CON SINOSSI ARTISTICO-FIGURALE REALIZZATA DA ANNAMARIA SQUADRITO
Premessa
Non voglio che i miei benevoli lettori restino delusi, motivo per cui avviso subito che non debbono leggere il titolo immaginando sia traccia d’un micropamphlet di moralismi umidi di rugiade religiose o di risentimenti senili interpretati a scopo rivendicativo. No. La mia tende a essere una divagazione fondata su dati di conoscenza comune, contaminate da approssimazioni personali anche bizzarre, forse per stimolare qualche curiosità più seria, quindi a mo’ di scorciatoia per chi volesse approfondire e veder chiaro su argomenti mitologici spesso maltrattati dalle sapienze disponibili sul mercato di Pizzighettone.
A) BACCO. Chi cerca la voce Bacco su un buon dizionario italiano corre il rischio di trovare notizie fuorvianti, tipo: Dio romano del vino; esclamazione di stupore: “Per-bacco!”; sinonimo di vino; stato di ebbrezza-ubriachezza, et similia. Bene, anzi benissimo anche per l’anno 1321, a partire dal quale la voce Bacco è entrata nel vocabolario italiano. Tuttavia, affinché scongiurare il pericolo che il destinatario della didascalia s’indigni, dovunque si trovi da immortale figlio di Zeus, sarà da tenere igienicamente per buona una delle tante testimonianze vascolari dei tempi “degli déi falsi e bugiardi”, che certificano la nascita prematura di questo figlio di Semele, provocata dalla mirata violenza di Giove verso la madre al settimo mese di gravidanza. Il padre degli dèi – bontà sua – fulmina la puerpera (il femminicidio continua da allora e chissà da quanto prima) le cui ceneri vengono trasformate in vite dai tralci stracarichi di grappoli da cui lo stesso onnipotente padre Giove ricava e preleva il figlio allo stato della sua naturale prematurità biologica (e dire che avrebbe potuto renderlo maturo senza ricorrere a complicati espedienti. Ma la logica degli operati divini è imperscrutabile) e lo innesta – come è noto – nella propria coscia destra (ancora le incubatrici non esistevano). Una piccola consuetudine, a farci ben caso, infatti Giove era solito portare incorporate creature proprie, come era stato con Minerva schizzata fuori al momento giusto dalla sua testa tramite una martellata magistralmente assestata dalla mano infallibile di Vulcano. Diamo per logica continuazione che Giove, anche stavolta a luna propizia, espone alla luce la creatura e la affida alle cure di una delle sue devote Ninfe. A questo punto cediamo la responsabilità di quanto era seguito alla ricostruzione fedele di una delle più scrupolose e documentatissime relazioni, quella fornita dal compianto studioso Carlo Kerényi, la cui opera è fruibile in Italia grazie alla traduzione della nostra amica e collaboratrice Vanda Tedeschi, per i tipi del Saggiatore. Citiamo: “Un antico dipinto vascolare mostra Bacco nel suo aspetto sdraiato in una barca, l’albero e la vela sono coperti da una esuberante crescita di tralci dai quali pendono grappoli giganteschi (…) Bacco apparve per la prima volta sotto l’aspetto di un tenero giovinetto su di un promontorio della costa. Scuri riccioli circondavano la sua splendida testa, una veste purpurea copriva le sue spalle vigorose. Arrivarono, proprio allora, dei pirati etruschi, sul mare color vino, con la loro nave veloce. Scorgendo il giovinetto essi si fecero cenni di intesa. Saltarono rapidamente sulla riva, lo afferrarono e lo trascinarono sulla nave. Credevano che si trattasse del figlio di un re e volevano legarlo con forti vincoli ma nessuna corda riusciva a tenere fermo il giovanetto; i vincoli di rami di salice cadevano dalle sue mani e dai suoi piedi. Egli sedeva sorridendo con i suoi occhi scuri. Il timoniere se ne rese conto subito e gridò ai compagni: Infelici avete rapito un dio (…) Lasciatelo libero subito e nessuno gli metta mani addosso altrimenti nella sua ira ci manderà venti sfavorevoli e tempesta. Ma il capitano della nave intervenne autoritario: Bada al vento piuttosto e tendi la vela con tutte le gomene al resto penseremo noi. Spero di portarlo con noi in Egitto o a Cipro o presso gli Iperborei, finirà per dirci il nome della sua famiglia e rivelarci le sue ricchezze. Così parlò il comandante perché sperava di ottenere un grande riscatto per il giovinetto. La vela venne issata, appena il vento soffiò e tutte le gomene si tesero. Già questo era un miracolo ma già dentro la nave cominciò a colare vino dolce a essere bevuto e di ottimo aroma, di un profumo veramente divino. L’equipaggio fu colto da stupore e ancor più quando sulla estremità della vela crebbe improvvisamente una vite da cui pendevano numerosi grappoli e intorno all’albero della nave si attorcigliò una pianta di edera fiorente. Vedendo ciò i rematori gridarono imponendo al timoniere di volgere la nave verso terra. Frattanto il giovinetto si era trasformato in leone e li minacciava dal ponte con potenti ruggiti. In mezzo alla ciurma Bacco fece apparire un orso peloso (…) L’equipaggio scappò a poppa e restò tremante presso il timoniere che era stata l’unica persona di buon senso. Il leone-Bacco con un balzo afferrò il capitano e frattanto gli altri per paura della morte erano saltati dalla nave in mare e Bacco li trasformò in delfini. Egli trattenne il timoniere, ebbe misericordia di lui. A questo timoniere il dio si rivelò come Dioniso figlio di Zeus e di Semele”.
B) TABACCO. Pianta originaria dell’America centrale, il tabacco presente almeno in una cinquantina di specie arbustive ed erbacee, con fusto vischioso, foglie grandi, fiori a corolla di colore bianco, rosa o rosso. Se ne coltivano essenzialmente due specie, dalle quali derivano il tabacco da fumo e il tabacco da fiuto. Ma tabacco è anche il nome arabo (tobaco) di una pianta medicinale, nome (quest’ultimo) noto in Italia fin da prima della scoperta dell’America. Era conosciuto, il nome, perché portato in Italia dallo spagnolo per l’accostamento fonico con la voce usata dagli indigeni tahitiani per indicare una rudimentale loro pipa. Possiamo dire che lungo i secoli scorsi sia il fumo che il fiuto del tabacco sono stati la più diffusa droga leggera in circolazione in Europa. Mal sopportato dai cattolici e dai protestanti il tabacco venne bandito dai religiosi delle due correnti di fede in quanto classificato fonte di un “piacere inutile”, quindi peccaminoso. Quasi un incentivo, in omaggio all’amore umano per le trasgressioni, per la sua maggiore diffusione anche presso gli stessi religiosi che a parole lo proibivano, oltre che tra aristocratici e ricconi. Il grottesco venne a manifestarsi quando una corrente di fede e di fedeli ritenne di definire il tabacco “erba santa” in quanto rimedio per diversi mali e malanni. Questo mentre da altra opinione lo stesso “tabacco erba santa” veniva combattuto con leggi e persino con scomuniche! Il risultato di tutta questa diatriba ha avuto poi nei tempi moderni uno sbocco conciliante e significativo: lo Stato ha legalizzato la consumazione del tabacco elevandolo a monopolio proprio, in spudorata contraddizione con le gravi denunce degli operatori sanitari che avvertono la pericolosità del fumo di tabacco causa di gravi malattie dei polmoni e del sangue.
C) VENERE. Come detto in premessa, propongo argomenti più che noti, con lo scopo di invitare chi avrà la pazienza di cogliere il significato della pretesa, a che altri possano ripartire indagando e commentando in orizzontale e in verticale quanto risaputo e qui rimestato. Non è forse dai graspi (vinaccia) che viene ricavata l’acquavite ad alta gradazione alcoolica? Debitore come sono, fin dall’adolescenza, del protonannavo Esiodo, mi continua a essere caro il ricordarlo, anzitutto a me stesso. Detto questo passo a ripetere la sinossi di quanto disponibili in “atti pubblici” cominciando dai preliminari indispensabili per giungere alla nascita di Venere. “Urano, dio del Cielo, andava di notte dalla sua sposa Gea, con cui si accoppiava. Odiava però i figli che generava con la moglie e appena nascevano li nascondeva nelle cavità interne della Terra. La immensa sposa Gea era costernata da questo comportamento maligno del marito. Disgustata al punto che si diede a escogitare una crudelissima vendetta: trasse dalle sue viscere un pezzo di acciaio e ne fece una falce con denti aguzzi affilatissimi. Quindi si rivolse ai suoi figli presenti (Ceo, Crio, Iperione, Giapeto e Crono, quest’ultimo il più giovane di tutti. Erano altresì presenti le figlie: Tia, Rea, Temi, Mnemosine, Febe e Teti). Posseduta da gran turbamento Gea così parlo a quella assemblea di sue creature: <<Figli miei, spero vogliate ascoltare le mie parole e punire le malvage azioni di vostro padre>>. I figli ascoltarono e inorridirono ma nessuno aprì bocca. Soltanto il più giovane, Crono, ruppe il pesante silenzio: <<Madre, disse, prometto che sarò io a portare a compimento l’opera contro questo padre odioso>>. Gea si rianimò nel sentire quelle parole, e subito provvide a nascondere il figlio in un luogo propizio all’agguato, gli mise in mano la falce che aveva predisposto e gli spiegò lo stratagemma. Infatti quando di notte giunse Urano e abbracciò la Terra, pronto per l’atto sessuale, Crono dal nascondiglio lo afferrò con la mano sinistra e con la destra presa la tranciante falce, recise la virilità del padre e la gettò a perdere, scagliandola con forza lontano”. Infatti la virilità di Urano finì in mare e così nacque Venere. L’organo reciso, sballottato dai flutti del mare in tempesta, al sopravvenire della bonaccia cominciò a trasformarsi assumendo la forma elissoidale di uovo dall’involucro morbido e predisposto ad assorbire dalla spuma del mare l’alimento propizio a farlo crescere circondato dalla spuma che andava formandosi in grazia dell’impatto del movimento ondoso a risacca contro la superficie dell’uovo stesso, già di notevole grandezza quando lo trovarono alcuni delfini, che per un po’ si divertirono a palleggiarselo. Partiti i delfini l’uovo si dischiuse e dall’accumulo schiumoso (Afros) sorse e crebbe una stupenda fanciulla, che dapprima si mise a nuotare verso l’isola Citera ma a un certo momento decise di cambiare direzione e puntare verso Cipro, dove le fu dato il nome di “Nata dalle schiume del mare” . Superfluo ricordare che in seguito le saranno dati tanti altri nomi da Chryse (aurea) a Kalliglutos e/o Kallipygos (belle natiche). Poi le cose sono andate in direzioni sempre più imprevedibili, fino alle nozze della bellissima con lo storpio Efesto, il geniale artigiano nano e zoppo, anticipatore tecnico dei nostri tempi dei robot, infatti egli trascorreva il suo tempo fabbricando statue di belle ragazze tutte d’oro massiccio, che si muovevano, pensavano e lavoravano come persone vive. (Tra queste, Pandora, che un po’ tutti abbiamo conosciuto). I guai cominciarono (ma presto furono dissolti) quando Ares, il fighissimo dio della guerra, si era passato lo sfizio di cornificare Efesto, accoppiandosi con la bella Venere fedifraga nello stesso letto coniugale dello zoppo artigiano. Nessuno se ne sarebbe accorto, ma il Sole vide tutto e si affrettò a darne notizia ad Efesto. Questi, lì per lì, aveva quasi ordito un delitto d’onore, cambiò di parere realizzando che Ares era un immortale, ma non si sentì di rinunciare alla vendetta ed escogitò un marchingegno all’altezza delle sue capacità artigiane. Creò infatti una prodigiosa catena semovente che collocata sotto i materassi, lunga come era stata fabbricata, aveva il potere di sollevare e riunire le proprie estremità appena pressata da un qualsiasi peso al suo centro. Infatti appena Venere e Ares si furono messi sul letto le estremità della catena scattarono a tenaglie su di loro sigillandosi, imprigionandoli e immobilizzandoli . Efesto, che era in allerta, corse e spalancando tutte le porte cominciò a chiamare ad alta voce a testimoni tutti gli dei dell’Olimpo: “ Padre Zeus e voi tutti déi eterni e felici, venite a guardare ciò che accade qui di ridicolo e obbrobrioso! Osservate come mi disonora Afrodite figlia del Cielo, poiché io sono uno zoppo lei ama il fatale Ares perché è bello ed ha le gambe regolari mente io sono zoppo!”. Omettiamo il resto della concitata quanto vana (gli dei non mossero un dito né risposero) pietosa querelle del povero Efesto, per passare a un altro capitolo particolarmente interessante della storia di Afrodite. Quella del suo doppio sesso e delle sue occasioni maschili. Ci informa infatti Kerenyi (tradotto in Italia dalla qui prima citata Vanda Tedeschi) che “La fama maschile del nome di Afrodite, Afrodito, autorizza a indagare a pagine aperte, partendo dal dato certo che ad Amatunte, nell’isola di Cipro, la dèa Venere-Afrodite-Kallipigia era venerata sotto il nome di Afrodito ed era raffigurata con il volto barbuto, folto di peluria”. Ed ecco “l’androginismo della Madre degli déi” di cui troviamo esiti di serie ricerche svolte da autori dell’Asia Minore, antecedenti rispetto a quelle sulla figura e la personalità di Ermafrodito, cui ci ricondurrà l’approfondimento auspicato, anche se – sia chiaro – nulla di nuovo! Prova ne sia il brevetto di quella volta vantato da Efesto in materia di servizievoli robot femminili (una predestinazione a sfondo maschilista ante litteram), o quello di Crono rispetto a Edipo, per non dire del femminicidio da cui nacque Bacco e senza tacere sulla paziente cornutaggine di Efesto.