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A sud della grande montagna del vulcano, l’altipiano basaltico della Timpa correva a strapiombo sul mare per parecchi chilometri. Una pianura in lieve declivio si portava dal dirupo sul mare, verso le grandi querce dei boschi collinari. Dopo l’inverno, il verde dell’erba giovane, specchiava la luce di primavera.
A Nord della Timpa, il mare disegnava un ampio golfo sovrastato dalla grande montagna. Il promontorio azzurrino, dell’altro braccio del golfo, si confondeva con l’orizzonte.
Quella mattina, i primi ad arrivare sulla Timpa furono i ragazzi, che facevano a gara, ad arrampicarsi per le scorciatoie del sentiero. Le donne coi bambini, giunsero dopo un bel po’, portavano cesti e cibarie, poi arrivarono gli uomini con attrezzi e suppellettili, loro aiutavano gli anziani. La loro meta era il bosco.
La grande luna piena che aveva illuminato quel viaggio, intrapreso, in fratta, nottetempo, era, ormai, poco alta sulla montagna. Per non essere testimone.
Quella gente, aveva abbandonato il loro villaggio, poco distante dalla spiaggia, appena rientrato in una cala, ai piedi dell’altopiano, perché così aveva deciso l’Homo, loro capo-villaggio. Egli, era stato incalzato da segnali inquietanti e sinistri presagi. Da diversi giorni, infatti, la montagna del vulcano emetteva grandi boati, e di notte grandi vampate coloravano di rosso le acque del golfo, che lambivano le sue pendici.
Quella notte, i boati si susseguivano senza tregua, scuotevano la terra, nuvole di cenere oscuravano la luna e dal cielo piovevano lapilli come grandine. I cani avevano cominciato a latrare al sorgere della luna, poi in branco avevano abbandonato il villaggio ed erano corsi via sulla Timpa, da dove sembrava volessero richiamare gli uomini.

Quando gli uomini giunsero sulla Timpa, i cani vennero loro incontro a far festa.
Ancor prima che, quella gente, raggiungesse il bosco, la terra cominciò a tremare, sotto i loro piedi, e un enorme boato diede inizio a un tuono infinito, tutti guardarono verso la cima della grande montagna del vulcano, che scompariva, la videro crollare, cadeva rovinosamente in mare trascinando con se tutta la fiancata, una nuvola di polvere e fumo si levava su quel cataclisma apocalittico. Il terrore si impadronì di quella gente, le donne afferrarono i bambi e corsero verso i loro uomini, si strinsero tutti l’un l’altro, lanciando grida di terrore, i cani latravano, la terra non finiva di scuotersi e al frastuono di tuono infinito facevano eco i forti boati della montagna. Il mare, si trasformò in una montagna d’acqua che cominciò a correre verso il largo. Alla prima enorme ondata, ne seguirono altre, sommergendo le coste e spazzando via, da esse, ogni cosa.
Quel manipolo di uomini neolitici, terrorizzati, vide l’onda sopravanzare il bordo della Timpa e prese a correre verso il bosco delle colline.
La Madre Terra si era intimamente unita al Dio del Mare.
Il mare divenne montagna d’acqua e la montagna abisso profondo.

Quando la montagna finì di crollare, il terremoto finì di scuotere ogni cosa, il mare scuro di terra, si ricompose, un’enorme nuvola sovrastava tutto e impediva di capire bene ciò che era appena accaduto. La gente del villaggio si guardò attorno per accertarsi che tutti gli altri fossero lì.
L’Homo, in ginocchio, appoggiato al suo bastone, guardava il cielo sopra la montagna. Aveva assistito, dal vero, a una delle sue visioni apocalittiche.

Sopra le capanne del villaggio, ai piedi della Timpa, era l’apertura di un’ampia grotta naturale che scendeva fino a una polla d’acqua dolce, sul fondo.
L’Homo abitava, questa grande caverna, dove gli abitanti del villaggio si rifugiavano, d’inverno, durante le tempeste, le forti mareggiate e il freddo intenso.
Lì, era possibile ascoltare la voce della terra. Talvolta, di notte, l’Homo, saliva sulla rupe, davanti l’ingresso della caverna, a osservare il cielo percorso dalle stelle, respirare l’odore del mare, ascoltare i boati del vulcano, tenere a mente la direzione del vento e delle nuvole; per trarne presagi.
Egli, racconta come nei mesi bui dell’anno, Madre Terra dell’uomo e il Mare delle acque profonde d’abisso, lottano per il possesso del tempo che passa.
…. è furia di vento, scagliato fragore di tempesta, bagliori e tumulto di nembi, per annegare la terra, impassibile, di rocce granitiche e di grandi montagne; che aspetta, aurore di tiepido sole e limpidi cieli per voli di bianche farfalle.

L’Homo, era rimasto, lì, impietrito, con lo sguardo rivolto alla montagna del vulcano.
La grande nuvola di polvere offuscava il sole e lentamente ricadeva sulla terra, sul mare e su quel gruppo di persone esterrefatte che facevano cerchio attorno al loro Vate.

Mentre sulla Timpa cominciava a cadere la polvere sollevata dal crollo della fiancata orientale dell’Etna, e si spegneva il fragore provocato da quel cataclisma, a largo la grande onda della montagna correva senza sosta verso le coste d’oriente. Su quelle terre si abbatté improvvisa, senza preavviso, sommerse tutto, e trascinò per chilometri ogni cosa, come mai era accaduto. Per parecchie ore, continuò a correre e devastare tutto sommergendo i villaggi e gli insediamenti di quell’epoca, fino alle coste dell’Asia minore e dell’Africa nord orientale.

 

Samantha Cristoforetti -2015 – Etna innevato, visto dallo spazio.

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Il Chiancone è il territorio sul versante Est del vulcano, nella zona compresa tra gli abitati di Riposto, Pozzillo e S. Venerina, una formazione detritico-alluvionale caratterizzata da una morfologia blandamente ondulata, che degrada dolcemente verso la costa con una pendenza media del 5%. La cui origine è legata all’antico crollo neolitico
La bibliografia di quell’evento, è reperibile sul Web sotto la voce ‘Lo Tsunami dell’Etna’, gli studi, le ricerche e la riproduzione grafica delle simulazioni, sono state condotte dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).