Sembra che la cronaca dei poveri stenti al momento di poter essere accolta nei libri di storia, perché quest’ultima viene scritta omettendo ciò che può far montare la testa agli indigenti, come quella volta Masaniello.
Lenin, Stalin e Trosky qualche esperienza l’hanno affidata alla storia, ma le parti più significative sono rimaste impigliate e poi obliate nelle cronache che il tempo si prende la briga di sbiadire prima di cancellarne ogni traccia. Se Trosky potesse tornare e raccontare!
Sono trascorsi 40 anni dal giorno in cui venne ucciso Pier Paolo Pasolini e le cronache ancora annaspano per raccontare la verità alla Storia. Non è più competenza delle cronache, invece, la ricerca della verità “ufficiale” sulla strage di Porzûs nella quale venne trucidato Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo. Da quell’ormai lontanissimo inverno 1944 restano solo i verdetti contrastati e contestati dalle corti d’Assise di Firenze e Perugia, contestati di volta in volta dalle stesse Procure, fino a che la lercia coltre dell’amnistia del 1959 non giunse per coprire tutto e vanificare l’esito dell’ultimo verdetto affidato alla Suprema Corte di Cassazione.
Guido e Pier Paolo Pasolini, fratelli segnati da una comune tragica fine come per un destino da realtà romanzesca.
Dal recente libro dello scrittore-storico friulano Sandrino Coos estrapoliamo per i lettori di Lunarionuovo la testimonianza di Marco Cesselli, pubblicata nel 1975 dalle edizioni La Pietra: “Porzûs: due volti della Resistenza“. La ricerca storica esitata da Sandrino Coos nel terzo volume (Sfascio 3) dedicato alle Valli del Natisone è puntualmente circostanziata sui fatti che l’autore si impegna a descrivere, a partire dall’eccidio di Porzûs nel quale venne trucidato Guido Pasolini.
Per dare ai lettori una più chiara informazione riportiamo qui le scansioni dei titoli negli altrettanti capitoli della prima parte di Sfascio 3 di Sandrino Coos: Una spia quasi insospettabile; Primi contrasti; Situazione preoccupante; Deterioramento dei rapporti tra Garibaldi, Osoppo e Sloveni;(Nomi delle brigate partigiane:N. d. T) ; Premesse dell’eccidio di Porzus; Protagonisti della strage di Porzus; L’eccidio; La morte di Guido Pasolini; Chi ordinò l’eccidio?; Relazione del GAP sull’eccidio; Reazioni all’eccidio; Le fasi dei processi. (Cfr.: Sandrino Coos, Sfascio 3, Testimonianze dopo l’8 settembre 1943).
Questo come gli altri libri di Sandrino Coos possono essere richiesti a: Aviani & Avian editori, Viale Tricesimo 184/7 – 33100 UDINE.
LA MORTE DI GUIDO PASOLINI
“Fuggito ai suoi carnefici pochi istanti prima della sua esecuzione, con i gappisti alle calcagna raggiunse lo Judrio, dove, trovatosi allo scoperto, fu raggiunto da una raffica di mitra che lo ferì alla spalla e al braccio destro. Il giovane si presentò in casa di certa Libera Piani, chiedendo aiuto. Egli non denunciò chi aveva tentato di ucciderlo, forse temendo di essere riconsegnato nelle loro mani. Libera Piani era una povera vecchia che, visto il partigiano in quello stato, non esitò ad offrirgli il suo caffelatte e il po’ di grappa di cui disponeva. Ma da lì a qualche minuto entrarono nella casa due sconosciuti garibaldini che si offrirono di accompagnare il ferito all’ospedale. Pasolini non avrebbe voluto seguirli ma era troppo debole per ribellarsi: si limitò a rivolgere uno sguardo implorante alla donna, mentre i due lo portavano fuori di peso. Il giovane fu trasferito in casa di certa Lina Madaloni, presso la quale abitava anche il responsabile del CLN di Dolegnano, che era poi l’intendente del battaglione Ardito. Non molto tempo dopo irruppe in casa un terzo comunista, armato fino ai denti, sudato, infangato e furibondo per il lungo cammino compiuto attraverso i campi. Informato della presenza di un ferito in casa Madaloni, vi si recò di filato e si precipitò nella camera al primo piano dove Guido Pasolini stava disteso sul letto, constatando che si trattava dell’osovano sfuggito al plotone di esecuzione. Si rivolse allora ai due garibaldini che lo avevano preceduto e disse loro: “Se lo lasciate scappare, faccio la pelle a voi”. Quindi si allontanò per procurarsi una bicicletta. Ritornò poco dopo e caricò il ferito, ormai esangue, sulla canna della bicicletta, assicurando a tutti che l’avrebbe portato in ospedale a Cormons. Scortato e protetto dai compagni, il gappista si avviò invece verso “i quattro venti” per consegnare il ferito agli uomini della Ardito. Questi, preso il Pasolini, lo riportarono nello stesso luogo dal quale era fuggito e lo fecero distendere nella fossa già pronta. La vittima avrebbe docilmente ubbidito e sarebbe stata finita con alcuni colpi di pistola da un comandante di battaglione. I cadaveri furono spogliati prima di essere sotterrati. Patussi dirà di avere notato, dopo un paio di giorni alcuni garibaldini con le scarpe dei suoi compagni. Chiestone le ragioni al Mazzaroli, questi spiegò che Mazzeo e gli altri erano stati eliminati perché fascisti. Era il 13 febbraio e le scarpe facevano comodo”.