(stanze-merende)
Ho trovato i tuoi occhi in una t-shirt tanti anni fa e sono ancora convinta che fossero loro. Non mi sono sbagliata, anche se cerco di non pensarci. Scavo fosse per sudare i ricordi, con spiragli di terra per steli da vento, e desidero una cerata gialla a ripararmi dalla pioggia che libererà le mie buche. Ricordo l’odore di rose e l’acqua calda quando il bidet lo usavo ancora al contrario e l’ocra intorno se interrogavo una mano bastone o un vaso ros-a-lcol. La tua pianta tenuta nascosta come reliquia fotosensibile per una magia di spaghetti bianchi (io con la paura di rompere tutto di luce quando chiedevi carciofini o farina) è rimasta a vegliare, dando il cambio a se stessa, i nostri pasti futuri. Il pane condito di olio e balletti sono parole di dopo e dormire con una gallina una foto presunta ma le distese di coperte in cucina sono passate per i miei occhi; come un esercito di cappelli di gnomi a riposo e la curiosità di spiare e trovarli cresciuti. Che le palpebre sono coperchi per gli occhi avresti voluto saperlo anche tu, ne sono sicura, lasciandole una coda di pasta da cuocere sul fornello per farla sentire un po’ a casa.
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(Artemio)
Le nostre spedizioni ad un metro in basso a destra erano un’avventura di attese e profumo. Dal barattolo delle caramelle speravo non uscisse mai quella al caffè, con la forma di castagna secca e il colore sbiadito, sempre attaccata alla carta, pensavo gazzelle per non immaginarla già masticata. E quanto avrei voluto dire all’uomo passato al prosciutto o ai granturchese di poterla scambiare con spicchi di arancia e limone (!) ma a quel punto arrivava la tua voce da dietro ‘che bello, al caffè è la più buona’ e allora cercavo tra i muscoli un sorriso prima di voltarmi.
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(fili)
Per il resto avevi una vestaglia a fiori, un pollaio in terrazza e curve da ereditare; io tanto tempo e poca coscienza, golosità mascherata da precisione, scarpe gonfiate e correre più veloce. Madonne da pregare poco e molte riunioni di tè e aspirapolvere. Troppi dolci e troppi animali hanno alimentato i miei sensi di colpa. Uccellini trattati come piccioni di semi e pane e latte. Con il mio labbro da tirare indietro per avere ragni alle spalle, almeno, allora la vedevo così. Oggi ho capito e ci penso un secondo prima di saltare dal treno e so che non c’è bisogno ma ti strizzo un occhio dicendo grazie.