Al momento stai visualizzando L’affermazione sulla scena letteraria internazionale  del “giallo nordico”: Henning Mankell e  il commissario Kurt Wallander

1. Devo, innanzitutto, rinnovare i miei ringraziamenti a Mario Grasso per avermi consentito di intervenire ancora sulla sua rivista sul tema dei “gialli nordici”, proseguendo quella ricostruzione storico-letteraria, già iniziata con “Le radici del ‘giallo nordico’: Per Walöö e Maj Siöwall e il ‘romanzo di un crimine’”, pubblicata con un certo, immeritato, successo, quest’anno, sul numero 73 di Lunarionuovo, maggio-giugno 2016.
Questo ulteriore intervento costituisce una prosecuzione del primo fortunato intervento, sopra citato, con cui si pone in una linea di continuità ricostruttiva, quasi come una sorta di feulletton storico-letterario. A favore di questa idea, dal mio punto di vista, milita l’originalità dell’iniziativa, che si deve alla lungimiranza letteraria di Mario Grasso e il successo, immeritato, del precedente intervento; a sfavore, l’impegno, bibliografico e filologico, che una tale iniziativa, proprio per la sua originalità e la conseguente mancanza di interventi critici, inevitabilmente comporta.
Queste precisazioni sono indispensabili per comprendere il senso di questa ulteriore iniziativa letteraria: per i risultati, naturalmente, non posso che rimettermi ai lettori.

Henning Mankell

2. In questa cornice letteraria, la seconda parte della mia ricostruzione storico-letteraria sul “giallo nordico” – iniziata, come si è detto, con Per Walöö e Maj Siöwall e il ciclo narrativo incentrato sulla figura dell’ispettore capo Martin Beck, intitolato “Romanzo di un crimine” – non può che proseguire con Henning Mankell e con i romanzi sul commissario Kurt Wallander, alla cui fortuna letteraria si deve la definitiva affermazione sulla scena letteraria internazionale di questo genere narrativo.
Henning Mankell, per la verità, è molto più che un Autore di romanzi noir riconducibili al genere del “giallo nordico”.
Henning Mankell, che è deceduto nel 2015 a sessantasette anni per un male incurabile, è infatti un narratore e un drammaturgo di fama internazionale ed è, soprattutto, un pezzo, fondamentale e iconografico, della Svezia e del mondo scandinavo contemporanei; di quel mondo scandinavo, cioè, dalla cui passione, in genere, nasce l’interesse per i “i gialli nordici” e per i molteplici rivoli letterari attraverso cui tale filone letterario si è sviluppato nell’ultimo ventennio.
Basti solo dire che Henning Mankell, è il genero di Ingmar Bergman, avendone sposato nel 1985 la figlia Eva Bergman, registra teatrale come il padre, altro insostituibile pilastro, culturale e iconografico, del mondo svedese raccontato dal nostro Autore.
Henning Mankell, poi, non è solo uno straordinario narratore, ma è soprattutto un grande intellettuale europeo.
Basti pensare al suo risalente impegno terzomondista, che lo ha portato a fondare e a dirigere il teatro Avenida, a Maputo, in Mozambico, dove, prima di morire, ha trascorso gran parte degli ultimi anni e dove, quasi sempre, ha trovato ispirazione per il suo lavoro narrativo. Basti pensare, ancora, alle sue iniziative editoriali finalizzate ad aiutare giovani scrittori ad affermarsi sulla scena letteraria internazionale, che lo hanno portato a fondare la casa editrice Leopard, risalente al 2001, costituita da Henning Mankell allo scopo di aiutare i giovani Autori africani e svedesi.
Non si può trascurare, infine, la straordinaria vena narrativa, non solo noir, di Henning Mankell che lo ha portato a pubblicare alcuni dei romanzi più belli e fortunati del panorama letterario scandinavo dell’ultimo decennio. Per tutti, mi limito a citare gli straordinari Il ritorno del maestro di danza (Marsilio, 2010), Il cinese (Marsilio, 2011) e l’ultimo struggente Stivali di gomma svedesi (Marsilio, 2016)

3. In questa occasione, però, fedele alle intenzioni letterarie dichiarate inizialmente, vorrei concentrarmi solo sull’impegno narrativo che ha portato Henning Mankell a dare vita alla figura del commissario Kurt Wallander. Questo impegno ha consentito a Mankell di acquisire una vasta fama internazionale, fornendo ai lettori di tutto il mondo un modello di investigatore moderno e originale, le cui indagini vengono sviluppate attraverso un ciclo romanzesco composto da dodici romanzi, pubblicati nell’arco di un ventennio.
Questo ciclo narrativo, in particolare, si incentra su dodici opere, pubblicate in Italia presso la Casa editrice Marsilio di Venezia, intitolate: Assassino senza volto (Mördare utan ansikte, 1991); I cani di Riga (Hundarna i Riga, 1993); La leonessa bianca (Den vita lejoninnan, 1993); L’uomo che sorrideva (Mannen som log, 1994); La falsa pista (Villospår, 1995); La quinta donna (Den femte kvinnan, 1996); Delitto di mezza estate (Steget efter, 1997); Muro di fuoco (Brandvägg, 1998); Piramide (Pyramiden, 1999); Prima del gelo (Innan frosten, 2002); L’uomo inquieto (Den orolige mannen, 2009); La mano (Handen, 2013).
Occorre anche dire, per non confondere i neofiti della serie, che si spera cresceranno nel tempo, che l’ordine di pubblicazione del ciclo romanzesco incentrato sul commissario Wallander non corrisponde alla sequenza temporale degli eventi narrati.
Si consideri, in proposito, che il primo romanzo, intitolato Assassino senza volto (Mördare utan ansikte, 1991), descrive accadimenti che hanno inizio l’8 gennaio 1990 e, fino all’ottavo romanzo, intitolato Muro di fuoco (Brandvägg, 1998), la serie segue un ordine rigorosamente cronologico.
La sequenza cronologica viene interrotta con la nona uscita del ciclo romanzesco in esame, costituita dalla raccolta di racconti intitolati Piramide (Pyramiden, 1999), che è in realtà il prologo della serie.
Infine, il dodicesimo romanzo, intitolato La mano (Handen, 2013), racconta accadimenti che si collocano prima dell’undicesimo episodio, raccontato nel romanzo intitolato L’uomo inquieto (Den orolige mannen, 2009), che conclude cronologicamente la saga narrativa. Tale ultimo romanzo assume un rilievo particolare nella saga narrativa in questione, rappresentando, come diremo più avanti, il testamento letterario e spirituale dell’intero ciclo e il congedo con i lettori di Kurt Wallander.
In tale ambito, occorre evidenziare ulteriormente che la straordinaria fortuna di questo ciclo narrativo e della figura investigativa su cui si incentra è testimoniata dal fatto che al commissario Wallander sono state dedicate diverse serie televisive, nelle quali attori noti al pubblico svedese come Rolf Lassgård e Krister Henriksson hanno impersonato il nostro investigatore, attribuendogli una significativa notorietà mediatica, anche grazie alla successiva trasmissione di tali serie in numerosi Paesi europei.

Kenneth Branagh
Kenneth Branagh

La fortuna mediatica del commissario Wallander, infine, è stata definitivamente decretata dalla
serie televisiva, prodotta dalla BBC, interpretata dall’attore di origini nordirlandesi Kenneth Branagh, che ha consacrato, nell’immaginario collettivo, anche al di fuori dei confini letterari dei romanzi mankelliani, la figura del nostro investigatore.

4. A questo punto, una domanda si impone: in cosa consiste la straordinarietà della figura narrativa di Kurt Wallander?
Come tutti i fenomeni letterari che trascendono i confini della narrativa – un po’ come è avvenuto per il commissario Montalbano di Andrea Camilleri o per il commissario Maigret di George Simenon – non è facile rispondere a questa domanda.
In una prima approssimazione, possiamo però dire che la fortuna principale di questo ciclo narrativo risiede nella capacità di Henning Mankell di riuscire a descrivere, attraverso gli schemi narrativi del genere noir, l’inquietudine del mondo svedese.
La centralità di questo tema, invero, è stata esplicitata in più occasioni dallo stesso Mankell che, sul suo ciclo narrativo incentrato sul commissario Wallander, ha tra l’altro detto: «Ho capito che il sottotitolo della serie doveva essere ‘I romanzi dell’inquietudine svedese’ […]».
E ancora: «Questi romanzi, in fondo, pur nella loro varietà, hanno sempre girato intorno a un unico tema: che cosa è successo negli anni novanta allo Stato di diritto? Come può sopravvivere la democrazia se il fondamento dello Stato di diritto non è più intatto? La democrazia ha un prezzo che un giorno sarà considerato troppo alto e che non vale più la pena pagare? […]».
In questa direzione, può anche essere utile evidenziare, come riferito dallo stesso Mankell, che l’idea del primo romanzo su Wallander, gli era nata dal desiderio di scrivere un racconto sui sentimenti di crescente razzismo che aveva notato al suo rientro in Svezia, dopo aver vissuto all’estero per diverso tempo; razzismo che è un’espressione tipica dell’inquietudine del mondo contemporaneo svedese, che all’Autore sembrava impensabile, oltre che incompatibile con i principi di tolleranza sociale con cui era cresciuto.
Da questo spunto, dunque, traeva origine il primo romanzo della serie incentrata sul commissario Wallander, intitolato Assassino senza volto (Mördare utan ansikte, 1991).
Il tema dell’inquietudine, quindi, è al centro delle riflessioni narrative incentrate sulla figura di Kurt Wallander, che stabiliscono una linea di continuità culturale con un’altra serie straordinaria di racconti noir: quella rappresentata dal “Romanzo di un crimine” Per Walöö e Maj Siöwall, attraverso cui il “giallo nordico” si è affacciato sulla scena letteraria internazionale.
Nel mio precedente intervento su Lunarionuovo, al quale ho accennato in premessa, ho detto che il ciclo narrativo “Romanzo di un crimine” di Per Walöö e Maj Siöwall ha avuto il merito, primigenio, di utilizzare lo schema del racconto noir per descrivere il malessere della società svedese, preso a modello insuperabile di Stato sociale dall’Europa, ma che, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, ha visto crescere quel livello di insofferenza, collettiva e individuale, mirabilmente descritto da tali Autori.
Henning Mankell si inserisce a pieno titolo in questo contesto letterario, approfondendo la riflessione sul malessere, individuale e collettivo, della società svedese, avviato da Per Walöö e Maj Siöwall e proseguito dal nostro Autore con esiti straordinari, certamente superiori a quelli dei suoi precursori, superati sia per la profondità delle tematiche affrontate sia per lo stile letterario utilizzato, come diremo, unico nel suo genere.
I romanzi del commissario Wallander, infatti, si caratterizzano per il loro stile letterario inconfondibile, di sapore simenoniano, grazie al quale l’incedere investigativo e le riflessioni esistenziali del protagonista si sviluppano attraverso un percorso narrativo deduttivo – caratteristica non sempre presente nella narrativa noir scandinava, anche a causa di traduzioni non sempre esemplari – descritto con una chiarezza che non lascia spazio a equivoci sul senso delle riflessioni del nostro investigatore. Da questo punto di vista, lo stile cristallino e inconfondibile del nostro Autore collega i romanzi in questione al giallo anglosassone di tipo deduttivo – Arthur Conan Doyle e Rex Stout soprattutto – arricchito, però, da una capacità di analisi introspettiva, scarsamente sviluppata nei suoi modelli narrativi di riferimento, che è il frutto delle riflessioni che Mankell pone a fondamento dell’incedere investigativo di Wallander.
Queste riflessioni ci fanno comprendere come i crimini commessi, sui quali di volta in volta indaga Kurt Wallander, sono solo un epifenomeno di un più vasto malessere, individuale e collettivo, in conseguenza del quale il crimine indagato viene commesso, al culmine di uno stato di sofferenza personale esploso, solo in apparenza, in modo irragionevole.
Anche in questo caso, come già abbiamo detto a proposito dei romanzi di Walöö e Siöwall, non si possono non richiamare le mirabili riflessioni cinematografiche di Ingmar Bergman – al quale, come detto, Mankell era personalmente legato per averne sposato la figlia Eva – con cui il ciclo narrativo incentrato su Wallander condivide una visione severa, spesso impietosa, del mondo svedese e delle inquietudini che la attraversano, minandone progressivamente il tessuto socio-culturale.
uomo-inquietoLa centralità del tema dell’inquietudine, individuale e collettiva, è anche testimoniata dai temi affrontati da Henning Mankell nel romanzo intitolato L’uomo inquieto (Den orolige mannen, 2009), che costituisce una sorta di testamento spirituale dell’Autore e del suo protagonista investigativo.
In questo romanzo l’Autore affronta, oltre al tema della vecchiaia, inserita nel contesto del welfare state svedese, quelli della malattia e della paura della morte, correlando tali tematiche esistenziali al difficile gioco di equilibri politici sviluppatisi durante l’epoca della guerra fredda in una Svezia la cui ambiguità politica disorienta il protagonista del racconto e i suoi lettori.
L’importanza di questo romanzo è anche rappresentato dal fatto che, alla fine del racconto, Mankell avverte il lettore che gli ultimi anni di vita del protagonista appartengono alla sua sfera privata, dando vita a una sorta di struggente addio di Wallander ai suoi seguaci narrativi; malinconia accentuata dal fatto che, nel corso del romanzo, il protagonista patisce alcuni episodi di amnesia, che prefigurano la sua incombente precocità senile, che, tra l’altro, lo portano a essere sospeso temporaneamente dal servizio.

5. In questa stratificata cornice narrativa, uno delle caratteristiche principali del ciclo narrativo in esame è certamente quella dell’ambientazione geografica, per certi versi anomala, dei racconti di Kurt Wallander, che opera presso il Commissariato di Ystaad, una cittadina vicina a Malmö che è quella in cui lo stesso Wallander è cresciuto, nella contea della Scania, situata nell’estremo meridione della Svezia; anomalia costituita dal fatto che la Scania è una regione situata al confine con la Danimarca – nella quale spesso sconfinano le indagini di Wallander – e non presenta quelle connotazioni di continentalità ambientale frequenti nel “giallo nordico” svedese.
Le storie del commissario Wallander, dunque, sono ambientate a Ystad, nella Scania, che è la regione più meridionale della Svezia, dove il territorio nazionale si interseca con la Danimarca – al quale è collegata da un ponte famoso in tutto il mondo – in una sorta di terra di confine del mondo svedese che, al contempo, rappresenta il punto di collegamento con l’Europa continentale. In questo modo, le indagini di Kurt Wallander vengono ambientate da Mankell in Svezia, ma in una Svezia pianeggiante e meno aspra, si potrebbe dire più europea; ed è questa, probabilmente, una delle ragioni dell’immediato successo delle storie di Kurt Wallander presso i lettori di tutta Europa che si sono subito affezionati a questo personaggio a loro vicino, anche in conseguenza dell’ambientazione, fortemente scandinava ma tutt’altro che esotica, del nostro protagonista.

6. La fortuna letteraria di Kurt Wallander, infine, è dovuta alle sue caratteristiche di uomo normale, lontano dai personaggi maledetti dell’hard boiled statunitense e vicino ai personaggi creati da George Simenon, primo tra tutti – inquietudine a parte – Jules Maigret.
Si consideri, in proposito, che Kurt Wallander, che è nato nel 1948, nello stesso anno del suo creatore, crescendo nella città di Malmö, è entrato in polizia, nel 1960, per guadagnarsi da vivere, provenendo da una famiglia di estrazione sociale modesta.
Il padre di Wallander, di cui non viene mai citato il nome nei romanzi del ciclo narrativo, è un pittore di scarsa fortuna artistica, che si guadagnava da vivere dipingendo paesaggi agresti; mentre, la madre, morta quando ancora Wallander era uno studente, è pressoché assente dal ciclo narrativo; Wallander ha anche una sorella, Cristina, che abita a Stoccolma, con cui ha contatti sporadici, anch’essa assente dal ciclo narrativo.
Altrettanto normale è la vita privata di Wallander, essendosi sposato, nel 1970, con una parrucchiera di nome Mona – dalla quale hanno avuto una figlia di nome Linda, entrata successivamente in polizia – da cui Wallander si separa nel corso degli anni Ottanta, con la quale non ha mai avuto un rapporto felice, essendo stato il loro rapporto coniugale costantemente caratterizzato da incomprensioni caratteriali e da reciproca diffidenza; il divorzio di Wallander dalla moglie determina uno stravolgimento delle abitudini del nostro protagonista – comune a quella di altri grandi protagonisti del “giallo nordico”, come il Martin Beck di Per Walöö e Maj Siöwall e il Gunnar Barbarotti di Håkan Nesser – che inizia una vita alimentare, alcolica e sentimentale alquanto disordinata, che costituisce una sorta di controcampo esistenziale della narrazione, piana e senza strappi, contribuendo a determinare quello stato di inquietudine esistenziale che rappresenta, come si è detto, l’aspetto centrale del ciclo narrativo.
A ben vedere, la normalità di Kurt Wallander non è solo una connotazione individuale del personaggio ideato da Henning Mankell, essendo tale normalità, umana e comportamentale, una cifra al contempo narrativa e stilistica, atteso che, solo attraverso queste caratteristiche comportamentali del protagonista, è possibile comprendere lo stile narrativo dell’Autore, frutto dei richiami ai modelli romanzeschi del giallo deduttivo di Conan Doyle e Stout, cui ci si è già riferiti.
Le indagini di Kurt Wallander, invero, oltre a essere, salvo rare eccezioni, sostanzialmente prive di azione, sembrano procedere a un ritmo lento, descritto in modo monocorde, quasi monofonico; monofonia che, però, costituisce il frutto di una precisa scelta narrativa di Mankell, che sviluppa l’intreccio narrativo attraverso una sequenza di eventi descritti senza apparenti colpi di scena – al contrario, ad esempio, dei racconti dell’altrettanto famoso Stieg Larsson – fino all’epilogo finale, quando, attraverso le deduzioni investigative di Wallander e dei suoi collaboratori, si giunge all’individuazione del colpevole dei crimini investigati e dei moventi che li hanno scatenati.
Anche su questo versante, lo stile di Mankell, pur con i richiami del giallo deduttivo di cui si è detto, merita di essere apprezzato per la sua originalità, avendo rappresentato tale cifra stilistica un modello indispensabile per gli Autori svedesi che si sono confrontati con il “giallo nordico” dopo di lui. Da questo punto di vista, l’epigono di maggiore rilievo mi sembra Håkan Nesser – con i cui bellissimi racconti prima o poi occorrerà confrontarsi in una dimensione critica adeguata al pregio dell’Autore – che, con il ciclo narrativo incentrato sulla figura dell’ispettore Gunnar Barbarotti, ha dato vita a un personaggio investigativo di grande respiro narrativo che, alla figura di Kurt Wallander, deve molto.

7. Anche in questo caso, come ho già fatto per i romanzi di Per Walöö e Maj Siöwall, consiglio a quanti non lo abbiano ancora fatto di intraprendere la lettura degli splendidi racconti di Henning Mankell, avvicinandosi al quale si potrà meglio comprendere la meritata fortuna dei “gialli nordici” e il successo planetario della figura narrativa di Kurt Wallander.

 

Alessandro Centonze

Alessandro Centonze è nato a Siracusa e vive tra Catania e Roma, dove presta servizio, con funzioni di consigliere, presso la Prima Sezione penale della Corte Suprema di Cassazione. In precedenza, ha svolto, presso uffici giudiziari siciliani, sia funzioni requirenti che funzioni giudicanti. Ha anche insegnato, presso l’Università degli Studi di Catania, diritto processuale penale e diritto penale transnazionale. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche, tra cui le monografie "Il sistema di condizionamento mafioso degli appalti pubblici" (2005), "Criminalità organizzata e reati transnazionali" (2008) e "Contiguità mafiose e contiguità criminali" (2013).