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E. Delacroix, Giacobbe lotta con l'angelo, 1860
E. Delacroix, Giacobbe lotta con l'angelo, 1860

 

Di cosa è messaggero l’ánghelos aligero e veloce sul mare spumeggiante del senso? Dal sospiro vaporoso in cui ne germina la parola, il suo significato consegna e destina al nome la propria figurazione; la forma arcaica italiana, agnolo, proclama per esoterica metatesi (gn/ng) la sua essenza, ciò che esso è: angolo. Nella speculazione angeologica la superiorità della natura angelica di fronte agli uomini è infatti affermata grazie ad un sistema razionale, ancora neoplatonico, basato appunto sugli strati e sui gradi: questione di angolazioni. Nello spazio di tali formae separatae non si potrebbe pensare al luogo dell’angelo senza una geometria della graduazione/angolazione.
Nell’ambito della Patristica afferma Giovanni Crisostomo: “non ci ha detto come prima cosa chi erano i Serafini, ma dove si trovavano. Questa (i. e. la posizione) è, appunto, una dignità maggiore di quella (i. e. la natura). E come mai? Ciò mostra che quelle siano grandi potenze non è il fatto di essere i Serafini, quanto di stare vicino al trono regale”[1.  Giovanni Crisostomo, dall’Omelia su Ozia. Cfr. Jean Chrysostome, Homélies sur Ozias, c. di J.  Dumortier, Paris, Du Cerf, 1981, VI, 2.]; e d’altro canto Giovanni Damasceno: “differiscono invece l’uno dall’altro per illuminazione e per stato, sia perché occupano uno stato diverso a seconda dell’illuminazione o perché sono partecipi in modo diverso a seconda dello stato e si illuminano a vicenda attraverso il superiore di grado e di natura”[2.  Giovanni Damasceno, da La fede ortodossa.  Cfr. Die Schriften des Johannes von Damaskos, Bd. 12, 17; c. di P. Bonifatius Kotter O.S.B., Patristische Texte und Studien, Berlin, Walter de Gruyter, 1973.].
L’angolo non è però solo quello della collocazione nel fascio dell’illuminazione divina, della  differenza tomistica  fra il grado di dignità delle creature; l’angolazione è pure quella della visuale, del riflesso (d’“etterno amore”) che l’angelo dona, lampo torbido e alivolo, nello specolo dell’occhio che lo contempla: “voi, primi perfetti, viziati della Creazione,/  profili di vette, creste di tutto il Creato,/ rosse d’aurora, – polline della divinità in fiore, / articolazioni di luce, anditi, scale, troni,/ spazi d’essenza, scudi di delizia, tumulti/ di sentimento in tempeste d’entusiasmo, e a un tratto, / uno per uno, / specchi: la bellezza che da voi defluisce / la riattingete nei nostri volti” (R. M. Rilke, Elegie Duinesi, Einaudi, Torino, 1978, p. 11)
Ecco allora profilarsi l’ulteriore charabia rabelaisiana (trasposizione anagrammatica): l’angelo elonga, dilunga tale riflesso come nella psicosofia islamica l’individualità umana: nella dottrina dell’isrâq l’angelo appare sulla scena del mondo immaginale come il doppio celeste dell’uomo, “principio trascendente dell’individualità”. Diversamente dalla tradizione giudaco-crstiana non subordina l’umano al divino, ma lo compartecipa: l’angelo/elongazione estende la voce nella preghiera sino alla componente divina, all’anima da conquistare (l’angelo è quest’anima) e forse non solo la voce: vedete ancora nelle Elegie Duinesi: “gli Angeli attingono soltanto dal loro, emanato da loro, / o c’è  talvolta, come per sbaglio, un po’ / d’essere nostro?” (Ivi. p. 13)  O forse, “se si preferisce, c’era una tristezza in forma d’uomo che non trovava ragione nel cielo chiaro” (P. Valéry, Opere poetiche, Guanda, Parma 1989, p. 337); così annota il grande poeta francese dell’angelo che specchiandosi dal bordo della fonte, in lacrime, si riconosce uomo.
Ma l’angelo e-longa anche nel senso di allontanare, di liberare con la sua parola, come nel Vorspieldi George, l’eletto dalle leggi morali, rendendo pura, sciolti i vincoli, l’arte e la bellezza: angelo quale Urbild della poesia. O piuttosto è l’angelo l’acrobata di Laforgue che sul filo del tragico nega – affacciato alla “rugosa realtà” ineludibile dopo Rimbaud – con un velo di malinconica irrisione le ultime metafisiche del secolo: “mio povero amico, eppur bisogna! E poi in fondo, / vivere è ancora il miglior partito in questo mondo”.[3.  Da Les complaintes suivies des Premiers Poèmes, Paris, Gallimmard, 1979, pp. 76-77; per tali  riferimenti come per i testi citati nelle precedenti note cfr.: “In forma di parole”, Bologna 4/1999, p. 105 e ssg.]
L’epifania dell’Angelo quale parola del silenzio più alto, significato inestimabile (si pensi a René. Char), la sideralità dell’angelo – “il tuo corpo, all’ombra violetta delle mie mani, era morto sulla riva, un arcangelo di freddo” (da G. Lorca, Divan del Tamarit, in: Tutte le poesie, Garzanti, Milano, 2001, p. 701) – illustra e invoca dunque l’errare del linguaggio, il corpo delle cose ucciso dal (suo) nome come messaggero d’esse: “C’era uno, una volta, tra  noi, che vedeva Angeli nel cielo azzurro. Adesso è in gabbia. E cantava, cantava: ‘i miei occhi errano in te come pellegrini per morirvi di sete’”[4. Cfr. “In forma di parole”, Bologna 4/1999, p. 280.] (F. Nietzsche) .
Proprio di notte occorre possedere allora il dono del discernimento degli spiriti, secondo quanto insegnano le parole di Antonio: “quando di notte gli spiriti vengono da voi e vogliono annunciarvi il futuro o dicono: ‘Siamo gli angeli’, non date loro retta, perché mentono..”[5. Ivi, p. 67.]


 

Roberto Valentini

Nato a Milano, dal 1999 lavora come insegnante nella scuola secondaria superiore e sopra(v)vive a Bernate Ticino, al confine occiduo della provincia milanese. Laureatosi in filosofia all’Università degli Studi di Milano, ha collaborato con la cattedra di Storia della filosofia contemporanea quale redattore della rivista “Magazzino di filosofia” diretta dal Prof. A. Marini; attualmente, oltre a proseguire tale attività, è fra i curatori del relativo sito web di filosofia contemporanea www.filosofiacontemporanea.it. In questi anni vi ha pubblicato, fra gli altri interventi, saggi sull’insegnamento della filosofia, sul cinema di Kubrick e, di recente, una interpretazione letteraria di alcune tematiche della riflessione di Maurice Blanchot. Ha presentato un proprio contributo nell’opera collettiva Vita, concettualizzazione, libertà (Mimesis, Milano, 2008). Si è interessato in modo particolare della filosofia francese post-strutturalista, della Nietzsche-renaissance e del pensiero di autori quali Derrida, Deleuze, Blanchot, Bataille, Klossowski; coltiva da sempre l’impaziente passione della letteratura preservando epistole, esercizi di stile, prose rapsodiche e innocenti endecasillabi – né pretenziosi né insinceri – dalla (nella) loro lieve agonia dentro un cassetto.