differenze di genere, la donna-oggetto e il c.d. Codice Rosso
“… In un tempo rivoluzionario per la forza pervasiva della tecnoscienza; in un tempo in cui la promessa novecentesca dell’eguaglianza si è scomposta nel dilagare di diseguaglianze; in un tempo in cui si vuol registrare il tramonto di ogni grande e comune narrazione che unisca persone e luoghi: in questo tempo tanto mutato torna, forte, l’appello ai diritti fondamentali”
(Stefano Rodotà, “Il diritto di avere diritti”)
Cos’è la violenza sulle donne
Ogni donna ha subito almeno una volta nella vita una forma di violenza, di tipo fisico o anche semplicemente verbale a prescindere da età, bellezza, peso o altezza, colore della pelle, posizione economico-sociale.
Dalle molestie (intese quali forme di “comportamento indesiderato a connotazione sessuale o altre forme di discriminazione a sfondo sessuale”) possono scaturire atti persecutori che, a loro volta, possono sfociare in atti di violenza veri e propri i quali, nelle forme più gravi, inducono all’annientamento fisico della vittima: le statistiche parlano di “femminicidi ogni 72 ore[1]”.
Per violenza non si intende pertanto solo quella fisica (schiaffi, pugni, percosse o lesioni, soffocamento, lanci di oggetti, ecc. …) o sessuale, ma anche e soprattutto quella psicologica, volta alla sottomissione, alla derisione, al controllo, alla gelosia ossessiva, alla creazione nella vittima di senso di colpa, di inferiorità, di dipendenza emotivo-affettiva e/o economica che induca nel tempo all’annullamento della persona stessa.
L’argomento “violenza e discriminazione di genere” potrebbe apparire monotono, o meglio “già sentito”, atteso che da ultimo, fortunatamente, sembra essere molto in auge e gli ambiti che si occupano di violenza sulle donne sono più numerosi, l’opinione pubblica più sensibile. Sebbene diverse voci si levano a sostegno di chi affermi: “le donne hanno stancato con questa storia della violenza di genere, le donne esagerano”.
Le forme di tutela e protezione della donna sono aumentate e migliorate nel corso del tempo, basti pensare alla Convenzione di Istanbul del 2011[2], uno tra gli strumenti promossi a livello sovranazionale più recenti[3] e vincolante, cui sono seguiti importanti interventi, giungendo quindi, a livello statale, alla recente approvazione e pubblicazione del Codice Rosso, entrato in vigore dal 09 agosto 2019. Tuttavia pare tali forme di tutela non bastino, né diminuiscono i tristemente noti “femminicidi” (l’espressione infelice già si pronunciava nel primo decennio degli anni 2000, pur non essendo adeguato a definire la portata del grave fenomeno registrato nei nostri tempi).
Secondo i dati ISTAT, tra le donne uccise in Italia nel 2018, l’81,2% ha perso la vita per mano di una persona conosciuta e, in particolare, nel 54,9% dei casi del partner attuale (47,4%) o del precedente. Tuttavia, a differenza di quanto si possa credere, il nostro sembra essere uno dei paesi più civili in Unione Europea, ove il triste primato è detenuto dagli Stati dell’est, primo tra tutti Lettonia, seguito da Lituania, Estonia, Malta, Belgio, Ungheria, Slovacchia, Romania e Francia[4].
Il caso Talpis
Nonostante l’Italia si sia dimostrata sensibile al problema della differenza di genere e sia stato tra i primi Stati a ratificare la Convenzione di Istanbul, nel 2017 ha subito un’importante condanna dalla Corte di Strasburgo per la mancata tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
In particolare, con la sentenza della prima sezione, 2 marzo 2017, Talpis c. Italia, La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a cui è stata contestata la mancata adozione degli obblighi scaturenti dagli art. 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di tortura e trattamento o pena disumano o degradante) e dell’art 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo[5].
Le autorità italiane sono state accusate di non aver protetto una donna e i suoi figli, a danno dei quali sono stati perpetrati atti di violenza dal marito, fino a giungere al tentato omicidio della donna e all’omicidio di un figlio il quale, dopo l’ennesima aggressione, accorso per difendere la madre assalita dall’uomo con un coltello da cucina, ha ricevuto un colpo mortale.
L’evento si è verificato nonostante l’avvenuta denuncia per “maltrattamenti contro i familiari, lesioni e minacce” e la richiesta di intervento urgente alle autorità da parte della donna. La stessa sarebbe stata ascoltata dalle competenti autorità solo dopo parecchi mesi (avendo successivamente attenuato le accuse verso il marito).
Vincere? Si può
In alcune ipotesi, le più pericolose, non vi è alcuna manifestazione di aggressività o di violenza e, nel caso si tratti del compagno/marito, la persona può apparire persino docile e affettuosa anche per anni. In altre, al contrario, è possibile prevedere eventuali sviluppi, quasi si trattasse della “cronaca di una morte annunciata” volendo usare le parole di un famoso scrittore. Ciò è ancora più grave se si considera che nei casi in cui si registrano “campanelli di allarme”, essenziali sono misure atte a prevenire.
- Una prima forma di sostegno/prevenzione è probabilmente data da un preventivo lavoro sulla presa di coscienza di sé da parte della donna, ovvero sulla consapevolezza interiore, con riferimento al giusto valore da attribuire alla propria persona: ciascuna vale per ciò che è e in quanto tale, in quanto individuo completo, non è meno dell’uomo/maschio, del compagno, del fratello o del collega di lavoro, merita rispetto, non schiavitù o sottomissione, merita la stessa considerazione attribuita agli altri. Partendo da un complicato lavoro svolto sulla propria persona, accrescendo la capacità di sentire la propria interiorità, potrebbe diviene più arduo che una qualche forma di manipolazione o di violenza possano “attecchire, mettere radici” o avere il sopravvento e divenire “cronici”, poiché si potrebbe provare ripugnanza nei confronti di chi tenti di esercitarla, seppur inizialmente soltanto a livello inconscio. A quel punto si potrebbe porre più attenzione alle reazioni di chi, anche subdolamente, possa presentare una personalità violenta, rancorosa, manipolatrice.
- Un secondo importante sostegno verso la donna è sicuramente realizzato dall’uomo stesso, dall’uomo padre, fratello, compagno, collega, amico, da quell’uomo che supporti la figura della donna, la rispetti, la aiuti a realizzarsi. Generalizzare equivarrebbe a banalizzare. Non tutti gli uomini infatti sono uguali, così come non lo sono le donne. E un decisivo apporto per vincere la violenza di genere è sicuramente dato dal sostegno degli uomini convinti che lo stato delle cose possa cambiare e che le donne non siano da guardare come oggetti usa e getta o come oggetti da possedere, poiché l’amore non è possesso, ma libertà e fiducia.
- Un terzo apporto, all’apparenza banale pur risultando più importante di quanto si immagini, è il sostegno della donna verso le altre, il che non è affatto scontato! Ricorrono sovente casi di invidie e lotte intestine tra donne, tali da indurre a giustificare e ad appoggiare tentativi di annientamento anche solo psicologico e/o sociale da parte del gruppo verso la singola identità. Anche solo mediante discredito o critica. A prescindere da ciò potrebbe risultare determinante l’appoggio di donne vicine (amiche o familiari) per supportare le vittime di violenza nel liberarsi e riuscire a ricominciare, senza farle sentire abbandonate, oltre all’ausilio di comunità e centri antiviolenza.
- Tuttavia nessuna buona prevenzione potrà mai eguagliare gli insegnamenti e l’educazione al rispetto ricevuto in famiglia prima di tutto da mamma e papà, secondariamente dall’ambiente in cui si vive e si frequenta, con nonni, zii e cugini, amici e la scuola. Non stupiscono le tristi parole di un giovanissimo ragazzo (figlio, tra l’altro di professionisti, uno dei quali educatore e difensore dei diritti) sottolineare la sua considerazione della donna alla stregua di una proprietà immobiliare. Si evince dunque l’importanza decisiva dell’educazione e della crescita in un ambiente familiare sano.
Da ultimo rileva ciò che ciascuno nutre dentro se stesso in termini più generali di riguardo verso il prossimo e verso la figura femminile, perché quest’ultima non venga reputata alla stregua di proprietà/ possesso e utilizzata come donna-oggetto.
Alcuni tra i principali interventi normativi
La normativa italiana si fonda su alcuni principi fondamentali sanciti a livello costituzionale, ovvero il principio di solidarietà (art. 2 Cost.), di uguaglianza (sia formale che sostanziale, art. 3 Cost.). Accanto ai principi fondamentali, che non possono in alcun caso essere messi in discussione da alcuno, la Costituzione italiana sancisce l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29, comma 2, Cost.), protegge la maternità (art. 31 Cost.), tutela la donna lavoratrice (art. 37 Cost.[6]).
Al fine di ottenere un’effettiva protezione, sono irrinunciabili le misure legislative di prevenzione o difesa, come accennato, ovvero sanzioni adeguate ai casi di specie e tempistiche processuali snelle (sebbene non superficiali) e celeri. Nel corso del tempo si sono susseguiti numerosi interventi del legislatore italiano volti all’eliminazione delle differenze di genere, tra i quali è possibile ricordare, a titolo esemplificativo, il “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna a norma dell’art. 6 della legge 28 novembre 2005 n. 246” (D.lgs 11 aprile 2006 n. 198). Si è giunti solo di recente all’introduzione del c.d. “Codice Rosso” (l. 19 luglio 2019 n. 69) che dovrebbe avere maggiore efficacia con riguardo alle tempistiche.
Già in precedenza sono state adottate forme di protezione nell’ambito della famiglia, ove sorgono rapporti di reciproca assistenza/tutela e ove si registrano la maggioranza degli abusi. La maggior parte dei casi di violenza sulla donna infatti avviene nell’ambiente domestico.
- Il legislatore è intervenuto con strumenti penali di contrasto alla violenza inserendo, ad esempio, tra i delitti contro la famiglia, il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi (ovvero contro chi maltratti una persona della famiglia, o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione e cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o un’arte – art. 572 c.p. -); attualmente allo stesso si applica anche il Codice Rosso [7]. È inoltre previsto l’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p.) come misura alternativa alla custodia cautelare in carcere (che però non la esclude), e l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (384 bis c.p.p.).
- Per le ipotesi in cui la condotta non sia talmente grave da configurare un’ipotesi di reato, in sede civile (oltre alle più generali norme relative alla parità di genere/dei coniugi) sono stati introdotti gli ordini di protezione contro gli abusi familiari (art. 342 bis c.c. ) e il contenuto degli ordini di protezione (- 342 ter c.c. – i presupposti per l’adozione degli opportuni provvedimenti sono la convivenza e una condotta gravemente pregiudizievole). Il provvedimento d’urgenza è adottato dal Giudice con decreto (su istanza di parte) se la condotta del coniuge o di altro convivente sia “causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”. Ciò comporta (o dovrebbe comportare) la cessazione della condotta e l’allontanamento dalla casa familiare, con eventuale ordine di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante; qualora si appalesi necessario viene disposto l’intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione familiare nonché il pagamento periodico di un assegno.
Cenni sull’introduzione della l. 69/2019, c.d. “Codice Rosso”
Un passo importante, come già accennato, è stato fatto con l’approvazione del noto Codice Rosso, che ha il merito di creare in ambito penale una sorta di sistema volto alla tutela e salvaguardia più rapida ed efficace delle vittime di alcuni reati.
- Grazie ad esso, invero, le procedure si velocizzano: acquisita la notizia di reato relativa a delitti di violenza domestica e di genere, la polizia giudiziaria riferisce immediatamente al Pubblico Ministero, anche in forma orale. Alla comunicazione orale segue, senza ritardo, quella scritta. Il Pubblico Ministero, entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato, assume informazioni dalla persona offesa o da chi abbia denunciato i fatti (il termine può essere prorogato solo per date ragioni, come tutela di minori o riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa) e la polizia giudiziaria compie gli opportuni atti di indagine sottoponendoli successivamente al P.M.
- L’importanza attribuita dal legislatore all’argomento in esame si evince altresì da un’apposita previsione: sono introdotti specifici corsi di formazione per gli operatori del settore. La legge 69/2019 precisa infatti che entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri e il Corpo di Polizia Penitenziaria attivino presso i rispettivi istituti appositi corsi “destinati al personale che esercita funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria (…)”.
- Il Codice Rosso interviene poi per una serie di reati, inserendone di nuovi: 1) il revenge porn (porno vendetta, ovvero la diffusione di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate); 2) la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (che prevede per il reo la reclusione da 8 a 14 anni, l’ergastolo in caso di morte della vittima); 3) la costrizione o induzione al matrimonio; 4) la violazione dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
- Ai fini dell’effettiva efficacia delle misure attinenti al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (282 c.p.p. ) e per consentire al giudice di garantire il rispetto della misura coercitiva è stabilito l’utilizzo di mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (il braccialetto elettronico). Previsione analoga è inserita per garantire l’applicazione della misura dell’allontanamento dalla casa familiare.
- Sono inoltre introdotte delle modifiche a una serie di delitti. Per il delitto di maltrattamenti, ad esempio, le pene sono state inasprite, così come per il delitto di stalking e violenza sessuale e sessuale di gruppo (per il delitto di violenza sessuale la donna ha 12 mesi di tempo per denunciare, invece dei 6 mesi previsti in precedenza – 609 bis c.p.). Ancora, all’art. 609 quater c.p. (atti sessuali con minorenne) è stato inserito un aumento di pena per il caso in cui il compimento degli atti sessuali con il minore che non abbia compiuto gli anni quattordici avvenga in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessa (ed è stato inoltre stabilito che non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste dal reato di violenza sessuale – art. 609 bis c.p. -, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto tredici anni, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a quattro anni).
- Appare opportuno rilevare la previsione di cui all’art 17 della l. 69/2019, ovvero la possibilità, per i condannati per reati sessuali, per maltrattamenti contro familiari o conviventi e per atti persecutori (oltre che per i delitti sessuali in danno di minori di cui all’art. 13 bis della l. 26 luglio 1975, n. 354), di sottoporsi a un trattamento psicologico con finalità di recupero e sostegno[8].
- Merita infine un cenno l’opportunità, per le vittime, di rivolgersi alla Procura presso il Tribunale ( e non più presso la Corte d’Appello) per la prevista richiesta di indennizzo quando il reato che dà diritto allo stesso sia stato commesso nel territorio di uno Stato membro dell’Unione Europea e il richiedente sia stabilmente residente in Italia.
Conclusioni
Sulla base di quanto esposto in questo – seppur breve – approfondimento, si evince parte di quanto è stato fatto e quanto ancora è necessario lavorare ai fini dell’eliminazione di ogni forma di discriminazione e violenza sulle donne (meriterebbero analisi, ad esempio, le tutele sui luoghi di lavoro oltre a molto altro). Invero, deve ancora forse realizzarsi il passaggio che più che considerare la donna “soggetto di diritto” guardi alla stessa come “Persona di diritto”[9] (sul punto non tutti sono d’accordo).
Si valuterà nel corso del tempo quanto il Codice Rosso riuscirà a impattare positivamente nella realtà quotidiana, ma rileva più di ogni altra cosa la capacità di cambiare mentalità, di fare della diversità una ricchezza e di comprendere che, nonostante il Concilio di Trento (di quella volta, in tempi più o meno recenti…) abbia riconosciuto la presenza dell’anima nella donna con un sol voto di maggioranza, la donna ha “diritto ad avere i medesimi diritti”[10] dell’uomo e, pur non presentando sempre una forza fisica eguagliabile a quella maschile, possiede un cervello (definito da qualcuno la cabina centrale!) e il singolare, unico e meraviglioso potere di essere portatrice del grembo materno e, dunque, generatrice della vita.
Stefania Calabrò
[1] Fonte Il Sole 24 Ore;
[2] La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulla donna e la violenza domestica recepisce pienamente i principi elaborati precedentemente, anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e gli artt. 2, 3, 14 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali. Non tutti gli Stati membri UE hanno ratificato la Convenzione, alcuni di essi sono proprio quelli in cui si registrano i casi più numerosi di omicidi di donne: https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20191121IPR67113/convenzione-di-istanbul-tutti-gli-stati-membri-devono-ratificarla-senza-indugio.
[3] Sono molteplici gli interventi che si sono succeduti nel tempo a livello internazionale, basti pensare, ad esempio, alla Convenzione delle Nazioni Unite, siglata a New York il 18 dicembre 1979, sotto forma di “Trattato Universale Aperto” relativo alla eliminazione di ogni discriminazione nei confronti della donna, che ha gettato le basi per gli interventi successivi; o alla Convenzione ONU (sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione) del 18 gennaio 1979 con ben 99 Stati firmatari. Ancora, la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne è stata adottata senza voto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 48/104 del 20 dicembre 1993 (in essa è contenuto il riconoscimento della “necessità urgente per l’applicazione universale alle donne dei diritti e dei principi in materia di uguaglianza, la sicurezza, la libertà, l’integrità e la dignità di tutti gli esseri umani“). La risoluzione è spesso riconosciuta come complementare e un rafforzamento dei lavori della Convenzione ONU -del 1979- sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna e della Dichiarazione e Programma d’azione di Vienna. Si rileva infine la nuova Strategia del Consiglio d’Europa per la parità tra donne e uomini 2018/2023 (https://rm.coe.int/ge-strategy-2018-2023/1680791246)
[4] https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/omicidi-di-donne
[5] Per un maggior approfondimento: https://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/sentenza/sintesi_sentenzas/000/000/686/Causa_Talpis_c.pdf ; https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/5278-la-corte-di-strasburgo-condanna-litalia-per-la-mancata-tutela-delle-vittime-di-violenza-domestica-e
[6] Art. 37 Costituzione: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.”
[7] Per maggior precisione, l’art. 572 c.p., primo comma, è stato così modificato dalla l. 69/2019: “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni”. Inoltre la l. 69/2019 ha inserito al medesimo articolo l’attuale secondo comma: “La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi”
[8] La nuova formulazione dell’art 13 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (legge sull’ordinamento penitenziario) è la seguente: “1) Le persone condannate per i delitti di cui agli articoli 600 bis, 600 ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’art. 600 quater 1, 600 quinquies, 609 quater, 609 quinquies e 609 undecies del codice penale, nonché agli articoli 572, 583 quinquies, 609 bis, 609 octies e 612 bis del medesimo codice, possono sottoporsi a un trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno. La partecipazione a tale trattamento è valutata ai sensi dell’art. 4 bis, comma 1-quinquies, della presente legge ai fini della concessione dei benefici previsti dalla medesima disposizione. 1 bis) Le persone condannate per i delitti di cui al comma 1 possono essere ammesse a seguire percorsi di reinserimento nella società e di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, organizzati previo accordo tra i suddetti enti o associazioni e gli istituti penitenziari.
[9] La donna inizialmente era soggetta al diritto, divenendo solo successivamente soggetto di diritto, tanto che nel tempo il Codice Civile è stato “svecchiato” e si sono susseguite una sere di riforme (come la legge sul divorzio). Basti pensare a quello che inizialmente era il capo-famiglia, ovvero il marito, che non è più reputato tale (o non dovrebbe …). La vecchia formulazione dell’art. 144 c.c. (si evidenzia che il codice civile risale al 1942, è sorto pertanto in un’epoca storica differente a quella attuale) statuiva: “Il marito è il capo della famiglia, la moglie segue la condizione giuridica di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza”. Ad oggi una siffatta formulazione avrebbe dell’assurdo! Si veda: http://www.comparazionedirittocivile.it/prova/files/tescione_donna.pdf
[10] Stefano Rodotà scriveva del “Diritto di avere diritti”, da cui il titolo della sua opera edita da Laterza.