Non ho mai chiesto il permesso di poter fumare.
Né di crescere (volevo farlo ad ogni costo, diventare ‘grande’), imparare dagli errori ed i contrari. Così fumando ho cominciato ad andare. Sola, il vento in faccia e lo sguardo dritto verso, perché nessuno potesse dire altro che: accecata dalla luce.
Non ho chiesto il permesso di voler bene. Di scolorire in acqua il sangue che sgorga dalla ferita. Sono cresciuta danzando con l’acqua e ora che sono ‘grande’: sbatto i piedi, prendo aria, un occhio salato spalancato dentro.
La libertà è un salto. E se salti tutti lì a guardare: controsenso la rincorsa, hai sbagliato, così non va: tira il braccio da un lato, comincia da qui, la testa dall’altro, ma non da lì…
(io dietro rincontravo te).
Meglio andarsene prima che il sangue torni, proprio da lì, preciso e a vista come un tira a segno. Chiamando frecce a un sibilo fulmineo. Tira a segno o croce, cosa importa, continuo a saltare o a cadere, come dicono.
(Nell’acqua? Ancora profondamente, visioni di te. E non se ne accorge nessuno, nemmeno il sole che, da sotto mi solleva irradiando, sdraiata a croce mi trafigge lo sguardo, attirandomi a sé in minuscole gocce).
Chiedo scusa per non saper chiedere scusa nel giogo di volontà che bramano un riflesso di ordine. Ogni volta che le dimentico. Chiedo scusa se per caso vedo più lontano ancora, e continuo scappando a bracciate (non è di te che parlo). Esiti in una somiglianza sfumata. Il sole scende e non sai di essermi accanto (mi giro, ti vedo, accendo una pipa).
Strano vero? Attardarsi ancora.
La coscienza è l’acqua che rilascia il sangue. E mi dissanguo molto facilmente.
Kilroy was here, ho coscenziato.