Al momento stai visualizzando L’adulterio (2)

Tema cardine della letteratura occidentale (che, ricordiamo, nasce proprio con la narrazione di un adulterio, quello di Elena nei confronti del marito Menelao: il riferimento è, ovviamente, all’Iliade), è stato spesso ripreso nella letteratura greca e latina, incontrando grande fortuna. Spostando la nostra attenzione sui prodotti della letteratura italiana ci imbatteremo (citando solo esempi molto noti, per ovvi motivi) in Paolo e Francesca, collocati nell’Inferno da Dante nel girone dei lussuriosi; incontreremo le novelle del Boccaccio, dove però il tema del tradimento è trattato in modo da suscitare l’ilarità nei confronti del marito tradito; penseremo alla Mandragola del Machiavelli, per non citarne che alcuni. Nel Settecento il panorama cambia, e abbiamo narrazioni di relazioni corrotte (Les liasons dangereuses), le avventure dei libertini, ecc. Non dimentichiamo che nel Settecento è ancora presente la nobiltà: il fatto che la donna avesse un amante non solo non suscitava scalpore, ma era consuetudine e il cicisbeo era legittimato.
È con l’Ottocento, però, che l’adulterio assume tutta un’altra valenza, legata proprio all’ascesa della borghesia. La società è basata sul nucleo monocellulare della famiglia, e l’adulterio ha valenza etica, religiosa, morale, diviene un dramma sociale. La nascita del romanzo borghese, come accennato, risale proprio a questo periodo e combacia con l’ascesa della nuova classe. Il romanzo nasce già come trasgressione[1. T. TANNER, Adultery in the novel, traduzione italiana di Gianna Pomata, Torino, Marietti, 1990, p.15. 11], poiché narra di personaggi disagiati, che cercano di cambiare la loro posizione, il loro status all’interno della società. La parola adulterio, etimologicamente, ha il significato di alterare un equilibrio preesistente: suscita tanto scalpore perché infrange un equilibrio, rompe un contratto. Come suggerisce Tony Tanner, la letteratura è piena di narrazioni che si riferiscono alla fornicazione, allo stupro, alla seduzione, ma l’adulterio è una questione molto diversa[2. Ivi, p.25.]. Le sue parole chiarificheranno il concetto:

In primo luogo, esso introduce nell’individuo, e quindi nella società, una dolorosa e insolubile confusione di categorie. All’innamorata, all’amante e alla prostituta – indipendentemente da quanto ciascuna possa dispiacersi per essere così definita – viene quanto meno riconosciuta un’esistenza e una definizione di ruolo non incompatibile con la terminologia e l’economia sociale entro cui vivono. […] Adulterazione implica contaminazione, impurità, un «cattivo miscuglio», un’unione sbagliata. Adultera rimanda ad un’attività, non ad un’identità. […] Se l’esistenza della società dipende da certe regole che stabiliscono cosa può essere congiunto e cosa debba essere tenuto separato, allora l’adulterio, congiungendo le cose sbagliate nel posto sbagliato (o la gente sbagliata nel letto sbagliato) costituisce un attacco a quelle regole[3. Il corsivo è nostro.], rivelandone il carattere arbitrario e relativo. In questo modo la donna adultera diventa una «breccia» nella società, che a poco a poco si allarga[4.  T. TANNER, L’adulterio nel romanzo, cit., pp. 24-25.].

Del resto, i contratti e i vincoli possono essere considerati l’essenza della società del tempo, come già aveva suggerito Rousseau. Il concetto di tabù non tiene l’uomo alla larga da determinate attività: al contrario, gli apre la porta della “trasgressione della norma”[5. G. BATAILLE, L’erotismo, Milano, Sugar, 1962, p.257.]. Ciò detto, risulterà chiaro come l’adulterio fosse una vera e propria piaga per questa società, interamente basata sulle regole, sui contratti. Ci potranno aiutare a comprendere questa idea di tabù, questo senso di divieto, anche alcune citazioni della Bibbia. L’Europa (anche se alcuni lo negano) ha radici cristiane, e l’influenza del Vecchio e del Nuovo Testamento è, a parere di chi scrive, innegabile, significativa e riscontrabile nella morale della nostra civiltà12 occidentale, in particolar modo in quella borghese, oggetto della nostra attenzione. Alcune citazioni bibliche potranno mettere in rilievo questo aspetto: “Non desiderare la moglie del tuo prossimo […] Quando un uomo verrà colto in fallo con una donna maritata, tutti e due dovranno morire. L’uomo che ha peccato con la donna e la donna. Così toglierai il male da Israele” (Deut, 22,22).
Questa citazione del Vecchio Testamento (il Deuteronomio fa parte del Pentateuco, ovvero dei primi cinque libri della Bibbia, e rappresenta un codice di leggi civili e religiose databile intorno al1250 a.C.), mette in evidenza come fosse richiesta l’espulsione – addirittura l’eliminazione dalla società – di coloro che commettevano adulterio. “Così toglierai il male da Israele” indica chiaramente come già allora l’adulterio fosse considerato un qualcosa di estremamente dannoso per la comunità. Nel Nuovo Testamento, però, Gesù Cristo ribalta la legge di Mosè, la Torah:

Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova, e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: “donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “neanch’io ti condanno. Va’ e d’ora in poi non peccare più”[6. Giovanni 8, 1-11.].

Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore[7. Matteo, 5, 27.].

Tony Tanner ci suggerisce che Gesù non rispondendo delega ai rappresentanti della società (scribi e farisei) la responsabilità di giudicare la donna adultera secondo la loro coscienza[8. T. TANNER, L’adulterio nel romanzo, cit., p.34-35.]; così facendo, le restituisce la sua dignità rifiutandosi di giudicare una “cosa”, e non più una persona. Come non riscontrare una consonanza tra la mentalità bacata di scribi e farisei (questi ultimi definiti da Gesù “sepolcri imbiancati”) e il perbenismo della società borghese del periodo che stiamo considerando?

Spostiamo ora la nostra attenzione sul modo in cui, invece, veniva considerato l’adulterio nell’epoca di nostro interesse. Paolo Mantegazza in Fisiologia dell’amore (1873), in particolare nel capitolo ventesimo, afferma:

Vi ha però in amore una menzogna che vince tutte le menzogne, un tradimento che supera ogni tradimento; vi ha una scelleratezza che vince ogni assassinio, ogni omicidio, ogni rapina, ed è l’amore colla donna d’altri; delitto che, protetto dalle leggi, accarezzato dalle consuetudini, festeggiato dai nostri costumi infamemente ipocriti, sfugge al carcere e alla corda del patibolo sol che abbia la semplice e facile precauzione di non farsi chiamare adulterio. Introdursi nel santuario di una famiglia felice, farsi amico di chi vogliamo tradire, coprirlo col mantello della nostra benevola protezione; sedurre lentamente e inesorabilmente la sposa d’altri; colla sorpresa, coi mille trabocchetti della violenza morale e aprirne un abisso in cui cada; acquistare colla prima conquista l’impunità di una lunga serie di colpe; seminar di bastardi il mondo e aprire nelle famiglie una larga vena di fiele che avvelenerà due o tre generazioni: far tutto questo senza spesa e senza pericolo, chiamasi nel secol nostro essere uomini accorti, chiamasi consolare le mogli infelici e si può farlo una, due, dieci volte, senza perdere l’amore delle donne, né l’onoranza fra gli uomini[9. P. MANTEGAZZA, Fisiologia dell’amore, Firenze, Quattrini, 1914, p.240.].

Mantegazza procede nella sua analisi affermando che domandando a cento donne quale sia la colpa più comune dell’amore, esse risponderanno che esso è incostante e bugiardo. Mantegazza manifesta tutto il suo orrore nei confronti del peccato d’adulterio: «È scritto nel codice che l’adulterio è il peccato più comune e più veniale che si conosca: non è soltanto tollerato, ma festeggiato, e quasi ammesso come una istituzione sociale»[10.  Ivi, p.234.]. Egli afferma che nessun dolore è più grande di quello che ci infligge un tradimento. Tutte le colpe d’amore sono menzogne, tutte le sventure d’amore sono figlie della menzogna: ma l’adulterio è la più infame delle menzogne d’amore, questa è la conclusione cui giunge. Infine, non possiamo fare a meno di riportare le parole di Mantegazza in merito a ciò che l’adulterio provoca all’interno della società:

Essere preso da una vertigine dei sensi, abbracciare pubblicamente la donna d’altri, o lasciarsi vedere dal marito, chiamasi adulterio, e secondo i casi, e soprattutto secondo la gravità dello scandalo, vuol dire andare in carcere o in galera, vuol dire disonorare il proprio nome e quello dei propri figliuoli. La società moderna soprattutto raccomanda prudenza, e se non vuole lo scandalo, non vuole esser turbata nei suoi amori ampiamente poligami, ma santamente circospetti: la civiltà moderna non vuole vedere pubblicamente nudità alcuna, vuol essere creduta[11.  Il corsivo è nostro.] morale, rispettosa e rispettata[12. P. MANTEGAZZA, Fisiologia dell’amore, cit., pp.240-241.].

Occorre comprendere, però perché questo tema assuma tanta rilevanza e una differente valenza proprio nel XIX secolo (anche se in parte lo abbiamo già motivato con l’avvento della borghesia e con tutti il sistema di valori che ruotano attorno ad essa). Per farlo, sarà opportuno presentare una rapida carrellata di romanzi che hanno come tema principale proprio l’adulterio.

(Continua…)

© L. Ferrari, Venere impedisce a Menelao di uccidere Elena

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Maria Gabriella Di Chiara

Classe 1986, vive a Morano Calabro. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università della Calabria, con una tesi dal titolo Contratto e trasgressione: l’adulterio nella narrativa italiana del secondo Ottocento, di cui pubblica qualche estratto a partire dal n. 46 di Lunarionuovo. Attualmente frequenta un master in Didattica dell’Italiano e fa parte dell’associazione culturale “Il Sileno”. Si interessa di questioni relative alla Shoah e ha collaborato alla realizzazione di incontri preparatori di lettura e cineforum in vista del convegno sulla “Giornata della Memoria” che ogni anno, dal 2007, si tiene all’Unical.