Al momento stai visualizzando La vendetta

Adesso che ha scoperto il trucco, il dottor Federico se ne deve andare: lasciare tutto e sprofondare nell’oblio, dopo tanto tempo passato in attesa di un cenno, un vago sorriso, non c’è più niente da fare.

Ormai ne è convinto: quella donna lo ha abbandonato, proprio quando aveva tanto bisogno di lei, lo ha piantato in asso, non serve a nulla lamentarsi contro il destino.

Avrebbe dovuto essere più accorto: aprire gli occhi e vedere la realtà, invece no, ha continuato ad illudersi, sperare in un suo ravvedimento.

Non aveva più la forza di reagire e così si è lasciato travolgere dalla vendetta, quel perfido desiderio di fargliela pagare, ma non serviva a niente, tutto ormai era compromesso.

Lei rideva da vigliacca dopo averlo umiliato, ma lui l’aspettava al varco, tenace: sapeva che prima o poi ci sarebbe stata giustizia e aspettava il momento favorevole per ribadirlo.

Le avrebbe sferrato un pugno in faccia e lei si sarebbe sgonfiata, con tutta la sua superbia: non era la prima volta che diventava coraggioso, aveva ancora molte riserve e prima o poi anche lei lo avrebbe capito.

Forse avrebbe pianto, finalmente sentendosi in colpa, oppure si sarebbe messa a ridere, ma non poteva sfuggire alla sua vendetta.

Il dottor Federico aspettava paziente l’occasione propizia, non aveva fretta, aveva già sofferto tanto: la prima cosa che avrebbe colpito sarebbero stati quei piedini scattanti da maciullare, poi il seno prepotente che si sarebbe spompato, così tutto sarebbe tornato a posto, anche la sua rabbia defluita.

Ma perché le donne si accanivano tanto contro di lui? Aveva chiesto solo un poco di amore, invece gli avevano spaccato le costole, ma la vendetta covava, fra poco sarebbe scoppiata e allora non ci sarbbe stata più possibilità di fermarlo.

Anche se lei diventava piccolina, fino quasi a scomparire, la sua vendetta l’avrebbe annichilita, perché troppa era stata la sua pazienza: adesso non c’era più tempo per riflettere, aveva gli occhi carichi di odio che presto si sarebbe diffuso a macchia d’olio.

Cosa credeva? Che gli sarebbe passata? Come si fa a dimenticare un’umiliazione così atroce: il suo cuore ne era rimasto sconvolto e la vendetta era la giusta risposta al suo rancore.

Tutto il male del profesor Federico derivava da quell’amore respinto che gli bruciava in corpo: era diventato matto per mancanza d’amore e dava i numeri.

Non sapeva più chi era, tormentato da un insopportabile senso di colpa: una follia lucida che non lasciava scampo, anche la vendetta non portava da nessuna parte.

Chi gli avrebbe mai restituito tutto l’amore perduto? Le carezze, i baci negati? Nessuna vendetta sarebbe più riuscita a ricostruire un equilibrio: la follia lo divorava, sentiva che si svuotava, non aveva più risorse, beffato dalla sorte.

A cosa portava quello smisurato rancora che covava in fondo al suo cuore?

All’annientamento delle speranze, al vuoto dei desideri, il nulla della mente che lo annientava: eppure il dottor Federico in qualche modo doveva reagire, non lasciarsi prendere dalla scoramento, sparare un colpo contro quella massa informe che lo tormentava.

Per prima cosa avrebbe distrutto il ricordo che lo angustiava, logorato il nemico più subdolo: solo eliminando il minimo ricordo di quando era felice avrebbe ricuperato un equilibrio, non sarebbe del tutto impazzito.

La pazzia che lo trormentava era la risposta a quel male d’amore che lo flagellava nelle notti di luna, ma ormai l’ora della vendetta si avvicinava: avrebbe sferrato un colpo contro tutti i fantasmi e sarebbe rinato, felice come una pasqua, solo che si sentiva le ossa rotte e un terribile male di pancia.

Chissà come finirà?

MARIO RONDI