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Di David Grossman, ed. Mondadori 2016 (prima edizione italiana: 2001)

Il romanzo, costruito su una scrittura agile – complice una buona traduzione? –, si fa facile veicolo di immagini e sensazioni che accompagnano il sedicenne Assaf alla ricerca del proprietario del cane Dinka.

L’ambientazione è quella di una Gerusalemme contemporanea, con i suoi artisti di strada, i malfattori arruffa portafogli, la microcriminalità lercia di pelle e d’animo.

L’età d’innocenza dei protagonisti si staglia su tale sudiciume, tracciando una scia di luce e grandezza che intrattiene il lettore nella speranza di un benedetto epilogo.

Le sequenze sono due, collocate su due diversi piani temporali: quello in cui agiscono Assaf e il cane Dinka, e l’altro, in cui si arrangia Tamar, sola.

Le avventure di Tamar avvengono un mese prima rispetto a quelle di Assaf. I due piani temporali sono tenuti insieme dalla figura del cane, presente prima nell’uno, poi nell’altro, per poi convergere in un unico tempo ristoratore.

Un narratore onnisciente:

“Assaf sapeva che sarebbe trascorso molto tempo prima che potesse capacitarsi di ciò che stava avvenendo in quel momento.” Pg. 310

 Si fa portavoce dei sentimenti dei protagonisti, assumendo un atteggiamento di benevolenza verso gli sforzi che essi compiono per riconquistarsi il paradiso perduto – che altro non è che l’adolescenza – mentre resta impietoso inquisitore nei confronti di chi ostacola tutto ciò:

Ad un dito l’uomo portava un anello nero e spesso ma Tamar rimase ipnotizzata dall’unghia lunga, come d’uccello rapace, del mignolo”. E ancora: “Aveva la fronte calva e arrossata, una treccina che gli cadeva sulle spalle e occhiaie scure e profonde.” Pg. 143

Le avventure rocambolesche di eco dickensiana alla ricerca di persone, situazioni, animali, sono impreziosite dalla presenza del cane Dinka, il quale, più che essere un elemento trainante nella vera accezione della parola – quel qualcuno con cui correre potrebbe essere lui –, in buona parte delle avventure narrate è una sorta di cammeo che ogni tanto fa capolino tra le righe, quasi a ricordare il lettore della sua presenza. Non parteggia né quando affianca la sua padrona Tamar, né quando si ritrova a correre con Assaf.

Verso lo scioglimento, quando i due piani temporali – e i due protagonisti – stanno per convergere, Dinka si separa dal suo ruolo di comparsa e si erge a elemento fondamentale per la conquista della salvezza:

Assaf (…) non capì per quale motivo dovesse darsela a gambe. Dinka lo intuì prima di lui. Con la velocità di un fulmine si lanciò in avanti, strattonando Assaf, che la teneva per il collare. Lui si riprese, sentì che Dinka cercava di salvarlo.” Pg. 304

E’ qui, che il narratore concede al cane Dinka di pensare:

Senza guardarsi (Assaf e Dinka) fendevano la folla, vicini, attraversando le strade come una volta, agli inizi della loro amicizia (…). Ma ora non c’era una corda che li legava, solo un rapido sguardo di complicità, di approvazione, di sostegno. – Sono con te – Anche io sono qui – Bello slalom – Grazie. Dove ti trovi adesso? – Ad una decina di passi dietro di te. Ci sono delle persone tra noi ma non ti preoccupare. Ti seguo. Continua ad andare avanti.” Pg. 305

 Da questo momento in poi le azioni di Dinka saranno fondamentali per portare in salvo gli ambasciatori del bene e assicurare alla giustizia i malfattori, da consueto lieto fine.

Il lettore giunge al momento dell’agnizione molto prima di leggere le ultime pagine: già a metà lettura viene svelata l’identità della persona che Tamar cerca con tanta determinazione.  Questa anticipazione può lasciare il lettore un po’ perplesso, poiché viene ad attenuarsi la tensione costruitasi attorno alla figura da ricercare.

Da questo punto della narrazione sino alla conclusione l’attenzione si concentra su due obiettivi: far convergere le due sequenze temporali e scoprire se la potenza dell’età ancor gentile può sopraffare i soprusi e le angherie del mondo degli adulti.

Con QUALCUNO CON CUI CORRERE siamo di fronte ad una sorta di bildungsroman, in cui non è l’età del protagonista che matura, bensì la consapevolezza interiore di potercela fare nel presente, affidandosi a ciò che tempo anagrafico non ha: l’arte, che sia sotto forma di canto:

La sua voce (di Tamar) era vigorosa, più del solito, e pareva trascendere tutto ciò che le era successo. Era limpida e pura e lei rimase sbalordita nello scoprire quanto fosse lontana dal suo stato d’animo.” Pg. 176

 o di scrittura:

Aveva la sensazione che nel poco tempo in cui era rimasto nascosto tra le siepi (a leggere i diari di Tamar) fosse successo qualcosa di nuovo, di solenne. Non solo a lui, ma in generale, nel mondo.

Non era possibile che tutto andasse avanti come prima”. Pg. 252

Altre figure si stagliano in questa ricerca di persone e animali e che paiono marginali all’interno delle vicende, ma che invece si fanno carico di situazioni che mettono a dura prova le personali capacità.

Ed ecco che suor Teodora, davanti all’urgenza di vita, vince la sua ritrosia nei confronti del mondo ed esce dalla sua torre-convento:

Teodora si era già allontanata come un guscio di noce trasportato da una corrente impetuosa. Aprì il cancello che immetteva in strada, dette un’occhiata a destra e a sinistra. (…) Teodora avanzò dritta verso la strada, accecata dalla felicità, indifferente ai clacson che le strombazzavano intorno, allo stridio dei freni. Si inginocchiò in mezzo a Jaffa Street, congiunse le mani minuscole e per la prima volta dopo cinquant’anni pregò Dio con il cuore colmo di gratitudine.” P. 313

E anche il sig. Honigman, ex stenografo di tribunale, pensionato vedovo e senza figli, che conduceva una vita in solitaria – giocava a scacchi per corrispondenza –, priva di relazioni sociali e colma di aspirazioni irrealizzate – inevitabile la reminiscenza sveviana –, viene coinvolto dalle vicende dei due protagonisti per uscirne straordinariamente vincente, in una sorta di riappropriazione di una gioventù forse mai vissuta, di riscatto da tutte le frustrazioni subite:

Ora camminava spedito lungo una delle vie laterali dell’isola pedonale. Il suo vecchio cuore batteva all’impazzata ma lui proseguì imperterrito, senza fermarsi a riprendere fiato. Vedeva ancora davanti a sé gli occhi imploranti di quella ragazza e arguì che si trovava in un brutto pasticcio. Quanto più si allontanava tanto più la mente gli si schiariva e i pensieri si ricomponevano, si ordinavano.”. pg. 265

Ed è sempre l’arte, sotto forma di canto, che solleva i protagonisti dalla sofferenza del reale per ovattarli in una dimensione altra, in cui sentirsi bene è possibile, nonostante tutto:

La sua [di Tamar] voce era vigorosa, più del solito, e pareva trascendere tutto ciò che le era successo. Era limpida  e pura e lei rimase sbalordita nello scoprire quanto fosse lontana dal su stato d’animo. Cantò le prime due canzoni completamente stordita, concentrata nello sforzo di reimpossessarsi della voce.” Pg. 176

Nel romanzo QUALCUNO CON CUI CORRERE, edizioni Mondadori 2016, predomina il tema dell’amore, ma non l’amore tra l’uomo Assaf e la donna Tamar, oltremodo scontato: è un amore verso il reale motivo di quel correre – il lettore lo scoprirà –, e che ci piace considerare un allenamento ad esser madri.

Maria Bucolo