Su quel tavolo, Leni aveva perso la verginità. Che cosa c’era di male, avrà pensato Ernst. Leni sembrava consenziente, te lo giuro. Sembravamo tutti consenzienti, in Germania. Pg.237.
La Germania consenziente è quella della seconda guerra mondiale, il tavolo è della mensa, attorno al quale si ritrovano, tre volte al giorno, le assaggiatrici del cibo destinato ad Adolf Hitler: la Storia in grande e la storia piccola che si incastrano, una a rimproverare all’altra, senza soluzione di continuità, una certa connivenza, sottoscritta o imposta.
Nel suo romanzo LE ASSAGGIATRICI, l’autrice Rosella Postorino disegna con inquietante precisione chirurgica l’ineluttabilità del male nel quale il conflitto degli anni Quaranta ha fatto sprofondare l’umanità, e lo fa assegnando il punto di vista alla protagonista Rosa, tedesca di Berlino.
Tutti i personaggi, in verità, sono tedeschi di Germania, con ruolo e ceto sociale diversi: le dieci assaggiatrici – tra cui Rosa – sono donne giovani, tedesche e affamate; Herta e Joseph, suoceri di Rosa, vivono del lavoro di giardiniere in un paesino in cui la fame sa essere una delle cifre della guerra; il cuoco Krumel è servo del suo padrone, un Hitler che compare per sineddoche e verso il quale la venerazione sfocia a volte nell’adolescenziale fanatismo; le guardie non hanno volto, restano uniformate in gesti e rituali senza il sostegno di un pensiero critico; il tenente Ziegler è l’espressione piena del consenso ideologico al regime, un consenso che è pure corporale:
(…) affinché il braccio si alzi in modo netto e incontrovertibile, è necessario contrarre ogni muscolo del corpo, glutei stretti, pancia in dentro, sterno in fuori, gambe congiunte, ginocchia tese e diaframma gonfio, per poter espirare Heil Hitler! Ogni fibra tendine nervo devono assolvere al solenne compito di allungare il braccio. Pg. 98.
Nel romanzo LE ASSAGGIATRICI, i ruoli e i comportamenti dei personaggi attraversano trasversalmente i quattro livelli della colpa teorizzati nel 1946 dal filosofo Karl Jaspers: criminale, politica, morale e metafisica[1]:
– la colpa criminale è di chi ha progettato e ordinato il crimine, ovvero di un Hitler percepito attraverso gli effetti mortiferi nelle relazioni umane:
(Maria:) Ogni volta che l’ho incontrato, ho avuto l’impressione di parlare con un profeta. Ha gli occhi magnetici, quasi viola, e quando parla è come se spostasse l’aria. Non ho mai conosciuto una persona più carismatica. Pg. 170.
– La colpa politica è di chi, in quanto cittadino appartenente a uno Stato, è pur sempre coinvolto in tutto ciò che lo Stato fa, che lo abbia votato o meno, poiché non è stato in grado di creare una aggregazione alternativa e vincente. Nel romanzo LE ASSAGGIATRICI, sono politicamente colpevoli quasi tutti i personaggi: il marito di Rosa partito in guerra, Herta e Joseph che sopravvivono passivi, in attesa del ritorno del figlio dal fronte, il cuoco invasato del Fuhrer, le guardie anonime, conseguenza di un nazismo capace di sottrarre l’unicità dell’essere umano. A monito della colpa politica si erge dantescamente, nella coscienza di Rosa, il giudizio di un padre antifascista:
Sei responsabile del regime che tolleri, avrebbe gridato mio padre. L’esistenza di chiunque è consentita dall’ordinamento dello Stato in cui vive, pure quella di un eremita, lo capisci o no? Non sei immune da nessuna colpa politica, Rosa. Pg. 135.
– La colpa morale appartiene a tutti coloro che, nella propria sfera individuale, di fronte alla violenza non intervengono, si sottraggono all’etica della responsabilità. E’ la colpa delle ragazze assaggiatrici che accolgono nel loro corpo il cibo del Fuhrer. E’ la colpa di chi assiste a uno stupro – biografico e storico – e lo giustifica col contesto:
Sembravamo tutti consenzienti, in Germania. Pg. 237.
E’ la colpa di Rosa, che si adatta:
Che cosa avevo da condividere con quella donna (Maria)? Perché mi trovavo nella sua stanza? Perché, da tempo, mi trovavo in posti in cui non volevo stare, e accondiscendevo, e non mi ribellavo, e continuavo a sopravvivere ogni volta che qualcuno mi veniva portato via? La capacità di adattamento è la maggiore risorsa degli esseri umani, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana. Pg. 170.
In questo girone di sommersi, qualcuno si salva:
– Ti piace la condizione di vittima?
– Non è un problema tuo.
– E’ un problema di chiunque, lo capisci? – urlò Elfriede. Pg. 221.
Eppur ci si ama. In un mondo irreggimentato e impersonale, l’amore di Rosa per il tenente Ziegler è un amore di necessità corporale, risponde all’urgenza – di entrambi – di sentirsi chiamati per nome, di usare il proprio corpo per confermare la vita e di emergere come individui unici e irripetibili.
Eppur non è sufficiente. A guerra terminata, quando il cibo torna a essere nutrimento proprio, la coscienza agita Rosa. E’ una coscienza ingabbiata nelle maglie della colpa metafisica, quella responsabilità percepita da chi sente di far parte dell’universo umano e sa farsi carico dei suoi mali.
In una mensa anonima:
Bocconi misurati, uno dopo l’altro, finché lo stomaco non tira. Una lieve nausea, non è niente. Appoggio le mani sulla pancia, la scaldo. Resto così, ferma, seduta, non c’è quasi nessuno, si sente giusto un leggero brusìo. Aspetto un po’, forse un’ora, poi mi alzo. Pg. 285.
Nel romanzo LE ASSAGGIATRICI dell’autrice Rosella Postorino, il campionario umano descritto tocca tutti i gradi della responsabilità e non ottiene assoluzione alcuna.
Maria Bucolo
[1] Karl Jaspers, LA QUESTIONE DELLA COLPA. SULLA RESPONSABILITA’ POLITICA DELLA GERMANIA, 1946. Ed. Raffaello Cortina Edizioni.