etienne Klein, il gatto dell’esperimento mentale di meccanica quantistica di Erwin Schrödinger, in un senso che però a noi sembra un po’ diverso da come lo intende Etiene Klein: non la sovrapposizione di sé vivo e di sé morto, ma la sovrapposizione di sé personaggio reale, fatto di carne e ossa, e di sé personaggio immaginario, letterario, personaggio di carta; di lui, da questo momento in poi, non va cercata la posizione secondo le leggi della logica, neppure in quella forma tutta particolare con cui le leggi della logica vengono applicate alla meccanica quantistica[5] (e cioè quelle della matematica statistica[6], del calcolo probabilistico), ma secondo le leggi dell’immaginazione, e della narrativa: quelle stesse leggi in virtù delle quali nel gennaio del 1939 (Ettore Majorana scomparso da soli dieci mesi), leggendo sulla rivista Die Naturwissenschaften la pubblicazione di Otto Hahn e Fritz Strassmann sulla scissione dell’atomo di Uranio, il fisico ungherese Leó Szilárd vide confermata l’intuizione da lui avuta anni prima circa la possibilità di innescare una reazione nucleare a catena, il fondamento della bomba atomica: intuizione da Szilárd avuta dopo aver letto il libro di fantascienza The World Set Free, scritto nel 1914 da Herbert George Wells, in cui si descrive un mondo nel quale l’energia atomica serve per fabbricare bombe (intuizione in forza della quale Szilárd si farà promotore della costruzione della prima bomba atomica da parte degli Stati Uniti)[7].
Che Ettore Majorana si sia di nuovo imbarcato sul “postale” per Napoli, o che da Palermo sia andato altrove, che sia espatriato, o che si sia ritirato in un convento, o in qualche altro luogo appartato, non è possibile dire col linguaggio della logica (quello, per intenderci, di Wittgenstein, della settima proposizione principale del Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein[8]). Le tre ultime lettere di Majorana non lo permettono, da esse non è dato parlare di cosa egli abbia fatto da Palermo in poi[9]; sebbene la loro architettura finale, con quel che con esse, infine, Ettore Majorana ha significato, lascia inferire, per la lettura che ne abbiamo dato, che egli non si sia suicidato, e che, di conseguenza, non essendo egli più tornato alla vita di prima, abbia scelto una vita diversa.
Di questa vita diversa è possibile immaginare i contorni, ed è pure lecito riempirne una parte di contenuti, ma, appunto, con la forza dell’immaginazione, secondo le leggi della narrativa, non con quelle della logica, la quale si arresta alla spedizione delle ultime carte da Palermo.
Non di meno la logica resta essenziale all’immaginazione, poiché come non è corretto affermare, come affermazione logica (il parlare di cui dice Wittgenstein), che Ettore Majorana abbia fatto una certa scelta, abbia scelto una certa vita, non è corretto immaginare che Ettore Majorana abbia scelto una vita che per logica non può aver scelto, abbia vissuto questa vita in un modo che per logica non può aver vissuto[10].

 

 

Note

[1]Fui stamane da Senise, vice Direttore Gen. della Polizia, per le indagini di Ettore Majorana. Ha fatto una circolare alle Questure. Parere generale è che meglio avere un figlio ciuccio, anziché un genio pazzo. Non si sa siasi ucciso, o siasi ritirato in qualche posto”; così ha appuntato nel suo diario lo zio acquisito di Ettore Majorana, il Consigliere di Stato Oliviero Savini Nicci, cui inizialmente il fratello di Ettore, Salvatore, chiese di interloquire con le Autorità. Anche su questo, v. S. Roncoroni, Il promemoria “Tunisi” … cit.

[2]Oliviero Savini Nicci morirà nel 1955, Faustino Roncoroni nel 1975, Mario Savini Nicci nel 1992 [i primi familiari messi al corrente della lettera lasciata in Albergo da Ettore Majorana]. I primi due non parleranno mai della lettera alla Famiglia, fedeli all’impegno preso. Con Mario Savini Nicci, invece, ho avuto modo di parlare spesso ma solo dopo che la famiglia di Ettore, la madre ancora vivente, aveva cominciato a parlare pubblicamente dell’esistenza di questa lettera non dandone ancora la vera trascrizione ma lasciando che girassero delle versioni virgolettate di una violenza e di una crudezza tali da non farti più comprendere quel rifiuto iniziale alla pubblicazione di una missiva, forse con propositi suicidi ma di certo stilata in modo inconsueto, ed enigmatico da rendere il caso veramente diverso”; così S. Roncoroni, Il promemoria “Tunisi” … cit.

[3] Nihil novi: il binomio e l’assonanza Majorana-Laurana sono già stati messi in evidenza da altri.
Nel contesto del nostro discorso, il riferimento a questo binomio si ripresenta però con caratteri mutati: poiché, nelle prime pagine della Scomparsa di Ettore Majorana, seguendo la “nota di servizio” venuta fuori dal colloquio tra il Capo della Polizia, Arturo Bocchini, e il fratello di Ettore Majorana, Salvatore, nota nella quale si imputa a Ettore un “proposito di suicidio” fondandolo su più lettere “(come da lettere da lui lasciate)”, Sciascia presuppone che Bocchini sapesse della lettera lasciata da Ettore Majorana per la famiglia all’Albergo Bologna. Dunque: seppure Sciascia ha messo nel suo Professore Laurana un un po’ di Ettore Majorana (si tenga però conto che A ciascuno il suo è del 1966, La Scomparsa di Majorana è del 1975), ciò Sciascia ha fatto senza sapere dell’errore (errore ‘alla Laurana’) in cui è caduto Majorana sulla ventura della lettera alla famiglia.

[4] La stessa pigrizia della Polizia, che in Bocchini pare sciogliersi in aperta insofferenza, può avere avuto causa, oltre che nel fatto oggettivo del “proposito di suicido” manifestato dallo scomparso nella prima lettera al Professore Carrelli, di certo sgradevole alle orecchie della Polizia fascista (ma è meglio dire della parte fascistizzata della Polizia, che è cosa diversa), nel comportamento della famiglia, dei familiari, i quali per una mano facevano pressioni sulla Polizia affinché mettesse migliore e maggiore cura nelle ricerche, ma per altra mano tenevano per sé la lettera lasciata all’Albergo Bologna, e portavano avanti ricerche per conto proprio. Difficile però distinguere in questo contesto tra cause ed effetti.

[5]Gli aspetti caratteristici della meccanica quantistica, in quanto essa si differenzia dalla meccanica classica, sono i seguenti:

  1. Non esistono in natura leggi che esprimano una successione fatale dei fenomeni; anche le leggi ultime che riguardano i fenomeni elementari (sistemi atomici) hanno carattere statistico, permettendo di stabilire soltanto la probabilità che una misura eseguita su un sistema preparato in un dato modo dia un certo risultato … Queste leggi statistiche indicano un reale difetto di determinismo;
  2. Una certa mancanza di oggettività nella descrizione dei fenomeni. Qualunque esperienza eseguita in un sistema atomico esercita su di esso una perturbazione finita che non può essere, per ragioni di principio, eliminata o ridotta. Il risultato di qualunque misura sembra perciò riguardare piuttosto lo stato in cui il sistema viene portato nel corso dell’esperimento stesso che non quello inconoscibile in cui si trovava prima di essere perturbato. Questo aspetto della meccanica quantistica è sena dubbio più inquietante, cioè più lontano dalle nostre intuizioni ordinarie, che non la semplice mancanza di determinismo”. Ettore Majorana, Il valore delle leggi statistiche nella fisica e nelle scienze sociali, a cura di Giovanni Gentile Jr., in “Scientia”, vol. 36, 1942, pp. 55 e ss..

[6]Se c’è ancora qualcuno che non ammette l’identità di logica e matematica, noi lo possiamo sfidare a indicare in che punto, delle successive definizioni e deduzioni …, secondo lui finisce la logica e comincia la matematica”. Bertrand Russell, Introduzione alla filosofia matematica (1919).

[7] Leó Szilárd è stato ideatore e promotore della famosa “lettera di Einstein-Szilárd”, con cui, con l’idea di aprire gli occhi al Presidente Roosevelt sul pericolo che la Germania stesse preparando la bomba atomica, Einstein e Szilárd crearono le condizioni per la nascita del Progetto Manhattan.

[8]  “Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”.

[9] Né lo permette il resto degli elementi che oggi vanno a comporre il mosaico del “Caso Majorana”. Non lo permette il biglietto acquistato da Majorana per il ritorno da Palermo a Napoli con il “Postale” del 26 marzo (che Ettore Majorana, come osserva Sciascia, può ben avere acquistato e ceduto a qualcun altro, che magari gli somigliasse; ciò che suffraga l’idea che Ettore Majorana volesse far credere a un suo ritorno a Napoli, e che fa perciò di Napoli l’ultimo posto in cui andare a cercare Ettore Majorana); non lo permette la testimonianza, raccolta dalla famiglia, di una misteriosa infermiera che vide Ettore Majorana a Napoli, tra il Palazzo Reale e la Galleria, agli inizi di aprile (cui la Polizia non prestò fede, e che confligge con l’idea dell’Ettore Majorana in fuga, impegnato a guadagnare tempo e a sviare le indagini, che viene fuori dalla seconda lettera al Professore Carrelli e dal telegramma all’Albergo Bologna); non lo permette la testimonianza del Superiore della Chiesa del Gesù, il quale riconobbe con certezza nella foto di Ettore Majorana l’immagine dell’uomo che aveva chiesto di essere ospitato in un ritiro per fare esperimento di vita religiosa (il quale Superiore non fu però in grado di dire con certezza se Ettore Majorana gli si fosse rivolto prima o dopo il fatidico 25 marzo); non lo permette, infine, una nota del Questore di Napoli di fine aprile, inviata al Rettore dell’Università (il quale provvide a trascriverla in una propria nota da lui inviata al Ministero dell’Educazione Nazionale, ed è così che se ne è avuta conoscenza), nella quale si afferma che “lo scomparso, pare il 12 corrente, si presentava al Convento di S. Pasquale di Portici per essere ammesso in quell’ordine religioso, ma non essendo stata accolta la richiesta, si allontanò per ignota destinazione” (nota che con ogni probabilità riferisce soltanto di indagini fatte non dalla Polizia, ma dai familiari, il fratello e la madre, cui, secondo testimonianza della vedova di Salvatore Majorana, fu piuttosto risposto: “Ma perché lo cerca Signora? L’importante è che suo figlio sia felice”). Su ciascuno di questi elementi (tranne l’ultimo), si vedano Sciascia, La scomparsa …, cit.,  e Recami, Il caso …, cit. (per l’ultimo solo Recami).

[10] Ecco perché, a nostro avviso, neppure è immaginabile che Ettore Majorana, dopo aver chiesto al Superiore della Chiesa del Gesù di essere ospitato in un ritiro per fare esperimento di vita religiosa, si sia determinato ad andare di nascosto in Germania per mettere le sue conoscenze e le sue intuizioni a disposizione del Terzo Reich.