Che pollo quel Max! Tutto preso a cercare galline in un granaio puzzolente. Si divertiva a razzolare e a raccogliere molliche, pastose e bagnaticce, sparse qua e là muovendosi a stento con le sue rugose e rattrappite zampette. Di raddrizzare la testa non ne voleva proprio sapere e guardava di continuo in giù per beccare pane e schegge minerali. Da galletto aveva imparato vari canti e le posture per attrarre le belle ed arzille pollastrelle. Adesso, invece, un passo dopo l’altro gli sembrava di spingersi in avanti eppure girava e rigirava in cerchio tornando di continuo indietro su se stesso.
“È permesso?” Chiese con voce squillante un’avvenente gallinella. Avanzò gaia facendosi spazio in quel letame.
«Si, si.» Rispose con prontezza il pollo furbacchione dal piumaggio scolorito. Finì velocemente di grattare il suolo e si avvicinò quatto quatto alla pollastra genuina.
Tra lampi e pioggia era passata un’orrenda nottataccia. Max non aveva dormito granché ed ora si sentiva molto stanco. Non gli andava di metter su conversazione ma, da maschio intraprendente e assai piacente, gli dispiaceva mostrarsi poco interessante e apparire un deficiente. Alzò la zampa un pizzichino e le fece anche un bell’inchino. La gallina lo fissò divertita e compiaciuta. Quel vecchio gallo in fondo non le dispiaceva e si mise ad aspettare con ansia che si facesse sera. Come al solito Max, pur dentro le sue trecento cinquantanove settimane, riusciva a cavarsela in maniera fenomenale.
Vero è che un po’ dispotico e geloso e pretendeva mille e più attenzioni. Era stato e si sentiva ancora un principino, alto, bello e chiacchierone eppure aveva rischiato sotto Pasqua di finire accanto all’agnello ed al castrato, in un bel piatto floreale. Soltanto la passione innata per la lotta, forte, diretta e senza sosta, aveva impedito che lo facessero fuori e rimanesse ancora in vita.
Max era così. Anche quando le cose si mettevano a dir poco male lui non si abbatteva: alzava la cresta e si faceva rispettare.
Il pollastro si fermò a pensare che forse un giorno o l’altro sarebbe diventato un buon brodino. Lui, però, non era un cerebrale con i cavilli sulla sorte grama e ingiusta. Gli piaceva camminare ed osservare, gustare a lungo ogni cosa e poi amare, amare e ancora amare.
Il suo canto mattutino evocava il sole e scacciava le tenebre di molti umani spaventati.
Facevano pena quei tipi intelligenti. Raramente sapienti e troppo intellettuali si rifugiavano in ogni sorta di tristezza per non affrontare i combattimenti, neanche quelli semplici e ordinari.
Max era un pollo e sempre lo sarebbe stato ma con un compito grande nella vita: risvegliare i mortali addormentati da un sonno greve e senza sogni con il fascino sublime di un canto.