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Hands making toast with white wine

Angelica, che nome epico! ebbe modo di pensare vedendola venirgli incontro dal cancello dell’antica villa dove lei abitava.

Era lì che gli aveva dato appuntamento, quella sera, per una cenetta fra vecchi amici in un caratteristico ristorante alla periferia della città.

La guardava incedere a passi rapidi ma solenni, tutta chiusa in un mantello di pelliccia e con il capo sormontato da un cappello scuro a falde larghe e mosse.

È ancora una principessa! La principessa del Catai! … Ho finito per far la parte di Orlando, mentre avrei potuto essere il suo Medoro! rifletté andandole incontro.

Lei calzava stivaletti scuri col tacco alto, e a ogni passo la battuta sul selciato rimbombava all’unisono col cuore anziano di lui, in forte tumulto dopo l’ansia dell’attesa che lo aveva tenuto in agitazione tutto il giorno.

«Grazie per essere venuta» le disse appena furono vicini, quasi sussurrando le parole per un senso di forte riserbo, come per timore di essere udito da orecchie indiscrete, benché a quell’ora, tempo di cena, la via fosse vuota.

«Grazie a te per l’invito» rispose lei sorridendo. «Avevo proprio bisogno di un po’ di svago».

Si erano rivisti casualmente quella stessa mattina, dopo praticamente una vita, pur vivendo nella stessa città. E lui aveva saputo della recente morte di Riccardo, il marito di lei per più di cinquant’anni. Ma quanti ricordi e quanti rimpianti, ugualmente, nel rivederla… L’invito a cena gli era venuto naturale, spontaneo. E lei aveva accettato subito…

Una leggera euforia allora cominciò a prendere lui, che, tutto a un tratto, si sentì felice come un ragazzo al suo primo appuntamento amoroso. Era come una grossa carica di vitalità che veniva a mettergli leggerezza nelle gambe ed entusiasmo nel cuore.

Settant’anni, certo, non sono uno scherzo, né per me, né per lei, volle considerare facendo accomodare Angelica nell’auto pubblica con cui lui era venuto.

«Sei ancora in gamba» ammise, però, ammirato della sua agilità e flessuosità, appena ebbe finito di sistemarsi accanto a lei, mentre il conducente faceva scorrere la cortina divisoria e avviava il motore.

«Non dimenticare che siamo coetanei!» rise lei a gola spiegata, strizzando maliziosamente, nella penombra dell’abitacolo, gli occhi ancora luminosi benché incorniciati da una leggerissima rete di rughe.

Coetanei! Lo sapeva benissimo. Altro che! E fu assalito di colpo dai ricordi dell’infanzia e della prima giovinezza trascorse fianco a fianco con lei: compagni di giochi, compagni d’avventure, compagni di scuola fino alla maturità classica, quando lei ‒ a causa di quella che doveva rivelarsi la decisione più importante della sua vita ‒ non aveva voluto proseguire gli studi e nel giro di pochi mesi si era sposata con Riccardo; mentre lui aveva continuato fino alla laurea in giurisprudenza…

Il ronzio del motore, regolare e gradevole, li avvolse come in una leggera nebbia sonora che non invogliava a parlare. Stettero a lungo zitti durante il percorso fino al ristorante. Ma dovevano essere i pensieri di entrambi, timidamente impacciati nell’intimità dell’abitacolo, a trattenerli dal parlare.

Fu lei a infrangere il silenzio.

«A che pensi?» domandò. «Pensi ai nostri settanta anni?» E c’era in quelle parole l’ironia di chi, avendoli vissuti intensamente, volutamente spingeva al confronto il suo interlocutore.

«Vuoi dire che per me sono stati tutti anni persi?» accusò subito il colpo lui.

«Sei sempre stato un po’ permaloso, vero?» disse Angelica.

«La vecchiezza aggrava i difetti della gioventù!» sentenziò lui, sdrammatizzando il discorso con una gran risata.

«Eccoci giunti» annunciò il conducente imboccando un largo spiazzo illuminato da una grande insegna multicolore che recitava:

“LA BOHÈME” RISTORANTE ENOTECA.

«Potrò richiamarla a cena finita?» chiese al tassista dopo essere scesi dall’autovettura.

«Sempre a disposizione, avvocato» rispose quello con un inchino a entrambi che indicava ammirazione verso di lei e deferenza verso di lui.

“La Bohème” era un locale elegante e accogliente ma, nonostante l’ora, ancora quasi vuoto. E il discreto numero di camerieri lasciava indovinare che di lì a non molto si sarebbe riempito al completo, come del resto solitamente accadeva, essendo il ritrovo abituale della maestranza, degli attori e del pubblico di un vicino teatro-tenda dopo gli spettacoli.

Angelica non c’era mai stata prima, e ne fu piacevolmente sorpresa, per quel senso di abbandono a una situazione per lei nuova, stravagante, anche se quanto a stravaganza lei stessa non era rimasta indietro a nessuno.

«Ho prenotato un tavolo…» cominciò a dire lui al cameriere che, vedendolo entrare in compagnia, si era affrettato ad accoglierlo.

«Certo, certo, avvocato» rispose quello con un sorriso di schietta complicità, scortando i due clienti in una saletta laterale e invitandoli a prender posto a un tavolo in penombra, già apparecchiato con cura, con al centro un candelabro d’argento alla cui luce, appena accese le candele, lui e Angelica non poterono fare a meno di osservarsi con reciproca curiosità, come a ricercare i tratti di un tempo lontano.

«È un vero e proprio complotto!» sorrise Angelica girando lo sguardo tutt’intorno alla saletta, dove solo due altri tavoli, riservati ma ancora liberi, occupavano lo spazio restante.

«Mi sono permesso di predisporre le cose» disse lui sorridendo a sua volta. «Vengo spesso a cena qui. Il personale mi conosce da diverso tempo.»

«Immagino che tu ci venga in dolce compagnia» incalzò Angelica con una punta di provocazione femminile.

«No comment!» rispose misteriosamente lui, volendo chiudere quella schermaglia che tuttavia si rivelava piacevole, perché mostrava l’interesse di lei per la sua vita d’ogni giorno…

La sua vita d’ogni giorno! Lui ne provava una certa ripulsa. Buon professionista, senza dubbio, teneva ancora aperto, rinviando il pensionamento, uno studio legale di primaria importanza in città; e vi si rivolgevano indistintamente clienti di tutte le estrazioni sociali, ma soprattutto del ceto medio, tanto meno arrendevoli quanto più disposti a pagare. Aveva cominciato presto a farsi notare: giovane avvocato in cerca di successo, aveva subito colto nel segno in occasione di un’importante causa civile per questioni di eredità, in seguito alla quale la sua opera era stata più richiesta e più temuta, ma soprattutto più remunerata.

Aveva ingrandito lo studio con collaboratori e segretarie e aveva allargato ancor più la cerchia delle amicizie e delle conoscenze politicamente potenti ed economicamente importanti. Tuttavia non si era mai lasciato andare ad azioni contrarie alla sua coscienza. Aveva in questo modo seguitato, in tanti anni di rispettata professione, a scacciare tentazioni d’ogni specie: dalla carriera politica alle speculazioni finanziarie, fino addirittura ai legami sentimentali impegnativi. Non ci voleva molto a capire, con una di quelle rapidissime escursioni della mente che gli consentivano di dominare un argomento e di osservarlo da ogni lato, che la sua vita d’ogni giorno altro non era che la somma di tante sconfitte interiori malamente bilanciate dalle tante vittorie professionali.

«Cominciamo con un antipastino?» chiedeva intanto il cameriere premuroso, facendo scivolare nelle mani d’ognuno la lista delle vivande e la carta dei vini.

«Certamente» disse lui raccogliendo prontamente lo sguardo d’intesa di Angelica.

«Qualcosa di leggero e di speciale» si raccomandò poi, frenando il cameriere che cominciava a suggerire crudité, salmone selvatico affumicato, insalate di mare, cozze marinate, vitel tonné, olive ripiene, soufflé…

Il vino non poteva che essere un bianco frizzantino, freddo ma non gelato, per brindare subito al loro essersi ritrovati e a quella cena che si annunciava piena di delizie.

A mano a mano che passavano i minuti tra un sorso e un assaggio, avvertivano che la comunanza di gusti li avvicinava sempre di più e li trasportava inavvertitamente in quella zona della memoria che coincideva in modo preciso con l’età dei progetti e delle attese; quando ognuno pensa di avere il mondo in mano come una trottola da far girare a piacimento.

«Se dovessi scrivere la mia biografia» disse lui «potrei cominciare così: “Da ragazzo ebbi delle speranze…”».

Angelica lo guardava con profondo interesse e, come al solito, sorrideva; ma il suo sorriso adesso si era cristallizzato in una smorfia di grande compassione, e non osava rispondergli subito per non fargli pesare ciò che certamente ancora oggi angustiava il cuore di lui come una ferita rimarginata che, però, di tanto in tanto, al cambiar delle stagioni, fa male come fosse aperta, viva e sanguinante…

Lo guardava e sorrideva mentre la luce palpitante delle candele rendeva più intensa la maschera mobile del volto di lui…Ebbe quindi il sopravvento, in lei, il desiderio di chiarire i fatti, così come li ricordava, vivi ancora nella memoria benché deformati probabilmente dalla passione con cui li aveva vissuti. Era certo il bisogno di confidarsi e confessare tutto, almeno a lui, all’amico e al compagno della sua adolescenza, al ragazzo con il quale, se non si fosse presentato Riccardo, forse avrebbe condiviso il resto degli anni…

«La mia decisione di fuggire con Riccardo» cominciò a dire con voce appena velata dall’emozione «tu la prendesti come un tradimento, non è così?».

«Non solo come un tradimento… Pensai alla tua fuga come a un errore madornale, di cui ti saresti presto pentita.»

«Errore?» disse Angelica. «Ne sei proprio sicuro?»

Il cameriere li interruppe per un momento, venendo a prendere le ordinazioni successive. E recitava i nomi dei vari piatti quasi fossero infilati in una filastrocca interminabile in cui s’inseguivano agnolotti con ripieno di selvaggina, bigoli in salsa di noci, bucatini alla bersagliera, cannelloni alla nizzarda, conchiglie alla giardiniera, trenette alla marinara, malfatti alle verdurine, lasagne di mare, gnocchi alla sorrentina… risotto alla barbabietola, risotto alla trevigiana, risotto ai funghi, risotto alla parmigiana…

Sorrisero entrambi davanti alla rassegna di tutto quel bendidio, ma si decisero per un risotto alla parmigiana innaffiato da un vinello ambrato, di leggera gradazione alcolica.

«Non fu un errore, dunque?» domandò lui quasi con disappunto. «E dire che se ne parlò a lungo, allora, in città… E ci fu chi sostenne addirittura che non di fuga si fosse trattato ma di rapimento.»

«Ed io» continuò Angelica ridendo di gusto «mi sarei poi rassegnata a vivere con il mio rapitore, dopo la violenza che mi rese incinta della mia prima creatura?… Confesso di avere alimentato io stessa questa versione dei fatti… Ma tu sapessi quanto mi sono divertita!…Ho buona memoria di ciò che fu detto e stradetto con tante e tante chiacchiere inutili,soprattutto dopo che mio padre sporse denuncia contro il mio presunto rapitore… E come recitai bene allora la parte della verginella sfortunata, della minorenne violentata, pronta a sacrificare i suoi sogni di gloria pur di dare un padre legittimo alla sua creatura e non mandare in galera un uomo che, in fin dei conti, altra colpa non aveva se non quella di essersi perdutamente invaghito di una bella ragazza… Dico “bella”» volle sottolineare Angelica con una certa civetteria «perché allora mi sentivo bella, e forse lo ero davvero!».

«E dici bene!» esclamò lui con un sussulto riandando a quegli anni, e alla figura di lei ammirata perfino dalle sue compagne, a dispetto delle invidie e delle gelosie femminili.

«Ti ringrazio della tua galanteria,» disse Angelica «ma gli anni non si possono più nascondere, non credi?».

«E perché nasconderli?» ribatté lui, e aveva gli occhi pieni di commozione.

Li distolse ancora dalla conversazione il cameriere che chiedeva come regolarsi per i secondi piatti. Angelica si lasciò sedurre dalle scaloppine di vitella, mentre lui preferì delle costolette d’agnello al brandy. Quando le approcciarono con la misurata lentezza di chi consuma una pietanza avendo nell’animo altri odori e sapori, altri desideri e piaceri, goduti o soltanto immaginati a seconda dei casi, avvertirono che il locale si era ormai quasi interamente riempito di coppie loquaci e di comitive rumorose. Anche la saletta era al completo. I camerieri si aggiravano rapidi in mezzo ai tavoli reggendo vassoi stracarichi di piatti come se fossero fuscelli, e con i loro equilibrismi spettacolari spesso ricevevano l’applauso di intere tavolate dislocate nel salone accanto, da cui proveniva un vocio confuso e continuo che tuttavia non dava fastidio.

«Quindi, se ho capito bene,» domandò lui «fosti tu a guidare il gioco; non fu Riccardo!».

«Proprio così!» confermò Angelica.

«E come andarono precisamente le cose?» incalzò lui.

«Voglio essere sincera con te» disse Angelica. «Penso che, dopo le tue follie di allora per me, tu ne abbia qualche diritto…»

«Nessun diritto… nessun diritto…» si affrettava a correggere lui. Ma Angelica non gli diede retta e continuò tranquilla:

«Ho sempre provato qualche rimorso nei tuoi confronti, per come non volli più saperne di te e per come decisi, di punto in bianco, di farmi, diciamo così, rapire da Riccardo!… Non ti diedi nessuna spiegazione prima, ho evitato d’incontrarti poi… In tutti questi anni siamo vissuti in questa stessa città. Tu sei diventato, quel che si dice, un avvocato di grido. Io ho fatto via via la moglie virtuosa, la madre esemplare e, adesso, la nonna che stravede per i suoi nipoti… Due vite totalmente diverse, insomma…».

«Ma che cosa ti spinse a dire sì a Riccardo?» domandò lui.

«Non lo so. O non lo ricordo più… Improvvisa passione? Ciò di cui ho memoria è che, alla fine di quella famosa estate, prima di cominciare a pensare agli studi universitari, fui presa da una strana frenesia di vivere… Vivere, vivere, vivere, dimenticando ogni altra cosa… dimenticando ogni convenienza o sconvenienza… Allora per la prima volta mi accorsi di Riccardo… Dico “mi accorsi” perché lo conoscevo da sempre, dato che era il giardiniere di mio padre, ma fino a quel momento non aveva mai suscitato la mia curiosità o eccitato la mia fantasia… Girava spesso per casa e, apparentemente, era la persona più insignificante che si potesse incontrare… Un uomo schivo, completamente dedito al suo lavoro… Io non avevo ancora compiuto i diciotto anni, e allora si diventava maggiorenni a ventuno; lui ne aveva dieci più di me… Ma più che la differenza di età, ciò che destò scandalo in famiglia fu la differenza di ceto… Un giorno, mentre lui era intento in giardino al suo lavoro, io mi scoprii improvvisamente interessata alle sue spalle larghe, ai suoi fianchi stretti, alla sua virilità prorompente… Era come se lo vedessi allora per la prima volta… Fui io ad attirarlo nel capanno degli attrezzi…»

Come nel più vieto romanzetto erotico, pensò lui. La guardava con interesse, ma la ascoltava come se Angelica gli parlasse da un altro mondo, e lui fosse lì per caso a ricevere le confidenze di una persona del tutto sconosciuta.

«E la fuga d’amore?» domandò poco dopo.

«Dopo quello che era accaduto, decidemmo di sposarci… Ma per ottenere il consenso dei miei genitori, soprattutto di mio padre, bisognava forzare un po’la mano facendo ricorso alla tradizione… E così decidemmo di rifugiarci presso una sua vecchia zia, in campagna, dove nessuno poteva sospettare la nostra presenza…»

«Il resto» completò lui «è facile immaginarlo: tuo padre sporse denuncia, Riccardo si addossò ogni responsabilità personale e per difendere la tua onorabilità disse di essere stato lui a rapirti… Bastò poi la riconciliazione con tuo padre perché la denuncia per ratto di minore e violenza carnale fosse opportunamente ritirata e il matrimonio si celebrasse con grande fasto…».

«Non fu precisamente così… Riccardo fu messo in prigione in attesa di giudizio, occorsero tre mesi prima che io riuscissi a convincere mio padre a riammettermi alla sua presenza… E per questo fu decisiva la certezza della mia gravidanza… Ritirata la denuncia, e ristabilita la pace, Riccardo fu rimesso in libertà e il matrimonio fu celebrato in forma privata con una cerimonia modesta e quasi imbarazzante…»

Angelica s’interruppe e lo guardava come a saggiare l’effetto d’insieme che le sue parole avevano prodotto su di lui.

Lui, a sua volta, stava zitto lasciandosi attraversare, a ondate, dai ricordi di un tempo e dalle considerazioni di ora, senza però riuscire a esprimere un giudizio definitivo non tanto su di lei quanto su se stesso.

«Ma almeno sei stata felice con lui tutti questi anni?» osò poi domandare.

«Felicissima!» rispose prontamente Angelica, e si vedeva che era sincera. «Riccardo era stato in cuor suo da sempre invaghito della giovane figlia del suo, diciamo così, padrone.»

Era giunto il momento del dessert e, mentre la cena si avviava alla sua naturale conclusione, non poterono fare a meno di osservare che l’intera vita può essere rappresentata come una serie di pasti: tra colazione, pranzo e cena, ci si trova a dover affrontare la notte in attesa di chissà che altra aurora. Solo che c’è chi mangia in compagnia, chi mangia in solitudine e chi salta qualche pasto o addirittura è costretto dalle circostanze a digiunare tutto il dì…

Il chiasso dei commensali intorno non accennava a diminuire: ognuno mangiava e beveva con soddisfazione, rideva e scherzava intento a godersi la cena e la serata.

«A “pranzo” siamo stati entrambi in compagnia di altri commensali e in posti differenti» concluse lui dopo che, terminata la cena e richiamato in tempo il taxi, si avviava all’uscita scortando Angelica con rinnovato interesse.

«Che ne diresti, se… »

«Se?»

«… se anche domani…»

«Anche domani?» disse Angelica e, dopo una breve pausa, aggiunse sorridendo: «Ma sì! Alla nostra età, la vita ricomincia ogni momento o… ad ogni cena» gli rispose strizzando l’occhio.

Angelo Maugeri