Ritenevano Berlino, il loro appartamento nel quartiere di Wilmersdorf un rifugio sicuro. Ma, come in ogni parte del mondo, a Berlino non mancavano spie. E per una soffiata vennero a prenderli. Vennero a prenderli i Freikorps, le milizie irregolari cui fece indegnamente ricorso il governo socialdemocratico tedesco. E con la loro esecuzione – Rosa Luxemburg uccisa con un colpo di pistola alla testa; Karl Liebknecht, suo compagno di lotte, giustiziato nel parco di Tiergarten – ebbe inizio la Repubblica di Weimar, una delle repubbliche di cui maggiormente si sarebbe parlato nella storia. Troppo debole per opporsi al nazismo. Priva della necessaria autorità politica per reagire alle umilianti sanzioni imposte alla Germania dai vincitori della prima guerra mondiale. E quelle sanzioni già contenevano le premesse di un nuovo devastante conflitto.
La democrazia di Weimar è stata poco amata come ben sottolinea il titolo di un audiolibro uscito nel 2018 che raccoglie voci e giudizi di intellettuali tedeschi. Poco amata perché a volerla, sovvertendo l’ordine monarchico della Germania, furono i vincitori della guerra. Poco amata per gli scioperi, le rivolte, le campagne di odio politico che la dilaniarono. Poco amata perché, come disse Max Weber, i suoi partiti si rivelarono inidonei ad assumersi la guida responsabile degli affari di Stato. Poco amata per gli omicidi politici che vi si verificarono. Quelli delle vittime cui è dedicata questa nota non furono i soli. Con dodici colpi di pistola viene massacrato nel 1921 il ministro delle finanze Matthias Erzberger e un anno dopo il ministro degli esteri Rathenau, per i nazionalisti rei di essere stati favorevoli al Trattato di Versailles.
Ebrea polacca naturalizzata tedesca, piccola di statura e claudicante per una malformazione femorale, una laurea in filosofia, Rosa Luxemburg era la “Rosa rossa” della rivoluzione. Così la chiamò Bertolt Brecht. “Ora è sparita anche la Rosa rossa,/non si sa dov’è sepolta./Siccome ai poveri ha detto la verità/i ricchi l’hanno spedita nell’aldilà”. Karl Liebknecht aveva studiato legge ed era l’avvocato dei socialisti arrestati. Insieme avevano fondato la Lega Spartachista (fazione di sinistra della socialdemocrazia tedesca) che diede poi un notevole contributo alla nascita in Germania del partito comunista. Questi due socialisti rivoluzionari erano riusciti a trasformare un’ondata di scioperi e di proteste in una vera rivolta. Una rivolta spartachista. Provocata dalle macerie – materiali e morali – della guerra catastroficamente perduta e dalla richiesta di una più giusta politica sociale.
Arrestati e condotti al cospetto del capitano Pabst, furono interrogati e torturati. E la rivolta privata dei suoi massimi agitatori. Poi lo stesso Pabst diede l’ordine di portarli in carcere. Quel carcere che Rosa e Karl avevano conosciuto, dal 1916 al 1918, per il loro attivismo rivoluzionario e pacifista. Probabilmente quello di Pabst era stato un falso ordine. Perché sui volti dei due rivoluzionari non ricomparve il pallore strano dei carcerati, che per il poeta Neruda era di un bianco trasparente. Comparve ben altro pallore. Definitivo e fisso.
La Rosa rossa non si sa dov’è sepolta. Perché hanno buttato il suo corpo nelle acque fredde del canale: sarebbe stato ritrovato cinque mesi dopo e seppellito nel cimitero centrale poi devastato dai nazisti. E così i suoi resti si sono persi per sempre. Rosa Luxemburg aveva detto ai poveri la verità e “i ricchi l’hanno spedita nell’aldilà”. Più precisamente: nell’aldilà l’ha spedita il partito socialdemocratico. Il quale, giunto al governo a cinquantacinque anni dalla sua nascita, non tollerò nessuna condizione di caos sociale che potesse mettervi a rischio la propria permanenza. A costo di ricorrere a metodi di repressione, compreso l’omicidio, che nulla avevano a che fare con la sua moderata tradizione politica. Una socialdemocrazia che si serve di milizie armate di destra per arrestare e uccidere i propri oppositori è un’aporia della storia. E questo è l’aspetto più inaccettabile e negativo della fine riservata a Rosa Luxemburg e a Karl Liebknecht. Eliminati con sistemi che sarebbero stati tipici dello stalinismo o del nazismo.
Apprezzata studiosa e conoscitrice del marxismo fin da quando dirigeva una rivista come La causa operaia, la Rosa rossa della rivoluzione contestò le tesi revisioniste di Bernstein, e poi quelle del bolscevismo vittorioso nel quale subito intravide i presupposti di un’involuzione dittatoriale. E il suo saggio critico sulla rivoluzione russa fu pubblicato soltanto nel 1974. Ma Lenin ebbe per lei parole d’elogio. La definì un’Aquila. Un’aquila, per tornare a Brecht, spedita dai ricchi nell’aldilà perché ai poveri aveva detto la verità. Per lei la libertà esisteva solo se veniva riconosciuta anche agli avversari, anche a “chi pensa diversamente”. Dimostrandosi già ai suoi tempi molto avanti sul terreno della vera democrazia.
Voglio infine ricordare che Rosa Luxemburg fu anche un botanica dilettante. Nelle sue Lettere contro la guerra ha poeticamente raccomandato di cercare il miele in ogni fiore: per trovarvi “sempre qualche motivo di sereno buonumore”.
Gaetano Cellura