Letture del direttore
GIORGIA ZUCCARO
“Rinasco / da me stessa / ogni giorno”, ci confida Giorgia Zuccaro in uno dei momenti lirici del suo recente Fragmenta (pagg. 97, € 10, oo – Maimone editore). Una confidenza che viene confermata lungo l’intero percorso che il lettore compie incuriosito del diario in pubblico della poetessa. Un diario nel quale non sono state evocate vicende quotidiane o casuali di un percorso esistenziale, ma reazioni di un vibrante mondo interiore allertato da percezioni esclusive, in quanto personali, serenamente filtrate da una linea di pensiero che definiremo religioso, sostenuto da altrettanto personale denominatore di fede: “Alcuni oggetti parlano / il mio linguaggio / mi chiamano forte, / morphei che mi riflettono, / mi corrispondono perfettamente, / si vestono di me, / li posseggo, / mi identifico”. Denominatore la fede come significante da leggere nella sua accezione cristiana, e non strettamente spinoziana, per comprendere fino in fondo l’intenzione di Giorgia Zuccaio quando si sofferma a dialogare con le segrete armonie delle sue percezioni incise a preludio dei versi qui citati nell’incipit: “Insostenibile / la perfezione dell’infinito / seducente / la contingenza del corruttibile (…)”.
Un tessuto di riflessioni elargite con la limpida voce della semplicità più autentica, una semplicità che ci fa ricordare un poco di Umberto Saba e altrettanto della affabilità di Luciano Erba. Ecco allora che proprio di Saba viene di citare un illuminante verso: “La notte vede più del giorno”, per proporre, in parodia, una tra le possibili definizioni che potrebbero calzare a favore della poesia di Giorgia Zuccaro, nella quale l’anima (celata) vede più degli occhi (scoperti). E allora chi segnala la silloge di questa giovane esordiente deve ingegnarsi a saper dire quanto di celato sia da indagare nei versi di Fragmenta. Metafora di un viaggio tra ricordi, attese, sensazioni, intuizioni e percezioni. Queste ultime, su cui abbiamo già insistito qui, a indicizzarle, ci sembra possano costituire uno dei punto di forza della poetessa, una sua dote personale naturale, che segna la coerenza della traccia lirica quando attinge a una tensione interiore scevra da complicazioni e refrattaria a ogni negatività. Il lettore di Fragmenta cercherà invano segni di pessimismo, troverà invece una continua volontà di conoscenza, che viene alimentata e stimolata da serenità interiori confermate dal lessico che conforta la spontaneità della scaturigine.
Giorgia Zuccaro, si direbbe, ha pronta una sua spiegazione per ogni fenomeno ne coglie e dimostra i più reconditi aspetti, e li codifica offrendone disvelature alla luce della propria spontaneità interiore che ricalca l’omnia munda mundis della purezza primigenia, smarrita dall’umanità. A nostra approssimazione è proprio in questa fondamentale direzione di limpidezza interiore che sarà opportuno leggere il messaggio della poetessa, la carta d’identità di una voce d’inizio terzo millennio come “altro versante” rispetto alle ansie diffuse come marchio rivelatore di un’epoca di mani tese nel buio, di valori grevi di contemporaneità senza ancora di fede.
È straordinaria la semplicità con la quale Giorgia Zuccaro ricostruisce tessere di miti classici, fino a comporre un lieve mosaico con la rappresentazione della vita imprimendo alla sua proposta l’aura sempre lieve di un teorema che sembra vestirsi di apologo, che tale tuttavia non vuole essere e non è (non esiste il parenetico, né il didascalico in Fragmenta), di una fiaba per frammenti da ricomporre, ma che fiaba a sua volta, ancora una volta, non è, perché vi sgomitano le intenzioni di squarciare veli quando coprono i misteri che accompagnano ogni umana esistenza.
GENERAZIONE ENTRANTE
Una occasione per i poeti quella realizzata dall’editore piemontese Giuliano Landolfi da Borgomanero, che ha pubblicato una scelta di “Poeti nati negli Anni Ottanta”. E siccome i poeti vivono anche di occasioni, non esitiamo a rivolgere plauso verso l’iniziativa, peraltro confortata da un volume con struttura adeguata alle esigenze necessarie a darne visibilità e credibilità. (La generazione entrante – Poeti nati negli Anni Ottanta – pagg. 170 – Euro 12,00).
Importante la premessa del curatore Matteo Fantuzzi, che con puntuale sguardo al panorama degli ultimi decenni, propone una sua valutazione su metodi pregressi auspicando formule che aiutino l’affermazione della poesia nell’ambito dei nuovi orientamenti della nuova società, che come recentemente si è verificato, ha creato “una serie di microcircoli” (Cfr. pag.7).
Quindici le voci dei poeti avallati da altrettanti presentatori e individuate da agili schede biobibliografiche, che aggiungono al viatico critico dei prefatori un momento orientativo utile per capire l’estrazione culturale (e regionale) del giovane poeta a confronto con le frequentazioni accademiche e editoriali, due elementi che, in qualche modo, esplicitano le scelte di Fantuzzi e Landolfi. È, appunto, l’editore a tracciare, nella postfazione, una ulteriore mappa di orientamenti, rilasciando una sua netta convinzione sia a carico delle responsabilità del passato prossimo dei poeti antologizzati (La generazione senza padri), sia dando una fisionomia al convergere delle voci selezionate. Scrive Landolfi nel primo dei suoi punti di vista che “La lettura dei poeti compresi nella presente antologia permette un puntuale raffronto tra le due generazioni: – a) Viene condivisa una concezione di poesia profondamente inserita nella realtà umana, che sorge intrinsecamente e intimamente dall’esperienza, con il conseguente rifiuto di una lirica concepita come intuizione e libera effusione della soggettività o come espressione poetica di una individualità assoluta.(…)” (cfr. pag. 161) E subito inserisce le ricerche dei due siciliani Giuseppe Carracchia e Sarah Tadino, citando schegge delle rispettive scelte antologizzate. Un rilievo, che condividiamo pur non peritando di contaminarlo, con riferimento alla poesia di Giuseppe Carracchia,con un riferimento alla tensione di questo giovane poeta, che ci sembra rivolta a coerenti riflessioni proprio su quanto il pensiero,evolvendo, non perda di vista le sue basi classiche e faccia tesoro di principi con vigile consapevolezza . Quella di Carracchia non ci sembra voce adatta a rappresentare quanto di omologato (e, “bravura diffusa”) emerge dagli esordi di questi ultimi anni, caratterizzata come è la sua scrittura da solide informazioni su cui aleggia. con misure controllate, l’ironia che stempera una convinta tendenza all’ottimismo. E aggiungeremo la constatazione di una maturità stilistica che si sembra di individuare in Carracchia, elemento che lo pone sul piano delle conferme più significative presenti in questa antologia, come Matteo Zattoni, Davide Nola, la stessa Sarah Tadino, senza nulla togliere alla restante scelta. A proposito della quale non appulcreremo circa la “non presenza” di altre voci. Né sulla probabile non casualità delle inclusioni, che potrebbero essere scaturite da denominatori di aggregazione, che non esitiamo a definire, elogiativamente, sia che essi siano da ricondurre alla base editoriale, sia che siano confortate dalla esaltante constatazione di una maggioranza collegata all’estrazione universitaria felsinea, come si ricava dalle note bioblibiografiche degli inclusi. Sarebbe fuori posto e di gratuita interferenza polemica, per esempio, appulcrare sulle regioni non rappresentate (Friuli, Liguria, Toscana, Umbria, Puglia, Calabria, Sardegna, Basilicata, Tentino, Val D’Aosta) a confronto con i tre siciliani e gli altrettanti campani e lombardi a costo di annotare, puerilmente, che il Piemonte dell’editore ha incluso una sola scelta come per il Lazio, il Veneto, l’Emilia-Romagna e le Marche. Significativa l’inclusione della dialettale Dina Basso (e col dialetto sia consiglio “il maneggiar con cura” essendo materia quasi sempre esplosiva, da affidare a esperti artificieri), il cui esordio, rettifichiamo, è stato d’ampia referenza su Lunarionuovo n.3/53 del settembre 2003 e sul numero 6/53 dell’aprile 2004, con 18 poesie in siciliano (Cfr.ivi: Dina Basso show), dettaglio che nulla toglie e molto aggiunge a favore della poetessa. Come dà ulteriore misura al valore e alla importanza complessiva de “La generazione entrante”, ai suoi meriti.
FERRUCCIO BRUGNARO
C’era una volta…C’era quella volta il Petrolchimico di Marghera e c’era un poeta operaio, autodidatta, Ferruccio Brugnaro, della cui poesia spontanea parlavano e scrivevano, non solo in Italia. C’era una volta e c’è ancora il poeta operaio Ferruccio Brugnaro di Spinea, che “negli anni Settanta è stato attivo nel Movimento Operaio e le sue poesie riflettono gli impulsi, il sapore amaro della sconfitta e la fatica di confrontarsi in una visione del mondo realistica ma non rassegnata”.
Una solidarietà a distanza ha continuato a unirmi a Ferruccio, lettere e scambio di lettere, poesie e libri. Lui operaio al palo della necessità del lavoro, come la sorte glielo ha accollato, io volatile senza confini tra la ricerca della verità nei libri, nei turbini, nella sofferenza che ho sempre posto a confronto con la generosità della mia sorte di viaggiatore, cultore di Aristofane e di Voltaire. Ed ecco la coscienza del mio “esserlo a parole” a fronte di quella di Brugnaro che lo ha continuato a “esserlo coi fatti”. E il vincitore è lui.
Non ci siamo mai incontrati con Ferruccio. E dire che dalla circonvallazione di Spinea io transito almeno quattro/sei volte all’anno. Come della Venezia del Petrolchimico di Marghera, sono stato assiduo per tutti gli anni del “Premio Goldoni” come, per altre ragioni e giornalistiche, al Campiello.
Ogni tanto, di Brugnaro mi arrivano poesie come messaggi in bottiglia, su fogli ciclostilati, e, con cadenze quasi regolari, libri. E dediche affettuose, giustamente come da amici accomunati da sodalizio, da comune identità di vedute.
Febbraio 2012 – Edizioni Zambon Verlag “EINE FAUST VOLL SONNE (Uberlebengedichte)
Titolo, in tedesco, in corrispondenza di “UN PUGNO DI SOLE (poesie per sopravvivere)” nell’italiano che accompagna, di pagina in pagina, il testo a fronte versato nell’idioma di Goethe da Felix Ballhause e Letizia Fuchs-Vidotto – ecco il nuovo arrivato di Ferruccio Brugnaro, chiosato da una indispensabile premessa di Francesco Moisio. In quarta di copertina viene notificato ai lettori tedeschi che si tratta di “Una raccolta di poesie di un operaio petrolchimico di Marghera (…)”. Qui, nel segnalare la più recente occasione di canti del poeta autodidatta e operaio, riteniamo di potergli rendere omaggio cedendogli la pagina nella quale accogliere momenti significativi dei suoi messaggi. Riportiamo la poesia di pag. 26, che apre l’ampia silloge: “Sono stanco di essere braccato”: “ Chilometri di tubazioni, scavatrici / martelli pneumatici / mi inseguono giorno e notte. / Sono stanco / di sentirmi controllato / in ogni minimo movimento / spostato come una chiave, un asse. / Non sopporto più, non mi è / più possibile; / sono molto stanco / di guardare le mie mani / usate sulla mia vita / come strumenti di disprezzo, di rovina.”. Ma non è solo il poeta delle rivendicazioni Brugnaro e basterà sfogliare tra le centosessanta pagine di questo nuovo libro per poter leggere, in italiano e in tedesco, momenti di struggente tenerezza come il confronto che il poeta pone con la “Neve di primavera”: “. È sconvolgente / e bella / come i tuoi baci / quando sei arrabbiata. / Scioglie ora / i grovigli di dolore / più oscuri / in luce intensa e dolce. Il suo candido morso / alla terra / e il tuo morso / rabbrividente e felice / alla mia vita / nel cuore della notte.” . E ancora, un momento di relax con Maria. “Domenica di febbraio”: “Abbiamo preso la nostra / Dyane rossa / appena messa a nuovo / ma sempre un po’ / sgangherata. / Abbiamo girato a caso oggi / io e Maria / per la campagna. / Siamo andati in giro / ai monti / abbiamo visto la neve / che brillava / come un immenso / focolaio di stelle. / Siamo tornati al tramonto / del sol / e al sorgere della luna / dal celeste ardente / del cielo. / Abbiamo cenato in silenzio / guardandoci / nei nostri reciproci / movimenti, / Ci siamo amati a lungo. / Abbiamo raggiunto felici / tutto lo spazio / e tutta la luce / felici / su tutti i pianeti / felici / in fondo / più in fondo di mille anni / più di quaranta secoli / in fondo in fondo.”. Ed è ancora Maria la protagonista di una suite in cinque scomparti “Ritratto parziale di Maria”, da cui proponiamo uno spicchio: “(…) Insegna matematica / ma fa di tutto. / Vederla come mette insieme scienza / e poesia / lavoro manuale / e musica. / Vederla come entra nella vita / dei bambini / più sfortunati / come parla del dolore umano / come sa creare / improvvisa allegria. / Maria comunica essenzialmente / con l’anima. / Vederla, bisogna vederla / non si ferma /davanti a niente / e nessuno. / Bisogna vederla, bisogna sentirla.” (…). Ma non si può esaurire in questi momenti il diagramma morale e sentimentale del poeta autodidatta e dell’operaio impegnato per tanti anni nel Consiglio di fabbrica Montefibre-Montedison, protagonista di punta per decenni delle lotte del Movimento Operaio.
Non si può esaurire un minimo profilo senza tener conto delle autoreferenze come quelle espresse con trasparente lealtà in “Sono sempre stato da una parte sola”: “Non è vero, non è vero / che sono contro tutto e tutti. / Questo è falso. È una misera / giustificazione / per colpire. / Sono sempre stato da una parte / sola / questo sì / sono sempre stato con i minatori / la gente più sfruttata / della terra / di cui nesuuno parla più / sono sempre stato con i contadini / più poveri / schiaffeggiati e uccisi / mille volte al giorno, / sono sempre stato con i miei compagni / operai turnisti, / i compagni operai delle imprese / d’appalto, / sono sempre stato / per un mondo / che capovolga questo / triste e senza amore.”.
Vorrei saper dire quanto il “caso Brugnaro” sia da ritenere significativo ed emblematico di tutta un’aura di risentimenti epocali profondi, altrove mugugnati; e di quanto proprio la voce di Brugnaro sia continuazione di quella corrente neorealista che ha avuto in “Ladri di Biciclette” e “Umberto D” i suoi momenti cinematografici celebrativi. Vorremmo saper dire quanto ci sia di continuazione di quella scuola, cara a Cesare Zavattini, una “linea” che il veneto Brugnaro ha spostato coniugandone l’aura cantata con il frastuono delle fabbriche, i veleni del petrolchimico, le realtà cancerogene del cloruro di vinile, le rivendicazioni che, a partire degli anni Settanta del secolo scorso, hanno caratterizzato tutto un mondo non solo di politiche sindacali.
Voce singolare e coerente quella di Brugnaro nella sua spontanea tensione, testimonianza di un passaggio epocale tuttavia non concluso.