E qui ti voglio, proprio nel momento di assistere a questo risveglio di Giambattista acciambellato sotto le coperte di un mattino messinese governato dallo scirocco, che i suoi concittadini eruditi definivano siriocco in quanto – spiegavano – vento che, fiatando dalla Siria, dopo essersi scialato di sabbia rovente lungo i deserti africani uniti che tutti chiamiamo Deserto, si inumidisce alla grande nel Mediterraneo sud per deliziare delle sue appiccicose propaggini (perché proprio i venti sono la meteorologia delle propaggini untuose e sfibranti) il meridione d’Italia, e dopo avere massaggiato sadicamente la Sicilia, specie quella orientale siracusana di Archimede e quella peloritana del Duemari di Stefano D’Arrigo. Qui ti voglio, appunto, in Scienze della mio distratto lettore, per inoculare nella parte bassa della tua coscienza universale il turbamento di Giambattista nel ritirare le braccia e posarle sulle coperte, in quel fulminante attimo del prendere sommariamente atto di quanto aveva sognato di mai accaduto. Ho scritto sommariamente scartando il meglio appropriabile “confusamente”, perché mi sto sforzando di far capire che Giambattista, quanto a sensibilità reattiva ne aveva da farsene amici e nemici fin dai tempi della prima elementare e della filastrocca del mai dimenticato Lello. E cosa c’entra la sensibilità, ci si potrà chiedere con il risveglio da un sogno dolce e gratificante talmente vero da essere altrettanto falso? Eppure è così: la sensibilità è inversamente proporzionale alla distanza che separa chi ne è portatore (sano o meno sano) rispetto al comune protonannavo primate.
Dal momento di quel risveglio, infatti, Giambattista non fu più quello di prima. E’ difficile a spiegare, ma la prima reazione innovativa messa in pratica dal giovane fu quella di non cercare più Matilde. Come se quel risveglio fosse stata spugna maligna, capace di cancellare dal cervello di Giambattista tutto il passato. Passato che altro non era – seguiamo la memoria –, altro non era che il catalizzatore subliminale, il regista e sceneggiatore del sognato ponte sullo Stretto.
A questo punto del narrare logica vorrebbe che ci si degnasse di andare a trovare Matilde nella sua Reggio Calabria col padre di lei, dolciere, gelataio e quant’altro di mestiere per vivere lo aveva convinto a lasciare Messina per l’oltre Stretto di calcolato maggior successo. E infatti ci saremmo andati se non ci fosse stato più urgente seguire le conseguenze del sogno sulla condotta di Giambattista, che ubbidendo a un suo démone interiore di cui prima non aveva mai preso conoscenza, alzandosi dal letto altro non fece che raccogliere, questa volta realmente, quanto aveva di vestiti e indumenti, stiparlo alla rinfusa nel borsone, questo sì lo stesso del sogno, e senza dir nulla ai genitori avviarsi solitario al colle san Rizzo puntando verso Castanea dove, come poi, dopo tre quarti di secolo, quando l’anima di Giambattista prese il volo verso regioni più ampie serene e senza ponti si seppe, era vissuto in pace con se stesso e con il mondo, da eremita scalzo. Ma una misteriosa coincidenza si era destinata a segnare di intrigante (per chi conosceva la storia umana di Giambattista e del suo sogno), la coincidenza della dipartita del quasi centenario eremita dimenticato e dimentico, con la grande e straziante catastrofe del secolo, paragonata a quell’altra, anche se di genere diverso, del secolo precedente per le Torri Gemelle, il crollo rovinoso e improvviso del ponte sullo Stretto di Messina nelle acque straprofonde del Duemari.
FINE (*)
(*) La prima parte è stata pubblicata sul numero precedente di questa Rassegna.