…La Regina, che nel frattempo si era guarnita di armi insolite per una donna, purtroppo era stata fino a quel momento semplice spettatrice di quei combattimenti e delle fortune del nemico. D’un tratto, però, corse con lo sguardo verso un’altra battaglia ancor più crudele, attratta dal confuso frastuono di un terribile combattimento che aveva radunato quali inermi spettatori molti soldati e combattenti. Questi, abbandonato il loro furore, rimiravano l’altrui, il quale pareva essere fuggito da mille uomini per convogliare tutto in quattro soli e tremendi combattenti.
La ragione di tanto spettacolo era dato dall’ammirare solo, a fronteggiare tre Giganti, Cordimarte, per il cui animo e per la cui forza, si infuse tutto il coraggio che fu proprio dei Dentati, vincitori sui Sanniti, sui Sabini e sui Lucani; con il coraggio che fu dei Ciri, trionfanti in tutto l’Oriente; e, ancora, con il coraggio degli Epaminondi, con i quali ebbe origine e termine la gloria dei Tebani.
Lo stesso Cordimarte, il cui ardimento fu più forte di quello dei Curzi allorquando dilatò la terra fino a farne una voragine, racchiudendone con chiave di terrore lo spavento dei popoli dell’Aquila, stava fulminando i tre Giganti non con le folgori del leggendario Febo, ma con le vere e reali saette del suo braccio.
Le sue mani, anzi, venendo alle mani con quei triplicati Nembrotti e Tizi, abbattevano a ogni colpo l’inconsistente torre della loro alterigia e cercavano di mirare al loro petto, trasformando la spada in un generoso avvoltoio che, per mostrarsi degno servo del suo impeto, era non meno feroce dell’infernale Rostro.
La regina volò dunque per assistere allo scontro del suo cavaliere […].
Ma dove corri, bella amazzone?
Attenta, perché l’ingordo desiderio di ammirare il combattimento si tramuterà presto in rabbia per aver visto più del dovuto!
Non avvicinarti troppo al tuo amato, perché subito maledirai il momento in cui l’avrai avuto davanti ai tuoi occhi!
Non appressarti troppo a quella tempesta di sangue, poiché il tuo cuore sarà percorso da altre armi e tenterà di emulare quel diluvio, facendone piovere uno ancor più crudele di cui tu stessa sarai fautrice.
Questa nuova Issicratea giunse per mirare le prodezze d’un uomo più magnanimo di Mitridate; questa nuova Rodogana corse per ammirare la battaglia del suo amato, più forte e fedele di Oronte, ma Amore preparava, per straziarla, battaglia più crudele!
Questa Cornelia, seguendo il suo Pompeo (qui però trionfante) si addolorò più della stessa Cornelia, senza nemmeno scoprirlo tra le traditrici mani di Settimo o di Salvio o di Achilla.
Questa nuova (ma più degna) Cleopatra, mentre seguiva la sorte del suo Antonio (qui non fuggitivo), veniva a sua volta inseguita da un destino non di morte tra vipere libiche, ma tra i rimorsi di una pungente Cerasta, sferza di gelosia.
Questa nuova Venere, corse ad assistere al suo innamorato, ma era meglio per lei correre armata così come la scolpirono i Lacedemoni mentre andava incontro al suo Marte.
Non con così tanto impeto Lavinia guardò sugli steccati ausoni il misero Troiano contrastare la fierezza di Turno e non con così tanta furia Galatea vide correre Polifemo verso Aci, sulle spiagge sicule, come accade quando la regina scorse Cordimarte avventarsi contro quei Polifemi, dando però l’impressione che fosse lui Polifemo contro molti Aci!
[…] Amore si unì con Marte per crucciarla maggiormente e lei, allo stesso modo, sentiva i fulmini del secondo se si avventava contro il suo amante e le folgori del primo se si scagliava contro il suo petto.
Se un colpo andava a vuoto; se un tiro falliva, non di certo restava vuoto il suo seno, non vanamente veniva colpito il suo cuore, e così, per quel combattimento, di cui persino i Tristani stupivano, solo lei non provava diletto, trovandosi così vicina al suo Diletto!
Pure, accontentandosi di affiancare a quelle percosse mortali ora preghiere e ora bestemmie, volle avvicinarsi ancor di più per scontrarsi, a favore del suo cavaliere, contro quel feroce che lo molestava. − Oh, spietati colpi, disse, a ragione scendete così terribili sul mio Cordimarte, quando non avete ancora affrontato i miei!
E mentre proferiva tali parole, già la sua mano destra, forse per dimostrarsi fedele ministra della sua lingua o forse per assecondare i furori del suo petto, afferrava l’elsa del suo brando, quando il suo sguardo, ancor più sollecito del suo braccio, si spinse a osservare intorno e [ahinoi!] vide Filindo… e in lui riconobbe Olinda!
(Continua…)