L’ospite indocile
di Lucianna Argentino (Passigli)
Attraversata da una febbrile ansia di contenimento, un’ansia per così dire materna (accostando però, in lingua francese, i termini mare e madre omofoni, pensando a Ferenczi – “l’arcaica nostalgia dell’Oceano da cui ha avuto origine ogni forma di vita” – ), la poesia di Lucianna Argentino si confronta con l’esistenza e il suo carico di dolore (è quest’ultimo l’ospite indocile? O la poesia, la stessa vita?) mettendosi in ascolto, come solamente i poeti lirici riescono a fare (Rilke ad esempio), dell’eterno, nello “spazio tra il tempo e l’eternità” (pag.59). “L’opera non è l’unità inerte di un riposo. È l’intimità e la violenza di movimenti contrari che non si conciliano mai e che non si placano, almeno finché l’opera è opera. Questa intimità in cui si confrontano antagonismi che, inconciliabili, trovano pienezza soltanto nella contestazione che li oppone, questa lacerata intimità è l’opera, se essa è uno schiudersi di quel che pure si nasconde e resta chiuso: luce che splende sull’oscuro, che è splendente di una oscurità divenuta visibile, che coglie e rapisce l’oscuro nel primo chiarore del dispiegamento, ma che sparisce nell’assolutamente oscuro, la cui essenza è richiudersi su ciò che vorrebbe rivelarlo, attrarlo in sé, inghiottirlo. È a «questa esaltante unione dei contrari» che Réne Char si riferisce quando dice «Il poeta è la genesi di un essere che proietta e di un essere che contiene»”. In questo estratto da un saggio di Blanchot (Lo spazio letterario, Einaudi) ritroviamo lo spirito in lotta della Argentino, poeta che non può che parlare “senza staccare la lingua dal dolore” (pag.7), senza smettere di farsi domande “per capire come si spiega l’albero la potatura, / il papavero lo strappo / i bambini il tempo e lo spazio: / – dove va la notte quando è giorno? / – mezz’ora è tanto o poco?” dentro “il senso irsuto della vita” (pag.23). Preghiere in versi che diventano sapienziali quando osservano il giocare a nascondino (lo fanno i bambini, lo farà anche Dio?): “C’è qui – mentre le voci dei bambini / impollinano il tempo – come una nostalgia / simile a quella che del corpo hanno i morti. / Acqua acqua fuoco fuoco – giocano / a chi trova ciò che è nascosto / un gioco che durerà ancora, a lungo”.
Il mare, come si accennava all’inizio, immagine sia di vita che di morte, è uno dei luoghi poetici privilegiati, simbolo di vastità associata al divino (“È voce che mai tace / è abisso di luce” Dio, – il mare, pag.45), nell’aggraziata sospensione di una scrittura tesa e lirica, che “addenta il tempo come addentano il mare i pontili / o sta come le cose / nella quiete dei ripostigli” (pag.40). “Bisogna essere cauti, sostiene, / ma cauta lo sai non lo sono stata mai. / Né mi si addice la prudenza, / forse un poco di pazienza / quel tanto che basta per sostare / davanti alla pagina. / O davanti al mare / nello spazio tra un’onda e l’altra / assorta ora in pensieri sublimi / ora in pensieri bassi / che ugualmente forti sono / la carne e lo spirito” (pag.24). Forte è questa poesia, che affronta i tumulti più laceranti, le richieste più segrete (il colloquio con l’ombra, il vuoto, il silenzio, la sostanza divina è incessantemente innervato da un ascolto colmo di dubbi, propositi) con un andirivieni dell’anima “alla nascita rapita da un dio indeciso” (pag.39). Nell’epifania della “buona stagione / a sciorinare pistilli e spore / nei parchi allevati dall’infanzia / a ciuffi d’erba e pinoli / a sassolini e terra nelle scarpe / e formiche e luce tra i capelli” (pag.38) o nello struggente corteggiamento di “due anime: una dentro l’altra / senza che s’incontrino / senza che si tocchino” (Dio e l’uomo? Il poeta e l’ispirazione? La parola e il silenzio? – pag.54) la ricerca del bene e del vero non conosce tregua (“scrivo per sapere cosa è natura / e cosa è sostanza e come fa a essere buono / un frutto o un uomo”, pag.20), e ci si accorge che difficile è distinguere, “sinottici il dolore e il gaudio” (pag.47).
Una lingua ardente insegue il dono delle parole semplici, familiari, quelle per chiedere il pane (pag.30), lingua che, come scrive Anna Maria Farabbi, “ha incontrato la sapienza della vecchia”, nel perfetto equilibrio dove “pensare e poetare è una cosa sola” (Novalis).